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Channel: A dieta da lunedì
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CROSTATA SENZA GLUTINE CON CILIEGIE E RICOTTA PER IDEA MENÙ

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Siamo di nuovo all'appuntamento con Idea Menù. 
Un pranzo virtuale che condivido con altre tre bravissime blogger, Carla, Consuelo e Linda.
Questa volta abbiamo pensato di proporre un intero menù senza glutine.
È sempre difficile parlare di intolleranza al glutine, celiachia, alimenti gluten free e quant'altro quando non si è toccati in prima persona dal problema.
Il rischio di dire inesattezze o farsi sfuggire imprecisioni è alto.
Per questo vi rimando a un sito molto bello curato da tante blogger “sglutinate” che certamente sapranno dare informazioni più sicure e valide.
Per quello che mi riguarda posso solo fare qualche piccola riflessione.






Trovo che se ne sappia davvero ancora poco dell’argomento e nello stesso tempo se ne sente parlare sempre più spesso e a sproposito.
Col rischio che l’intolleranza al glutine venga percepita come una moda da seguire per alcuni, una risposta a qualsiasi piccolo problema di salute per altri, una mania fastidiosa o peggio un business per altri ancora.

Quante sono le pubblicità di alimenti gluten free (ma anche senza lattosio) che neanche tanto velatamente, affermano che senza glutine è meglio a prescindere.

Ieri parlavo con una signora che mi ha detto che sua nipote non può mangiare più il grano. Le ho chiesto se avessero scoperto fosse celiaca e lei mi ha risposto che no, non lo è, ma siccome seguono metodi terapeutici “alternativi”, il medico (alternativo) le sta curando la tosse (virale) con una dieta speciale priva di glutine.
Parlando con un’altra mi ha detto che la causa della sua psoriasi è certamente dovuta a un’intolleranza al glutine. Certamente, lo ha detto il medico, alternativo pure quello, e quindi ora non mangia più nulla che contiene glutine e nemmeno lievito.
Io chiedo ingenuamente se hanno fatto analisi, test clinici, per accertare queste presunte intolleranze. Ovviamente no.

Una tipa in pizzeria si lamentava che ultimamente è un po’ gonfia e appesantita e quindi ha deciso (ha deciso lei senza alcun riscontro medico) che è diventata celiaca.
Magari se non si fosse scofanata tutta la ciotola di patatine e popcorn dell’aperitivo starebbe senz’altro meglio, pure col glutine, ma tant’è.
Stesse scene per quanto riguarda il lattosio, i lieviti eccetera. Ormai basta un foruncolo e si pensa di essere intolleranti a qualcosa.

Forse è solo il nostro fisico che ci sta dicendo di non appesantirlo con un sovraccarico di alcune sostanze a discapito di altre, di seguire una dieta varia ed equilibrata senza rinunciare del tutto a qualcosa.
È ovvio che se mi faccio fuori un intero filone di pane ancor prima di sedermi a tavola e lì continuo ad abbuffarmi senza ritegno, poi un tantino costipata posso esserlo, e se ripeto la cosa ogni giorno, posso aspettarmi che prima o poi il mio corpo si vendichi in qualche modo.

Poi c’è chi intollerante (o allergico, sono due cose diverse) lo è sul serio e deve rinunciare a determinati alimenti. Deve. Per forza, non per scelta o per moda.
Perché altrimenti sta male sul serio.
Queste persone rischiano di pagare a loro spese la deriva “free qualcosa”.
Perché se è vero che ci sono sempre più prodotti “free” in commercio, se iniziano a esserci ristoranti sensibilizzati e attrezzati in questo senso, è anche vero che si finisce per prendere troppo sotto gamba il problema e queste persone rischiano di non essere prese sul serio, perché ora tanto è una moda.

Una amichetta di mio figlio, celiaca davvero dalla nascita e in maniera inequivocabile, si è sentita male in montagna dopo aver mangiato una bistecca cotta in una piastra dove avevano scaldato dei panini. Ignoranza? Incompetenza? O semplicemente superficialità? Intanto lei è stata male davvero.

Il fatto è che la questione delle intolleranze alimentari viene vissuta anche con fastidio da chi si occupa di ristorazione, spesso non si attrezzano nemmeno all'eventualità di avere clienti celiaci.
Infatti la stessa bimba si è dovuta portare la pizza da casa durante la cena di classe perché la pizzeria non era attrezzata. Ma quanto ci vuole a comprare due pizze senza glutine surgelate e tenerle in freezer per ogni evenienza, che fra l’altro si cuociono direttamente nella teglia in dotazione e quindi non richiedono particolari attrezzature. Soprattutto se al momento della prenotazione, ben in anticipo, è stato chiaramente segnalato il problema?

È vero che avere un intollerante a cena è fonte di non poche ansie. Soprattutto se l’intolleranza è grave. Ma informandosi, conoscendo bene l’argomento e organizzandosi un minimo, non è così difficile.
La soluzione ottimale è cucinare un intero pasto gluten free per tutti. Si rimane sorpresi di quante pietanze ci sono già normalmente “sglutinate”.

Ecco quindi un intero menù.
Qui trovate il dolce. Meno difficile di quello che si può pensare.
Ho pensato a una torta con della frutta di stagione e una crema di ricotta.
Ho ovviamente utilizzato farine senza glutine: farina di mais, di riso, fecola, tapioca.
Queste farine hanno il difetto di non lievitare e di tendere a disgregarsi, a non stare insieme, proprio perché è il glutine che forma una maglia che tiene insieme l’impasto e permette la lievitazione.
In commercio si trovano mix di farine bilanciate a seconda della preparazione che si vuole fare, ma io ho pensato di usare farine comuni che quasi tutti abbiamo in casa e sfruttare il difetto a mio vantaggio.
Ho fatto una crostata “sbriciolata”, con la pasta croccante e friabile tenuta insieme dal ripieno umido e cremoso.
Facile, veloce, non serve nemmeno il mattarello e la spianatoia. Servono solo due ciotole, cucchiaio, coltello e tortiera perfettamente puliti.
Eccovi l’intero menù. Noi mettiamoci a impastare.


Antipasto di Linda: Hummus di piselli 












Crostata sbriciolata con ciliegie e ricotta 

Ingredienti* per una teglia da 20cm di diametro.
Per la pasta:
100g farina di mais fioretto,
50g amido di mais,
50g farina di riso,
50g farina di tapioca o fecola di patate,
100g zucchero metà semolato e metà di canna scuro,
70g burro,
1 uovo piccolo.

Per il ripieno:
25 ciliegie grandi mature ma sode,
150g ricotta,
1 cucchiaio scarso di zucchero.

*anche se queste farine sono normalmente prive di glutine accertatevi che non ne contengano tracce, leggete prima le indicazioni sulla scatola, dovete trovare la dicitura “senza glutine” o la spiga barrata.

Mescolate tutte le farine e lo zucchero, impastate velocemente con il burro freddo a dadini fino ad ottenere delle briciole. Unite l’uovo leggermente sbattuto e continuate a impastare fino ad ottenere un composto un po’ granuloso.
Compattatelo velocemente e avvolgetelo nella pellicola. Mettetelo in frigo per almeno mezz’ora.
Allargate 2/3 dell’impasto in una teglia leggermente imburrata, schiacciatelo con le mani in maniera da ottenere uno strato uniforme e fatelo risalire creando un bordo.
Snocciolate le ciliegie e recuperate il succo che fuoriesce. Lavorate la ricotta con lo zucchero e il succo delle ciliegie.
Versate la ricotta nel guscio di frolla, distribuite sopra le ciliegie.
Ricoprite tutta la superficie con l’impasto rimanente sbriciolato grossolanamente con le mani.
Infornate per 30 minuti a 180°C, forno statico. La superficie deve essere ben dorata.
Sfornate e fate intiepidire prima di togliere la torta dallo stampo (se è a cerniera è meglio).




Servite tiepido o freddo da frigo con della crema inglese, anche questa priva di glutine, o una pallina di gelato crema o fior di latte, ovviamente accertatevi che sia gluten free, se lo acquistate pronto.








INSALATA DI POLLO, ZUCCHINE GRIGLIATE E POMODORI CONFIT PER IDEA MENÙ.

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L’Estate è arrivata? Da qualche parte forse si, ma qui da me ancora non si è vista.
Fa qualche timida comparsa, tenta di affacciarsi ma subito un nuvolone carico di pioggia la ricaccia indietro.
Ok, tecnicamente bisognerebbe aspettare il solstizio per darne il via ufficiale. Ma noi già dai primi di giugno, in particolare alla conclusione dell’anno scolastico, siamo abituati a considerarla iniziata.
Invece quest’anno va così. Facciamocene una ragione. Per ora niente “Caldo Record”. Meno male che ci sono gli Europei di calcio altrimenti i TG non saprebbero come fare a riempire la rubrica “varie ed eventuali”.




D'altronde a Gennaio ci lamentavamo perché faceva troppo caldo e non nevicava mai, che qui da me è una mezza tragedia.
Quello che mi consola è che almeno non sono ancora pervenuti i consigli anti-caldo.
Tutti quegli esperti che consigliano saggiamente di vestirsi con abiti leggeri, non uscire nelle ore centrali della giornata, bere molta acqua fresca ma non troppo ghiacciata, mangiare frutta e verdura o comunque cose fresche e leggere.
Dei veri guru, maestri di vita, senza i quali ci ritroveremmo tutti a vagare a piedi in tangenziale sotto il sole di mezzogiorno vestiti come Reinhold Messner al Polo cibandoci di polenta col cinghiale e vin brulè.

Quest’anno, da brava foodblogger ho pensato di batterli sul tempo e darvela io una ricettina fresca e leggera. E anche facile e abbastanza veloce. Per prepararla occorre anche accendere il forno ma ne vale la pena, poi il “caldo record” non è ancora scoppiato e quindi si può fare.
Ovviamente non sono da sola, questo è infatti solo l’antipasto di Idea Menù, fatto in collaborazione con altre tre amiche blogger, Carla, Linda e Consuelo.

Questo menù si chiama per l’appunto “Voglia d’estate” e prevede piatti classici estivi ma in chiave più fresca e moderna, come  vedrete da Consu, o qualche sfizio furbo da preparare anche in anticipo, come il mio antipasto o il secondo di Carla. 
Infine un bel dessert, goloso come deve essere un dessert in qualsiasi stagione e qui ci pensa Linda.


Buon appetito e mi raccomando il piumino se fa caldo non mettetelo e bevete acqua non vin brulè !!! 

L'antipasto ve lo offro io, mentre il resto del menù lo trovate qui:

Primo  da Consu:  Paella vegetale 








Insalata di pollo, zucchine grigliate e pomodorini confit.

Ingredienti per 4-6 persone:
3 zucchine chiare,
20 pomodorini ciliegia,
½ petto di pollo (circa 300g),
½ limone,
erba cipollina,
maggiorana fresca,
finocchietto selvatico,
olio extravergine d’oliva,
origano secco,
sale, zucchero.

Per le zucchine grigliate:
mondate le zucchine e tagliatele a metà, affettate le mezze zucchine sottilmente nel senso della lunghezza ricavando fettine rettangolari. Grigliatele su una piastra ben calda.

Per i pomodorini confit:
tagliate a metà i pomodorini, cospargeteli di sale e poco zucchero, lasciateli sul tagliere in modo che perdano un po’ della loro acqua.
Disponeteli su una placca da forno antiaderente o coperta di carta forno, non occorre ungere. Cospargeteli con dell’origano secco e maggiorana. Se volete potete spolverarli con poco pangrattato, li renerà più saporiti e croccanti.
Infornate a 160°C per circa 1 ora forno ventilato.

Preparate il pollo:
tagliate il petto di pollo a fette spesse 1 cm circa, grigliatele sulla piastra ben calda per 3-4 minuti per parte, deve essere ben cotto ma ancora succoso.
Tagliate le fette in striscioline o dadini. Mettetele in una ciotola insieme alle fette di zucchina, condite con 2-3 cucchiai di olio d’oliva, il succo del mezzo limone e le erbe aromatiche fresche tritate grossolanamente. Salate e pepate a piacere.
Lasciate insaporire una mezz’oretta poi aggiungete i pomodorini e servite in tavola.
L’insalata si può mangiare tiepida ma anche fredda.
Si può preparare anche il giorno prima e conservare in frigo chiusa in un barattolo ermetico, anzi in questo caso i sapori si amalgamano maggiormente.

Se volete servirla in un modo carino procuratevi dei barattolini piccoli di vetro tipo quelli delle marmellate. Riempiteli con l’insalata condita cercando di alternare pollo, zucchine e pomodorini. Irrorate con il condimento e chiudete bene i barattoli.






Varianti:
Potete aggiungere olive nere taggiasche, scaglie di grana o melanzane al posto delle zucchine (o in più). Potete sostituire il succo del limone con dell’aceto bianco di mele o condire con solo olio d’oliva e magari completare alla fine con poche gocce di aceto balsamico tradizionale.
Preparata in quantità maggiori e arricchita anche con della rucola o del songino diventa un gustoso piatto unico.

Nota.
Già che accendete il forno, vi consiglio di preparare una bella quantità di pomodorini confit perché si conservano in frigo per 3-4 giorni chiusi in un barattolo di vetro e ben coperti d’olio. Sono ottimi con pane tostato per l’aperitivo e insieme a una mozzarella a dadini ci potete condire la pasta.

Sono fantastici anche sulla pizza, quasi in uscita, ma questo ve lo racconto nel prossimo post.



PIZZA AL PIATTO PER L’MTCHALLENGE N°58.

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Mancano poche ore alla fine della sfida di Giugno dell’MTChallenge e io sono ancora qui a tergiversare.
Il bello è che ho iniziato a preparare la ricetta già dai primissimi giorni, ho anche fatto le mie belle (belle!) foto.
Perché questa sfida mi ha entusiasmato fin da subito.
Antonietta Golino ci ha proposto di imparare a fare LA PIZZA




La pizza vera, quella al piatto alla napoletana, con tanto di disciplinare. Ma anche la pizza in teglia con una lunga lievitazione e per gli esperti di lievito madre ha pure spiegato l’impasto adatto.
Io che considero impastare come una terapia antistress non potevo che essere felice, la pizza poi è una cosa che in casa mette tutti d’accordo.
Con gli occhietti a cuore mi sono gettata a capofitto sulla pizza al piatto.
Perché è più simile a quella che si mangia in pizzeria, sebbene senza forno a legna la differenza c’è eccome.
Ma Antonietta ci ha spiegato anche il metodo di cottura per riuscire a farla bene anche nel forno di casa.

Sempre se si possiede un forno degno di questo nome.
Io non ho un forno. Io ho un attrezzo sovversivo e innominabile, per non dire proprio ignobile. Il Voldemort dei forni. Che a parole dice che può andare a 250°C ma in realtà al massimo ne fa 230. Però se lo imposto a 180 è probabile che decida di arrivare anche a 200°, così per puro spirito di ribellione. In più il grill funziona a fasi alterne. Totale anarchia.
Infatti il mio punto dolente con tutti i lievitati, dolci e salati, è sempre stata la cottura. Pur adorando impastare, pur riuscendoci anche in maniera soddisfacente, il rischio di veder rovinato tutto il lavoro in cottura è sempre altissimo.
Si salva giusto la pizza. Più o meno. Almeno così credevo o facevo finta di credere.
In realtà non sono mai arrivata a un risultato pienamente soddisfacente.
Non me ne sono mai preoccupata troppo, si sa che in casa più di tanto non si può ottenere. Ognuno se la racconta come può.

Probabilmente il più delle volte peccavo già dall’impasto, sempre troppa fretta e disorganizzazione, pensando che la pizza è facile da fare, non è come il pane.
Niente di più sbagliato. Un impasto ha bisogno di essere lavorato e di lievitare bene a prescindere da quello che deve diventare.
Antonietta ci ha insegnato l’impasto per la vera pizza napoletana da disciplinare e anche il metodo per cuocerla al meglio nel forno di casa.
E forse è la volta buona che frego colui che non deve essere nominato.

Se lo cambiassi con uno più obbediente sarebbe ancora meglio, è fuor di dubbio, ancor di più se insieme arrivasse anche una di quelle belle teglie in pietra refrattaria, che guarda caso ho visto su Amazon (io la butto lì, non si sa mai che legga qualcuno interessato)

Le pizze da presentare in gara sono tre.
Io partecipo con le mie prime tre pizze, le altre due sono solo prove che voglio mostrare lo stesso più che altro per avere un parere dai giudici, perché non è solo una gara ma anche un’occasione di confronto.
Io riporto fedelmente la ricetta di Antoniettache ho seguito al grammo. Sia per quanto riguarda l’impasto che la cottura mi sono attenuta alle sue indicazioni, sperando di averle interpretate correttamente, ho personalizzato solo il condimento.
Se volete vedere il procedimento passo passo vi consiglio di andare direttamente nel suo blog “La trappola golosa”.
Nel sito dell’MTC questo mese troverete una carrellata di pani piatti da tutto il mondo e approfondimenti e consigli su farine, impasti, abbinamenti, eccetera.

Come dicevo prima, son giorni che questo post aspetta di essere pubblicato. 
Aspettava che mi degnassi di scrivere due righe di presentazione e ultimamente mi pesa anche accendere il PC. Mi sembra di essere mio figlio quando deve scrivere un tema e ciondola davanti al foglio bianco sperando forse che fissandolo abbastanza intensamente questo si scriva da solo. Per non parlare del dover scegliere tra una cinquantina di foto, tutte brutte uguali, le meno peggio da pubblicare.
Poi capita di seguire i discorsi su impasto, idratazione, alveolatura, spessore, croccantezza, punto di pasta e quant’altro, di blogger che sanno cosa stanno dicendo, allora guardi con occhi nuovi e consapevoli le foto della tua “magnifica creazione” e tanto magnifica non sembra più e quindi fai melina fino all’ultimo sperando di riuscire a rifare tutto meglio. Invece no, buona la prima, per forza.
Non so quindi se ho fatto una vera pizza, se è una focaccia camuffata da pizza, o cos’altro, so solo che ho mangiato una cosa buona. Che la rifarò senz’altro e non una volta sola.




Pizza al piatto di Antonietta.
Ingredienti:
450g di farina con una percentuale di proteine del 12% circa*
Io ho mischiato metà farina 00 Garofalo W260 (con 13% proteine) con metà farina 0 Selex che poi è Molino Rossetto (proteine 11% circa),
250 ml acqua,
12g sale fino,
1g lievito di birra fresco (La quantità di lievito deve essere grande circa come un cappero sotto sale).

*molto in breve: la farina deve avere una percentuale di proteine di circa il 12% in modo che la lievitazione venga favorita. Le proteine formano il glutine che è responsabile della lievitazione. La quantità di proteine non dipende dal grado di raffinazione indicata con i simboli 0, 00, 1. Bisogna controllare la tabella nutrizionale sulla confezione.

Sciogliete il sale in una tazzina con un po’ dell’acqua per l’impasto, in un’altra tazzina sciogliete il lievito di birra sempre prendendo un po’ dell’acqua dal totale.
Setacciate la farina in una ciotola capiente, unite il lievito di birra sciolto e l’acqua rimanente, iniziate a lavorare con una mano pian piano incorporando l’acqua alla farina. Infine unite anche l’acqua dove avete sciolto il sale.
Impastate energicamente finché tutta l’acqua è incorporata e la pasta inizia a  compattarsi e staccarsi dalla ciotola.

Rovesciate la pasta sul piano di lavoro e impastate energicamente per almeno 20 minuti, allargando e ripiegando la pasta molte volte. Continuate a lavorare finché l’impasto diventa omogeneo, liscio, morbido e non appiccicoso.
Cercate di non aggiungere troppa farina in fase di impasto. All’inizio l’impasto tende ad attaccarsi al piano di lavoro, soprattutto se di legno, utilizzate una spatola di metallo per staccarlo in un colpo solo. Se avete un piano di marmo l’operazione è più facile.
Se l’impasto dovesse essere troppo duro, perché la farina ha assorbito tutta l’acqua, bagnatevi leggermente le mani e continuate ad impastare, potete ripetere l’operazione finché l’impasto ha la giusta consistenza.
Potrebbero volerci anche più di 20 minuti per ottenere un impasto veramente morbido e liscio.



A questo punto mettetelo in una ciotola grande di vetro o ceramica, coprite con la pellicola per alimenti e fate lievitare per circa 2 ore o più, dipende dalla temperatura che avete in casa. Comunque l’impasto deve raddoppiare.




Al raddoppio prelevate nuovamente l’impasto e dividetelo in panetti di uguale peso separandoli con le mani. Io ho formato 4 panetti di circa 180g ciascuno.
Ho dato la forma di palline e le ho messe in un vassoio con i bordi alti ricoperto da un telo asciutto e pulito, non infarinato. Li ho coperti con un foglio di pellicola per alimenti e poi con un altro telo pulito.
Ho lasciato lievitare i panetti a temperatura ambiente per circa 4-5 ore.
Anche in questo caso i panetti devono praticamente raddoppiare di volume.




A questo punto non resta che preparare la pizza.
Scaldate il forno alla massima temperatura, lasciatelo scaldare anche mezz'ora dopo che ha raggiunto la temperatura. Mettete nel forno a scaldare anche la teglia per la  pizza.
Allargate con le mani un panetto di pasta, girandolo su se stesso senza usare il mattarello.
Scaldate sul fornello una padella antiaderente col fondo molto pesante, quando inizia a fumare mettete il disco di pasta e fate cuocere per circa 2 minuti. Trasferite la pasta nella teglia calda e conditela a piacere.
Infornate nella parte alta del forno, col grill acceso, per circa 5 minuti o finché non risulta bella dorata.

Naturalmente riesce tutto perfettamente con un forno che supera i 250°C, una teglia in ferro o ancora meglio in pietra refrattaria e una padella in pietra.
Io non avevo nulla di tutto ciò, ho usato una comune seppur dignitosa padella antiaderente pesante, una comunissima e meno dignitosa teglia per pizza antiaderente e il mio forno (l’Innominato).
Ma l’impasto di Antonietta è davvero miracoloso perché è venuta bene lo stesso, sicuramente non perfetta come da disciplinare, ma è comunque la miglior pizza che ho fatto da sempre.
Figuriamoci appena mi procuro attrezzature decenti, tipo una teglia in refrattaria, tanto per dirne una. E chi vuol capire capisca.

Con questa dose ho preparato quattro pizze.

La prima è una semplice pizza con salsa di pomodoro fatta dalla mia mamma, mozzarella di bufala, origano e basilico fresco. Che ho tirato forse un po' troppo e al centro è rimasta sottilissima, le fette si piegavano come linguacce.










La seconda è una pizza bianca con mozzarella di bufala, provola silana, pomodorini confit, messi negli ultimi due minuti di cottura, e basilico. Per i pomodori confit vedete il post precedente.











La terza è sempre bianca con mozzarella, stracchino di capra, zucchine grigliate e erbe aromatiche fresche in uscita (maggiorana, erba cipollina e finocchietto tritati grossolanamente).












Le pizze bianche tendono ad asciugarsi di più, a meno di sovraccaricarle di formaggio, ma avevo paura che colando dai bordi si potesse bruciare. Quindi la pasta tende a gonfiarsi in cottura creando delle bolle come questa sopra.


L’ultima, fuori gara, è cotta direttamente nella teglia molto calda. Ho provato l'altro metodo di cottura per la pizza al piatto di Antonietta.
Allargate il disco di pasta come descritto sopra, tirate fuori la teglia dal forno, stendete il disco di pasta senza oliare e conditelo subito a piacere. Infornate immediatamente nella parte più bassa del forno per circa 5 minuti, poi trasferitelo nella parte più alta fino a doratura.
Con questo metodo viene bene se si ha una buona teglia e un buon forno.
Nel mio caso ho preferito di gran lunga il metodo con la padella. Perché il bordo si è gonfiato di meno e non si è dorato abbastanza.









Quinta pizza, che la gara non la deve nemmeno nominare.
Questo è invece lo stesso impasto di prima steso direttamente in teglia, fatto riposare, condito e cotto in forno. In realtà Antonietta ci ha insegnato un impasto perfetto anche per la pizza in teglia, con una lunga e doppia lievitazione, prima in frigo, poi a temperatura ambiente. La proverò sicuramente.
Questa ultima pizza è solo figlia della fretta e della serie di contrattempi che spesso si mettono di traverso. Volevo rifare la pizza al piatto, ma invece di 2 ore sono dovuta uscire ho lasciato l’impasto nella ciotola 4-5 ore a temperatura ambiente. Fortuna che non faceva ancora caldo. Ad ogni modo è arrivata quasi l’ora di cena.
Così ho tirato la pasta con le mani cercando di farla più sottile possibile, proprio pochi millimetri, l’ho stesa in tre teglie tonde da 32cm di diametro leggermente oliate e ho lasciato riposare per un’altra ora coperta con un telo pulito.
Nel frattempo ho scaldato il forno alla massima temperatura (per me 230°C circa),
ho condito le pizze e le ho infornate, prima 5-6 minuti nella parte più bassa poi in alto fino a doratura. Ovviamente una alla volta.
Forse è rimasta un po’ più spessa del dovuto, perché in teglia ha continuato a crescere, ma anche in questo caso è stata spazzolata in un amen, perché l’impasto è leggero e gustoso.
Le foto sono state fatte per puro dovere di cronaca e per abitudine, per dimostrare che questo impasto può creare dipendenza e per dar la colpa a Antonietta del mio sicuro fallimento della prova costume (no, non ti preoccupare, avevo già perso in partenza).
Inoltre ho fotografato quella che potrebbe ritorcermisi contro, l’onta di ogni foodblogger gourmet, mamma responsabile e aspirante pizzaiola: “la pizza trucida”.
Ovvero comune mozzarella, olive verdi e wurstel, tutto rigorosamente del supermercato più vicino. Ma ci credete che era buonissima lo stesso?






Per espiare le mie colpe la prossima volta preparerò la pizza in teglia col metodo diretto di Antonietta, sarà un sacrificio.

IL GIARDINO DI GUERRIGLIA E IL TABBULEH A MODO MIO.

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Io adoro Stefania Bertola.
Ho letto quasi tutti i suoi libri. Perché sono freschi e divertenti. 
Mi piacciono i suoi personaggi un po’ ingenui, un po’ surreali, un po’ sopra le righe, a volte persino tonti ma nello stesso tempo credibili. Riescono sempre a ricordarmi qualcuno che conosco.
Le storie sono azzeccate, mai esagerate ma mai banali. Finiscono nel modo che dovrebbero finire, non ce ne poteva essere un altro, eppure divertono fino alla fine.
Mi piace il suo modo di scrivere, veloce, leggero e ironico, lievemente distaccato ma coinvolgente e preciso.
Ogni libro che leggo vorrei averlo scritto io.
In questi giorni ne ho letto uno che invece avrei anche POTUTO scriverlo io. Se solo ci avessi pensato prima.





Sembrava scaturire direttamente dal mio cervello, il che forse non depone molto a favore della scrittrice, ma è così. Mi sono sentita rappresentata in ogni singola riga.
Mi son ritrovata a sorridere pensando, ma quella sono io, ma quella donna la voglio conoscere assolutamente.

Il volume in questione è “IL GIARDINO DI GUERRIGLIA”.
È un diario dell’autrice stessa che racconta delle sue battaglie da giardiniera volenterosa, piena di idee e di progetti grandiosi sul giardino di casa sua, ma tendenzialmente distratta e frettolosa, troppo impegnata e forse un tantino pigra.
Praticamente ME.
O almeno la versione migliore di me, va detto.

Perché alla fine lei riesce ad avere un giardino degno di questo nome.
Perché nonostante le piante disubbidienti, i vicini, i passanti, quelli che aspettano l’autobus di fronte a casa, i cani, i gatti, gli insetti, il tempo inclemente, le stagioni anarchiche, la Natura Matrigna e persino un paio di volontari della Protezione Civile non proprio civili, nonostante tutto lei ci riesce. Ha il suo giardino fiorito.

A me invece le cose vanno diversamente.
Anche il mio approccio al giardinaggio è piuttosto battagliero, o piuttosto guerrafondaio. 
Parto armata di tutto punto, soprattutto progetti e belle speranze bucoliche, che nella realtà si traducono in una landa brulla e incolta che neanche il napalm.

Ogni primavera mi riprometto di prendermi cura del fazzoletto di terra davanti a casa.
Più che altro ci penso, lo vedo bello, colorato e rigoglioso nei miei pensieri.
Ma si sa che tra dire e il fare.
Allora finisce come sempre, che mi limito a far tagliare l’erba quando è talmente alta che il cane non riesce più a uscire. Ma ho un cane piccolo, sia chiaro.

Ogni tanto ci provo, vado al vivaio, compro tante belle piantine, soprattutto aromatiche e per una mattina sembro persino vera. Consapevole di quello che faccio.
Poi boh, mi dimentico di innaffiare, di estirpare le erbacce tutte intorno, così che non si distinguono le piante dal resto e il primo decespugliatore che passa fa una strage.

Mi è successo anche con i bulbi dei tulipani. Li ho piantati da brava in autunno per avere la fioritura primaverile. Solo che quando spuntano bisogna tenerli d’occhio, eliminare a mano le erbacce appena accennano ad avvicinarsi, in modo che abbiano spazio e modo di svilupparsi.
Invece niente, me ne sono dimenticata, non sapevo nemmeno più di averli piantati.
Mi è venuto in mente solo nell'attimo in cui, rincasando ho visto il prato appena tagliato dal volenteroso vicino ignaro di tutto.

Veramente li ho piantati non so più quante volte. Gruppi di 10-12 bulbi a formare macchie di colore diverso. Un po’ per tipo, cercando di programmare le fioriture fino a estate inoltrata.
Narcisi, iris, crochi, tulipani, gladioli.
Tutto perfettamente progettato. Nei miei pensieri più ottimisti e ingenui.
Ne saranno fioriti una decina in tutto, il primo anno, poi basta.
Mangiati dalle lumache, spariti nel nulla, rapiti dagli elfi dei boschi e portati in salvo in qualche giardino vero. Dalla vicina suppongo, che fa concorrenza al Castello di Pralormo.
Per questo quando ho letto che anche lei ha lo stesso problema coi bulbi mi son sentita capita nel profondo. Una sorta di sorellanza.

Qualche giorno fa ho deciso che la striscia di terra sul muretto che costeggia il vialetto di ingresso, dove è rimasta solo una rosa eroica, andava ravvivata con qualche piantina.
Mi sono innamorata delle portulache e delle sua sua parente prossima, la Delosperma, quelle piante semi grasse, infestanti, che formano quei bei cuscini di rametti e foglioline cicciottelle, pieni di fiori fucsia. Quelle che in teoria non hanno bisogno di nulla, poca acqua ogni tanto, l’erbaccia se la soffocano da sole e non dovrebbero piacere molto alle lumache.
Quelle che qui dove abito io sono ovunque, persino nell'asfalto, sui muri, nella sabbia, che d’inverno superano gelo e neve e d’estate rispuntano da sole, senza doverle nemmeno convincere e fioriscono coloratissime e rigogliose per tutta l’estate.
Le ho piantate, ancora piccine e timide, un po’ distanti fra loro come vivaista comanda, e ora non mi resta che pregarle e supplicarle di attecchire, di fare il loro dovere di piante rustiche e autosufficienti, di spandersi in lungo e in largo coerenti con la loro qualifica di infestanti.
Vi saprò dire.

Intanto vi presento un piatto che ho trovato nel libro. L’autrice lo prepara in occasione di un pic-nic in giardino e ho deciso di rifarlo, un po’ a modo mio, in onore di questo libro e di chi l’ha scritto ma anche perché capita a fagiolo per l’appuntamento con Idea Menù.

Questa volta il tema è “piatti senza cottura” e io che devo fare il primo ho pensato a un Tabbuleh di ispirazione mediorientale. 
Ossia bulghur precotto, pomodoro, cipollotti, menta e prezzemolo, olio e limone.
Nel libro l’autrice sostituisce le cipolle con erba cipollina e aggiunge erba limoncina, io ho ulteriormente aggiunto un tocco personale mettendo olive snocciolate, rapanelli e qualche cubetto di primo sale.
Una piccola variante ligure-piemontese che non guasta.


Ecco il resto del menù:

L'antipasto di Consuelo: Cous cous crudista


Dolce di Carla: Soufflè gelato












Tabbuleh alle verdure.

Ingredienti per 5-6 persone:
250g bulghur o couscous precotto*,
2 cipollotti freschi,
olive verdi denocciolate,
olive nere taggiasche denocciolate,
1 pomodoro cuor di bue,
4-5 rapanelli,
150g primo sale o formaggetta fresca di Langa,
1 mazzetto di prezzemolo,
1 rametto di menta,
erba cipollina, basilico, maggiorana e erba limoncina a piacere,
olio extra vergine d’oliva,
2 cucchiai di succo di limone.

Il bulghur precotto, come il couscous, va solo reidratato per 5 minuti con poca acqua calda o tiepida, secondo le indicazioni della scatola. In commercio si trova più facilmente il bulghur da cuocere, facendolo semplicemente bollire in acqua salata come il riso.
Una volta pronto fatelo raffreddare bene e conditelo con olio e una spruzzata di succo di limone.

Lavate le erbe aromatiche, staccate tutte le foglie  e tritatele finemente con un coltello, mescolatele al bulghur.
Tagliate il pomodoro a cubetti piccoli e salateli leggermente, tagliate a rondelle le olive e i rapanelli. Tritate finemente i cipollotti.
Tagliate a dadini anche il formaggio.
Mescolate tutto al bulghur, aggiustate di sale e olio e lasciate insaporire un’ora a temperatura ambiente. Servite freddo.

Potete anche prepararlo in anticipo il giorno prima, in questo modo i sapori si amalgamano di più. Aggiungendo anche del tonno sott’olio, del pollo grigliato a dadini o legumi lessati, per esempio ceci, diventa un piatto unico completo.






UN LIBRO E UN APERITIVO PER IDEA MENÙ

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Ho deciso di riprendere con la rubrica sulle mie letture.
Quando ho aperto il blog mi ero ripromessa di parlare solo dei libri che mi son piaciuti e abbinare a ognuno un piatto che in qualche modo mi è stato ispirato da quelle pagine.
Bene.
Stavolta la missione non è compiuta del tutto.
Nel senso che il libro di cui vi parlo mi è piaciuto nonostante alcune riserve e il piatto che ho scelto non c’entra nulla o quasi con la storia che è narrata.
L’unico punto in comune, se vogliamo, è l’estate, le vacanze e la voglia di leggerezza.

Il libro ci rientra perché  è uno di quelli facili e veloci che si leggono bene in vacanza, sotto l’ombrellone quando fa troppo caldo per letture impegnate ma si ha voglia di svagarsi un po’ e sorridere sulle disavventure altrui.
Categoria letteraria che ultimamente cerco come l’oro, perché di paturnie personali ne ho d’avanzo e un po’ di leggerezza ci vuole.






L’autrice è Federica Bosco.
Ho letto tre o quattro suoi libri e questo è quello che mi è piaciuto di più. Non che gli altri siano brutti, per carità. Lo stile è moderno e leggero, con bei guizzi di ironia. Le storie son carine e divertenti.
Ma a volte le protagoniste non mi hanno convinto, troppo sfigate, troppo Bridget Jones.
Io non so voi, ma dopo la terza sciagura, la quarta débâcle e l’ennesima gaffe, una in fila all'altra, mi viene il nervoso. Anche Mister Bean ogni tanto ha qualche secondo di tregua, qualche slancio di dignità.

Ma io non sono una critica letteraria, non sono all'altezza, per cui prendete le mie opinioni con le pinze.
Io ragiono e leggo di pancia, se un libro mi tiene in qualche modo incollata alle pagine e non mi fa venir voglia di andare a stirare allora è bello.
Questi libri hanno tenuto desta la mia attenzione se non altro perché volevo vedere fino a che punto si spinge l’autodistruzione femminile, fin dove poteva arrivare la sfiga, e come l’autrice sarebbe venuta fuori da tutti i casini da lei orditi. E probabilmente è quello che voleva lei.

Il libro che vi propongo oggi è: L’amore non fa per me di Federica Bosco.
La protagonista è Monica, giovane italiana aspirante scrittrice che vive a New York.
Non si sa bene cosa faccia in quella città né perché ci sia finita. Forse c’è un prequel che non ho letto, mi informerò.
La incontriamo alla vigilia della sua partenza per l’Europa dove, dopo un breve soggiorno a Roma per incontrare i suoi genitori, si dovrà trasferire in Scozia per raggiungere il suo fidanzato Edgar, che è anche il suo editore, e coronare in un colpo solo il suo sogno d’amore di accasarsi col principe azzurro e pubblicare il suo primo romanzo.
Già dalle prime pagine si intuisce che non sarà esattamente una passeggiata perché viene indotta in tentazione dal suo ex fidanzato proprio sulla strada per l’aeroporto. Ex fidanzato stronzo e fedifrago che l’ha mollata per sposare un’altra, ma ovviamente è un figo pazzesco.
La ragazza non cede e vola dritta a Roma, dove l’aspetta la sua famiglia tutt'altro che tranquilla. Comunque se si aspettava un aiuto psicologico dovrà farne a meno e quindi accorcia il soggiorno a casa e si precipita finalmente tra le braccia del suo amato bene, verso una vita rosea di successi lavorativi e non.
Quasi. La realtà è ben diversa.
La vita che l’aspetta non è proprio come se l’era immaginata: il paese in cui abita il fidanzato è sperduto nella brughiera scozzese e tutti sembrano guardarla male e paragonarla di continuo alla prima moglie di Edgar, morta in un incidente d’auto.
I fantasmi sono già invadenti di loro anche quando li conosci e sai come evitarli, figuriamoci quello di qualcuno che sembra essere stato un essere perfetto.
Mettiamoci pure che l’amabile suocera non è così amabile, che il lavoro che trova non è esattamente quello che si aspettava, che il principe azzurro non è esattamente così azzurro, direi piuttosto un grigio un po’ spento (nemmeno una delle 50 sfumature, accidenti).
Ci si mette pure il redivivo ex newyorchese che non accenna a rinunciare a lanciare messaggi tentatori, pur dall'altra parte dell’oceano.
Insomma la situazione si preannuncia catastrofica, ma non tutto è da buttare, inoltre il senso dell’umorismo della protagonista è molto sviluppato, quindi riesce anche a vedere il lato comico delle situazioni. Ma ci riuscirà davvero? Riuscirà a far fronte a tutte queste avversità e coronare il suo sogno d’amore e successo con l’uomo giusto? Con chi: l’affascinante e maturo editore nella brughiera scozzese o il bello e impossibile giovanottone a New York?
Io non ve lo dico.
Il libro è carino, molto scorrevole e scritto con un bel senso dell’ironia. Forse è per questo che gli si perdonano dei personaggi un po’ troppo esagerati, a volte delle macchiette.
Il finale però non mi ha convinta del tutto, sembra tronco. Sembra che l’autrice si sia fermata per andare a far dell’altro. O forse ha voluto lasciare aperta una porta per un seguito della storia.
Io personalmente a quel punto alla protagonista avrei fatto dire un sano e liberatorio “ma vaffanculo va!”.
Il perché scopritelo da voi.

“la Scozia è straordinaria, verde, tormentata, aspra e magnifica. I grossi edifici in pietra, austeri e freddi, sono ammorbiditi dal verde e dai sorrisi della gente allegra e ospitale.
…Lasciamo Edimburgo e prendiamo l’autostrada … Dopo molte pecore, castelli e corvi arriviamo al paese di Edgar.
Culross. Come farò a dire ai miei che sono andata a vivere a Culorosso?”

“Lo credo che era innamorato di lei, mi innamorerei anch'io! Alta, mora, con i capelli pazzi, pelle bianchissima, un sorriso gigantesco delineato dal rossetto rosso fuoco che sta bene a quattro donne al mondo. A questo incantevole aspetto aggiungiamo: senso dell’umorismo, intelligenza oltre la media, innata capacità di accendersi le sigarette con le dita dei piedi e di compilare la dichiarazione dei redditi, naturalmente una bomba a letto, ed ecco a voi: la donna perfetta. Sento una fitta di gelosia che parte dalla fine dell’osso sacro e raggiunge ogni doppia punta che possiedo…”


La ricetta che ho scelto è un classico piatto da apericena estivo, da fare su una terrazza in riva al mare, in giardino, in campagna o nel portico di una baita in montagna, poco importa.
È veloce da preparare, si può friggere o cuocere in forno. O su una piastra bella calda.
Ma anche mangiare crudo con una bella salsa saporita.
L’ho accompagnato a un cocktail, anche questo di facile e rapida preparazione e non richiede nemmeno ingredienti particolari.
Tutto questo per Idea Menù, che questa volta ha come tema proprio l’aperitivo in vacanza.
Altre sfiziose proposte le trovate come sempre da Carla, Consuelo e Linda.
Veramente ho cucinato ben due piatti, ma oggi ve ne racconto solo uno. L’altro lo scoprirete magari nel prossimo post.

Ecco le proposte delle mie amiche:

Consuelo: Involtini di melanzane grigliate con yogurt greco, menta e salmone affumicato

Carla: Rotolini piccanti di spatola

Linda: 










Italian spring rolls - Involtini primavera-estate all’italiana.

Ingredienti per 4-6 persone:
12 sfoglie di riso per involtini,
2 zucchine chiare piccole,
1 piccola carota,
5-6 rapanelli,
provola fresca o scamorza,
2 cipollotti freschi,
2 rametti di maggiorana fresca,
qualche foglia di menta,
2 rametti di finocchietto,
zenzero in polvere,
olio extra vergine d’oliva,
salsa di soia o aceto balsamico.

Lavate e grattugiate le verdure con la grattugia a fori grossi o tagliatele a coltello in una julienne molto fine.
Mettete tutto insieme in una ciotola con le erbe aromatiche tritate fini. Condite con poco sale, due cucchiai di olio, una bella spolverata di zenzero e una spruzzata di salsa di soia o aceto balsamico.
Lasciate insaporire per mezz’ora.
Ammorbidite le sfoglie di riso in acqua fredda, tamponatele con uno strofinaccio pulito e farcitele con una cucchiaiata di verdure e qualche cubetto di provola.
Richiudetele a saccottino: piegate le due estremità laterali e poi avvolgete a cilindro.

A questo punto potete procedere in più modi diversi:

disponeteli in una pirofila unta di olio, spennellateli con poco olio e infornate a 200° per circa 15 minuti, finché son ben dorati, questo è quello che ho fatto io,

o friggete gli involtini in abbondante olio di arachidi,

oppure dorateli da tutti i lati su una piastra ben calda, spennellandoli con poco olio mischiato con acqua fredda,




oppure potete mangiarli crudi come gli involtini vietnamiti che ho già preparato QUI, intinti in una salsa a piacere, come per esempio una semplice emulsione di olio d’oliva, zenzero, peperoncino e salsa di soia.

Per una versione vegana o senza lattosio omettete il formaggio.




Il cocktail che vi propongo è una semplicissima versione del Claret Cobbler:

Claret Cobbler a modo mio:
vino rosè frizzante o rosso mosso leggero (tipo Lambrusco frizzante),
uno spruzzo di maraschino,
frutta di stagione a cubetti,
foglie di menta,
ghiaccio tritato,
uno spruzzo di acqua frizzante ghiacciata se si vuole più leggero.

Direttamente nel bicchiere mettete due cucchiai di ghiaccio tritato, il maraschino e i cubetti di frutta. Versate il vino ben freddo, completate con la menta. Se volete potete aggiungere un goccio di acqua frizzante. Guarnite con uno spicchio di frutta. Servite subito. 

Purtroppo nel tempo di fare le foto, col caldo che faceva, mi sono giocata le bollicine del cocktail. Io ho messo poco ghiaccio per evitare che appannasse il bicchiere, ma voi potete abbondare a piacere.





Come vedete nelle foto, c’era anche un piatto di zucchine ripiene, antipasto ligure che non può mancare sulle nostre tavole estive. Ma qui è in una versione molto più facile e veloce. Ve la racconterò spero presto.

BARRETTE AI CEREALI,COCCO E LAMPONI PER PERCORRERE I SENTIERI DEL MARMO FRABOSANO.

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Questa volta l’appuntamento con Idea Menù ci porta in montagna, con una serie di pietanze pensate per un pic-nic o un escursione in quota, fra boschi e malghe.
Io ormai sono mezza montanara e non potevo certo sottrarmi nonostante il caldo e la poca voglia di cucinare.
Quando si va per sentieri di montagna, tra le altre cose utili da portare nello zaino, non può mancare qualche snack energetico da sgranocchiare all'ombra di qualche albero frondoso.
L’importante è non lasciare MAI in giro carte, bottigliette e rifiuti in genere. Al massimo le briciole, se mai dovessero rimanere.
Prima di darvi la ricetta vorrei ancora una volta parlare di libri.
Questa volta il libro che ho scelto non poteva essere più azzeccato al tema del menù.
Perché parla di sentieri di montagna, di rocce, di cave e di persone che in queste montagne son nate e cresciute. Di storie antiche ma anche attuali.





Le montagne in questione sono le mie, ovvero quelle di Frabosa Soprana, che da 11 anni ormai mi hanno accolto e adottato facendomi sentire un po’ frabosana.
I sentieri sono quelli che portano alla scoperta di una grande ricchezza del territorio, le cave di marmo nero e di marmo verzino, incastonate come gioielli tra le rocce di Frabosa  Soprana e Frabosa Sottana, un tempo una importante risorsa economica per la zona.
Si tratta infatti di un marmo pregiatissimo, policromo, che è stato usato per costruire per esempio la Cappella del Guarini che a Torino conserva la teca della Sacra Sindone .

Di recente è stato istituito l’Ecomuseo del Marmo, volto a far conoscere questa ricchezza naturale a cui si lega la storia passata delle comunità montane monregalesi.
Il Comune di Frabosa Soprana sta allestendo la sede appropriata, ma mancava ancora qualcosa, e visto che il sindaco, la professoressa Jole Caramello, è insegnante di lettere l’idea di fare un libro è stata quasi immediata. 

Poteva scriverlo lei stessa o lasciare che se ne occupasse qualche giornalista o studioso della materia, invece ha chiamato a raccolta i bambini della Scuola Primaria di Frabosa Soprana.
Sono loro gli autori del libro. Aiutati dagli insegnanti, dalle famiglie e da tanti abitanti del paese.

Per un anno intero hanno raccolto informazioni andando a parlare con gli anziani, coloro che meglio ricordavano la vita ai tempi delle cave. Hanno ripercorso insieme agli insegnanti e guide esperte i sentieri che portano a quelle cave ormai abbandonate.
Hanno cercato e raccolto manufatti e utensili, fotografato, ascoltato racconti di vita e leggende,  rielaborato informazioni creando disegni, dipinti, poesie, filastrocche e storie.
Tutto questo è diventato il libro: “SUI SENTIERI DEL MARMO”  edito da PRIMALPE.
Dire che è stato un lavoro egregio è dire poco.







Lo so che potrei sembrare  un tantino di parte. Mio figlio, ormai alla scuola media, ha frequentato questa scuola, è stato compagno di molti di questi bambini che conosco tutti uno per uno, li ho visti nascere in pratica. Conosco bene anche quasi tutti gli insegnanti.
Ma è palese che un progetto come questo, portato avanti con passione, faccia ben sperare nella Scuola con la maiuscola.

Non sarà una recensione obiettiva, ma del resto nessuna lo è perché alla fine giudichiamo col cuore. Anzi facciamo così, prendiamola proprio come uno spot pubblicitario spudorato e sentito a questo libro, a questo paesino e alle sue montagne e a un’idea di scuola che mi piace molto. Ecco.

E visto che in montagna vien fame eccovi qualche golosità da mettere nel cestino da pic-nic.
Io vi offro un dolcino, come ho già detto, energetico.
Le mie amiche e socie blogger Carla, Linda e Consuelo vi propongono altre ricettine da non perdere assolutamente.












Barrette ai cereali, cocco, cioccolato e lamponi freschi.

Ingredienti per circa 15 barrette.
100g farina 00,
100g farina integrale,
80g cocco rapè,
50g avena in fiocchi,
20g riso e orzo soffiati,
150g burro morbido,
50g zucchero bianco,
50g zucchero di canna,
1 uovo medio,
½ cucchiaino di lievito (facoltativo).

Per farcire:
100g lamponi freschi,
80g cioccolato (io metà fondente e metà gianduia),
2 manciate di cereali soffiati,
zucchero di canna.

In una ciotola mescolate le farine, il cocco, i cereali, lo zucchero e il lievito. Unite il burro morbido e l’uovo leggermente sbattuto. lavorate velocemente con le mani fino ad avere un composto sbriciolato. Coprite la ciotola con la pellicola e mettete in frigo per una mezzoretta.

Distribuite  2/3 del composto in una teglia rettangolare ( cm23x30 circa) foderata con carta forno, premete leggermente e distribuitevi i lamponi, il cioccolato tritato grossolanamente e i cereali. Infine coprite con il resto del composto sempre a briciole.
Cospargete con poco zucchero di canna e infornate a 180°C per circa 20 minuti. Deve essere ben dorato. Fate raffreddare completamente e tagliate a quadrati o rettangoli.



Per trasportarli meglio, visto che si sbriciolano facilmente potete avvolgere ciascuna barretta in carta oleata o tovagliolini di carta, oppure disporli in un contenitore di plastica col coperchio.

Potete sostituire i lamponi con altri frutti di bosco o altra frutta in pezzi secondo la stagione e i gusti. Oppure usare frutta disidratata al posto di quella fresca.






SAGRA DELLA LUMASSINA E LE BUGIE ALLA FEGLINESE. PERCHÉ COME LE RACCONTIAMO NOI …

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O meglio come le facciamo noi.
Parlo di bugie buone.
No, non quelle che si raccontano, nemmeno se a fin di bene. Quelle piccole bugie dette per non offendere gli altri, piccole omissioni, perché a volte la verità non è necessaria.
Tipo quando un’amica chiede cosa pensi del suo nuovo fidanzato e tu fai finta di non aver ben capito la domanda pur di non dire che invece ti sta simpatico come una verruca. Tanto sai che quell’amica poi rinsavirà da sola nel giro di due o tre appuntamenti col soggetto in questione. Magari il tipo è meglio di come sembra.
Oppure quando ricevi un regalo “un po’ originale”, meglio non dire che la tazza da colazione a forma di maiale che grugnisce quando la usi non è esattamente nel tuo stile.
Ora con questo non voglio dire che bisogna mentire. Ma tra la sincerità e la brutalità gratuita a volte il passo è breve. A volte è meglio un educato e lungimirante silenzio.
Sempre che ci si riesca. Perché spesso dove non arrivano le parole ci pensano le espressioni del viso a rivelare i pensieri. Io sto ancora imparando a controllare la mia faccia.
Ma ora voglio parlare di un altro tipo di bugie, quelle che si friggono e si mangiano.





In tutto il resto d’Italia sono tipiche del Carnevale. Hanno nomi diversi ma sono sempre quei ravioloni fritti ripieni di crema o marmellata.
A Feglino, in Liguria, dove sono nata e cresciuta, sono ormai diventate simbolo dell’estate.
Perché sono uno dei piatti immancabili della Sagra del Vino Lumassina che si tiene ogni anno nel primo week end di Agosto. Praticamente mentre state leggendo.
Le sagre liguri, si sa, sono sempre qualcosa di esagerato.
Si prende a pretesto un prodotto tipico locale o un piatto particolare per organizzare una festa. Poi si finisce sempre in un’orgia di cibo che di solito dura almeno un paio di giorni.
In questo caso il pretesto è stato il vino tipico della zona, la Lumassina appunto, un bianco secco leggero e aromatico, leggermente acidulo; verso Noli e Spotorno si chiama Mataossu, nella zona di Quiliano invece prende il nome di Buzzetto, che poi significa acerbo.
Forse per il sapore leggermente aspretto o perché si tende a vendemmiare presto rispetto ad altre uve e il tempo di fermentazione nei tini è piuttosto breve.
Il nome Lumassina indica anche il vitigno che è proprio autoctono, il nome in dialetto significa piccola lumaca, pare perché veniva solitamente accompagnato alle lumache, piatto tipico del finalese, indagherò ancora.
Comunque la sagra è arrivata alla trentanovesima edizione.
Chi organizza è di solito l’Associazione Volontari Feglinese, in pratica la Pro Loco, aiutata dal gruppo locale degli alpini, dal Comune, dai volontari anti incendio, eccetera, fino ad arrivare al parroco con chierichetti e catechisti, e tutti questi coinvolgono parenti, amici, vicini di casa.
In pratica tutta la popolazione. Anche perché il paese è piccolo e tutte queste categorie si intersecano.
Nella piazza principale viene montato lo stand con la cucina, poco distante quello del bar. Vengono “sequestrate” le cucine, tavernette e forni nelle vicinanze e via alle danze.
Si inizia a cucinare, ognuno sa già cosa deve fare.
Si preparano i piatti tipici della cucina ligure: trippe, trenette o trofie al pesto, ravioli, cima, torte di verdura, cinghiale, cundijun, farinata, focaccini salati fritti, pesche alla Lumassina e ovviamente le bugie alla feglinese.
Veramente ogni piatto è “alla feglinese”, perché seguiamo le ricette della zona che sono simili ma un po’ diverse da quelle di Genova. Qui siamo infatti in provincia di Savona, poco sopra Finale Ligure, in piena Terra di Mezzo (della cosa ne avevo parlato ampiamente QUI).
E visto che di solito nei giorni della sagra io faccio parte del gruppo delle signore addette alle bugie, vi voglio dare proprio questa ricetta.
Sono bugie ripiene di crema pasticcera profumata al limone.
La ricetta originale (super segreta) che fa parte ormai della storia della sagra viene da una “nonna” che purtroppo non c’è più, ma tutti la ricordano ancora come una delle colonne del paese.
Poi ovviamente in ogni famiglia ci sono varianti personali.
Io vi do quella della mia famiglia, sempre feglinese doc, quella delle mie nonne e zie.
Anche perchè la ricetta della sagra ha le dosi calibrate per una quantità "da sagra" appunto, e vi assicuro che in tre giorni se ne fanno davvero a chili. Per forza, sono una vera bontà.









BUGIE ALLA FEGLINESE CON CREMA AL LIMONE 
(la mia ricetta)


Per la crema al limone:
1 litro di latte,
4 tuorli,
4 cucchiai di zucchero,
3 cucchiai di farina 00,
1 limone grande non trattato.

Portare ad ebollizione il latte con la scorza del limone grattugiata, spegnere e lasciare in infusione per 5 minuti.
Sbattere i tuorli con lo zucchero, stemperare anche la farina in modo che non faccia grumi. Unire a filo il latte tiepido filtrato. Versare tutto in un pentolino e portare lentamente a bollore mescolando in continuazione. Appena inizia ad addensare levare dal fuoco, versare in un vassoio con i bordi alti, coprire con una pellicola per alimenti e far raffreddare completamente. Poi mettere in frigo per almeno 3 ore, fino al momento di utilizzarla.

Volendo si può ulteriormente aromatizzare la crema con un bicchierino di limoncello, da unire appena prima di togliere la crema dal fuoco in modo che l’alcool abbia il tempo di evaporare.

Per la pasta:
1kg farina 00,
1 uovo grande + 1 tuorlo,
80g burro morbido,
250ml vino bianco secco (può essere anche leggermente frizzante)
1 bicchiere di grappa bianca (circa 100ml),
1 cucchiaio di zucchero (facoltativo),
1 pizzico di sale.

Impastare la farina con l’uovo, il tuorlo, il burro morbido e un pizzico di sale fino. Unire la grappa e il vino e continuare a lavorare fino ad avere un impasto morbido e liscio.
Se occorre unite poca acqua fredda. 
Avvolgere in un canovaccio leggermente inumidito e far riposare per 15-20 minuti.
L’impasto si può aromatizzare con della scorza di limone grattugiata.

Stendere la pasta molto sottile col mattarello o con la macchina apposita. Se usate la macchina fate passare la pasta fino alla penultima tacca.
Distribuite la crema ben fredda sulla pasta a cucchiaini, distanziandola un po’, copritela con latra pasta e create dei ravioloni di almeno cm 6x6.
Disponeteli su dei vassoi leggermente infarinati.




Scaldate abbondante olio per friggere in una ampia padella. Friggete le bugie poche alla volta, facendole dorare da tutte le parti. Fateli sgocciolare su carta assorbente e cospargeteli con zucchero a velo o semolato, come vi piace di più.
Serviteli ancora tiepidi.
Attenzione che la crema all’interno raggiunge temperature elevate.






Allora vi aspetto Sabato 6, Domenica 7 e Lunedì 8 Agosto per brindare con un buon bicchiere di Lumassina. E se riesco vi farò un dettagliato reportage anche dal backstage.
Intanto ecco alcune immagini di Feglino e della sua mitica sagra.



Feglino, panorama - foto presa da QUI




FERRAGOSTO A FRABOSA, FESTA DEI FORMAGGI DI MONTAGNA.

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Siamo arrivati alla festa di mezza estate, quella che a Frabosa Soprana vuol dire una cosa sola: la Sagra della Raschera, del Bruss e degli altri formaggi di monatgna.
Di questa festa ho già parlato dettagliatamente in due post (QUI e QUI), dove potete trovare anche il reportage fotografico e qualche accenno storico e folkloristico, oltre a un intero menù dedicato al tema.
Infatti di questi formaggi, tipici delle Alpi monregalesi, ho fatto largo uso nelle mie ricette, anche perché tendo a usare il più possibile ingredienti a me conosciuti e facilmente reperibili, oltre ad essere tra i miei preferiti.






La Raschera, che è la regina della festa, è un formaggio d’alpeggio a pasta compatta ma morbida, simile alla Toma o alla Fontina, tanto per semplificare, mi perdoneranno i Cavalieri della Raschera e del Bruss che tanto si impegnano per salvaguardare questo prodotto.
Tra le tante cose che ho preparato con questo formaggio ci sono i Tagliolini alle ortiche e Raschera e la Medaglioni di maiale all’uva.
Il Bruss è una crema di formaggio molto piccante, una volta veniva fatta esclusivamente per recuperare i fondi di formaggio un po’ troppo duri e stagionati che venivano messi in un recipiente, coperti di siero di latte e fatti fermentare, dopo un certo tempo la fermentazione veniva bloccata con l’aggiunta di un liquore molto alcoolico, tipo la grappa, in questo modo si otteneva una crema molto piccante. Più la crema rimaneva lì a stagionare più era forte, da qui probabilmente il nome Bruss, che significa “brucia”.
Un altro formaggio dal sapore deciso e importante è il Frabusan Ciuc, il frabosano ubriaco, una sorta di Raschera a latte misto fatto stagionare nei raspi del vino, con questo ho preparato una insalatina con uva e noci.
Il Blu del Monte Moro però rimane la mia passione più sfrenata. È un formaggio erborinato, che può essere di capra, mucca o misto. Quando è fresco è più morbido e amabile, mentre se stagionato diventa compatto, asciutto e saporitissimo.
Anche con questo formaggio mi sono scatenata più volte, per esempio con i Budini al Blu e cipolle caramellate, o con le Tartellette di brisè al cacao,Blu, pere e noci.
Stavolta ero alla ricerca di qualcosa di particolare per onorare degnamente questo appuntamento gastronomico.
Ovviamente ho subito pensato di abbinare uno di questi formaggi a qualche altro prodotto tipicamente piemontese.
Pensa che ti ripensa, mi sono ricordata di un gelato molto particolare che ho mangiato un paio di anni fa al ristorante Da Ezzelino al Miramonti proprio a Frabosa Soprana.
Si trattava di un gelato “salato” o per meglio dire gastronomico, alla gorgonzola era accompagnato da un tortino caldo di pasta tipo strudel ripieno di pere cotte al Barolo Chinato.
Una roba sublime. Mi è stato servito come antipasto e ne sono rimasta conquistata. Il contrasto di sapori, quello deciso del formaggio con quello dolce delle pere, le due temperature diverse, tutto mi aveva piacevolmente sorpreso.
Va detto che lo chef Antonio Iettoè un vero maestro nel accostare sapori e consistenze, utilizzando per altro ingredienti del territorio solo apparentemente semplici, non è la prima volta che rimango affascinata da un suo piatto.
A questo in particolare ho continuato a pensarci. 
Ho iniziato a documentarmi sui gelati gastronomici, in particolare quelli al formaggio. 
Ho letto in giro varie tecniche e procedimenti, tipo il gelato al parmigiano o quello alla mozzarella che sono ormai famosissimi tanto che non so nemmeno più chi per primo li ha proposti. Moreno Cedroni forse, ma non sono sicura.
Insomma sto gelato alla Gorgonzola mi è rimasto nel cuore e nel gargarozzo.
E se esiste un gelato alla Gorgonzola perché non uno al Blu del Monte Moro che è di casa mia?
E allora se proprio devo tradire il maestro Ezzelino perché non farlo totalmente e sostituire le pere con le piemontesissime prugne Ramassine? Quelle piccoline, scure, croccanti e dolcissime.
Perché no? Se devo sperimentare e buttarmi senza rete tanto vale farlo bene e del tutto.
Ecco il mio gelato che dedico alla Festa frabosana con la maiuscola.
L’ho presentato semplicemente accompagnandolo con prugne calde caramellate al Barolo Chinato o variegato con un sorbetto sempre con le stesse prugne.
Non avendo la gelatiera mi sono arrangiata come potevo con fruste e frullatore, ma il risultato è stato soddisfacente.
Chef perdono. Quando vengo di nuovo da te non mi cacciare a colpi di mestolo.






Gelato al Blu del Monte Moro e prugne caramellate al Barolo.

Per il gelato (senza gelatiera):
200g formaggio erborinato fresco tipo gorgonzola (per me Blu del Monte Moro di vacca),
100ml latte intero,
100ml panna fresca da montare,
50g zucchero semolato.

Versate il latte con lo zucchero in un pentolino e portatelo ad ebollizione, abbassate il fuoco al minimo e unite il formaggio a pezzetti piccoli, mescolate per farlo sciogliere a fuoco dolcissimo. Spegnete e lasciatelo raffreddare completamente, frullate tutto col frullatore ad immersione.
Unite la panna be fredda e montate con le fruste elettriche, deve iniziare ad essere piuttosto cremoso.
Versatelo in un contenitore da freezer un po’ grande, mettetelo in freezer per mezz’ora, poi tiratelo fuori e mescolatelo con le fruste elettriche o a mano delicatamente, il gelato comincerà a solidificarsi in modo non uguale, mescolandolo renderete la consistenza omogenea e incorporerete aria per farlo diventare soffice.
Rimettetelo in freezer e ripetete l’operazione altre tre volte ogni mezz’ora circa.
Poi lasciatelo in freezer fino al momento di usarlo.
Se si dovesse ghiacciare troppo, fatelo ammorbidire 10 minuti a temperatura ambiente poi dategli una mantecata con le fruste elettriche o nel frullatore.

Per le prugne caramellate al Barolo Chinato.
200g prugne Ramassine,
2 cucchiai di zucchero di canna,
2 cucchiai di Barolo Chinato.

Aprite le prugne in due e togliete il nocciolo. Fate sciogliere lo zucchero in una padella antiaderente, appena inizia a caramellare unite le prugne e fatele saltare un minuto in modo che si ricoprano di zucchero, spruzzate con il Barolo Chinato e fate evaporare l’alcool per 2 minuti, mescolando.

Servite una pallina di gelato con le prugne ancora calde.




Sorbetto di prugne al Barolo.
300g prugne Ramassine snocciolate,
2 cucchiai di zucchero semolato,
2 cucchiai di Barolo Chinato.

Snocciolate le prugne tagliatele a spicchi e mettetele in un contenitore ermetico da freezer, spolveratele con lo zucchero e mettetele nel congelatore per almeno 5-6 ore.
Quando sono ben dure frullatele in un frullatore abbastanza capiente unendo anche il vino e un cucchiaio di acqua fredda.
All’inizio si frulleranno a fatica e sembrano granulose, continuando pian piano il composto diventa cremoso ed omogeneo, servitelo subito oppure rimettetelo per una mezz’oretta in freezer.

Con questo sorbetto ho variegato il gelato al formaggio, completandolo con qualche prugna caramellata fredda.











Questo sorbetto si può servire anche da solo.




ZUCCHINE RIPIENE FACILI E VELOCI PER IL BRUNCH DI IDEA MENÙ

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Dopo la pausa di agosto riprende la rubrica di Idea Menù.
Questa volta l’argomento è il Brunch del ritorno dalle vacanze.
E pazienza se c’è ancora qualche fortunato che in vacanza c’è ancora, spaparanzato su una spiaggia o a zonzo per qualche città d’arte.
Tanto prima o poi a casa devono tornare.
E riprendere il solito tran tran: casa-lavoro-scuola-palestra-impegni vari ed eventuali.
Giusto per amareggiarvi un pochino.
Ma no, dai che è bello anche recuperare le fila del discorso con rinnovata energia ed entusiasmo.
Se proprio proprio tutto sto entusiasmo non lo avete, allora rimediate con una piccola festicciola tra amici, per raccontarvi le vostre vacanze, guardare fotografie, scambiarvi piccoli souvenir, magari enogastronomici.




Una bella atmosfera rilassata e tranquilla, tra chiacchiere e risate, con un buffet con tutte le portate messe li a disposizione dove spiluccare a piacimento. Piatti semplici e gustosi che magari impegnino poco anche in fase di preparazione.
Negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni in genere si chiama Brunch, cioè una via di mezzo tra una colazione sostanziosa e tardiva (breakfast) e un pranzo informale (lunch).
Di solito vengono offerte le pietanze classiche della colazione americana: uova, bacon, pane tostato, succo d’arancia, caffè, ma si possono quiche, torte salate, formaggi e naturalmente anche molti dolci come i classici pancakes, i muffin, crostate e poi yogurt e frutta.
Io ho pensato a qualcosa di più italiano, anzi di tipicamente ligure: le zucchine ripiene che a casa mia sono il tormentone dell’estate, insieme ad altra verdura come melanzane, cipolle e peperoni.
Per farle nella maniera classica ci vuole un po’ di tempo, la preparazione è piuttosto lunga anche se non difficile. Le ho già postate QUI, se vi andasse di dare un’occhiata, quelle con il ripieno di verdura che fa la mia mamma.
Questa volta le ho fatte in una maniera molto più facile e veloce e con pochi ingredienti.
Si possono preparare anche il giorno prima, sistemarle nelle teglie nel frigorifero pronte da infornare appena arrivano gli ospiti, oppure cuocerle subito e scaldarle leggermente prima di servirle.
Ottime anche in mezzo a un panino, come facevo da bambina con i ripieni di  mia mamma.
Altro che hamburger.

Questa è la mia proposta tutta italiana.
Ecco le idee sfiziosissime delle mie colleghe blogger













Zucchine ripiene di prosciutto e provola.

Ingredienti per circa 6 persone:
8-10 zucchine piccole chiare,
100g prosciutto cotto affumicato,
100g provola o provolone dolce,
maggiorana fresca,
2 cucchiai di parmigiano grattugiato,
pangrattato,
olio, sale.

Pulite e spuntate leggermente le zucchine, tagliatele a metà per il lungo e poi tagliate le due fette in due o tre pezzi.
Lessate le zucchine in abbondante acqua bollente leggermente salata, cuocetele solo finché sono tenere ma non molli. Scolatele e fatele raffreddare.
Con un cucchiaino scavate le zucchine creando delle barchette, prelevate la polpa ma senza toglierne troppa, lasciatene un paio di millimetri attaccata alla buccia.
Tritate grossolanamente la polpa insieme al prosciutto e alle foglie di due o tre rametti di maggiorana.
Unite anche il parmigiano, la provola tagliata a dadini piccolissimi e un cucchiaio o due di pangrattato. Aggiustate di sale, anche se non dovrebbe essere necessario data la presenza di formaggi e prosciutto.
Riempite con un po’ di composto le barchette di zucchine, compattatelo leggermente. A me piacciono belle piene, col colmo.
Adagiatele in una placca da forno leggermente unta d’olio in modo che siano vicine me non attaccate.
Infornate a 200°C per circa 15 minuti o fino a quando sono ben dorate in superficie e leggermente rosolate sotto.

Servitele subito belle calde o leggermente tiepide anche se in realtà son buone anche fredde il giorno dopo. Ma non fredde di frigo, tiratele fuori una mezz'oretta prima.









Io le ho preparate tempo fa, insieme agli involtini primavera e al cocktail che ho già postato sempre per l’aperitivo di Idea Menù, questa estate. Giusto per darvi ancora qualche idea, se ve lo foste perso.

CROSTATA AL COCCO, TAPIOCA GRANO SARACENO, SENZA GLUTINE PER CASO, PER AIFB.

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Mi riferisco al Calendario del Cibo di AIFB, l’Associazione Italiana Food Bloggerche vuole dare risalto agli ingredienti e i ai piatti tipici della cucina italiana.
Ogni giorno è dedicato a qualcosa di diverso e sempre molto goloso e ogni giorno ci viene presentato da un ambasciatore o ambasciatrice di eccezione, uno dei food blogger di AIFB.
L’ambasciatrice di oggi è Silvia De Lucas Rivera, del blog Silviapasticci che ci presenta appunto la crostata: un dolce che è apparso in ogni casa italiana almeno una volta, la merenda per eccellenza, quella che ci preparava a nonna, magari con la confettura fatta da lei stessa con la frutta matura di stagione.





L’estate regala molte varietà di frutta, che di solito matura tutta insieme, per chi ha sempre vissuto in campagna come me questo vuol dire trovarsi con ceste intere di pesche, albicocche o susine tutte pronte per essere mangiate ma davvero troppe.
Allora si fa la marmellata, ovvio.
E la morte della marmellata è la crostata.
Quindi eccomi con la mia versione della crostata, senza glutine ma più per caso che per scelta, non essendo né io ne alcuno della mia famiglia celiaco. Avevo semplicemente della farina di tapioca e di grano saraceno da usare, le ho mischiate a l’amido di mais per alleggerire l’impasto ho pensato di abbinarle al cocco che adoro, e mi sono resa conto di aver usato tutti ingredienti gluten free. Che tra l’altro insieme stanno molto bene.
Ho scelto una confettura di fragole perché piace molto a mio figlio, ma si poteva usare una qualsiasi confettura di frutta.
Ecco la mia proposta per AIFB, in zona cesarini, fra l’altro perché la giornata è quasi finita e domani come dice Rossella O’Hara è un altro giorno e un altro piatto.
Ma non potevo mancare, perché l’ambasciatrice di oggi è una mia amica, Silvia, una blogger bravissima e simpaticissima, una spagnola frizzante e vulcanica che vive in Liguria da molto tempo. Se posso dire grazie al mio blog di qualcosa è senz'altro aver avuto l’occasione di conoscere, anche di persona, altri blogger davvero simpatici nonché preparatissimi.  
Una è proprio Silvia, che nel suo post per AIFB racconta la storia di questa torta amata da tutti  e i segreti per farla senza errori.
Inoltre la crostata è uno dei pochi dolci che amo davvero e che mi riesce piuttosto bene.
Cioè, dovrebbe riuscirmi piuttosto bene, in realtà riesco sempre a buttare tutto in caciara, anche quando vorrei fare la professionale e raffinata.
Perché tendo sempre ad esagerare. Se si può abbondare perché non farlo?
Alla faccia del britannico “lessi is more”.
Quindi perché mettere un velo di marmellata nella crostata se posso versarci tutto il barattolo? E pazienza se poi in cottura questa si scioglie, come tutte le brave confetture, prende vita e fuoriesce da ogni parte, che poi devo scrostare via confettura bruciata dal forno per ore. Pazienza se il “velo” di marmellata è più una trapunta, uno strato quasi più spesso della pasta, che ovviamente cola senza ritegno al momento del taglio.
Però in fondo non ricordo nessuna crostata apparsa sulle tavole della mia famiglia, fino alle cugine di terzo grado, che non sia così: esagerata.











Crostata al cocco e grano saraceno con confettura di fragole (senza glutine).

Ingredienti*:
100g farina di tapioca,
50g farina di grano saraceno,
50g maizena,
50g cocco secco grattugiato,
60g zucchero semolato,
120g burro freddo a dadini,
1 uovo,
1 pizzico di bicarbonato.
Confettura di fragole o di frutta a piacere.

*ovviamente accertatevi che tutti gli ingredienti siano stati certificati come privi di glutine, che non ne contengano nemmeno traccia.

Mescolate le farine, il cocco, lo zucchero e il bicarbonato. Iniziate ad impastare con il burro freddo a dadini creando un composto sbriciolato. Unite anche l’uovo leggermente sbattuto e lavorate tutto velocemente fino ad avere un composto omogeneo, se occorre unite poco latte.
Avvolgete la pasta in una pellicola per alimenti e mettete in frigo un’ora circa.
Stendete la pasta in una sfoglia sottile e foderate una tortiera da crostata a bordi bassi o degli stampini da tartelletta, spennellati con pochissimo burro sciolto.
Tenete da parte un po’ di pasta per guarnire la crostata.
Farcite la pasta con la confettura, fate uno strato di mezzo cm circa, senza esagerare, considerate che nel forno la pasta si gonfia leggermente e la confettura tende a sciogliersi quindi fuoriesce dal bordo di pasta.
In pratica non fate come me che riempio sempre eccessivamente la pasta di confettura e poi mi cola ovunque.
Con la pasta avanzata formate dei rotolini piuttosto sottili e disponeteli sulla confettura formando la classica griglia.
Infornate a 180°C per circa 40 minuti. La superficie deve essere leggermente dorata.
Sfornate la torta anche se vi sembra ancora un po’ molle: raffreddandosi tende a indurirsi, come succede per i biscotti, se la cuocete troppo a lungo rimane poi troppo secca e dura.
Se fate delle piccole crostatine cuocetele sempre a 180°C per circa 15 minuti.

Servite spolverando leggermente con il cocco grattugiato.









CUSCUS ALLE VERDURE PER IL CALENDARIO DEL CIBO DI AIFB

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Ci risiamo. Sta arrivando l’autunno e io sono già in crisi.
Anche perché è arrivato così da un giorno all’altro, senza chiedere il permesso.
E io non ero ancora preparata. Fino a ieri si andava in giro beatamente in maglietta e sandalini.
Non sono pronta a tirar fuori maglioni e impermeabili.
Hanno un bel dire che l’autunno è la stagione più colorata, suggestiva e romantica.
Si, se abiti in mezzo alle foreste del Canada o nel New England magari, insieme alla Signora in Giallo (no lì magari no che è pericoloso, ci sono più omicidi in quel paesino che a Caracas).
Qui da me significa solo che le giornate di sole saranno più rare degli unicorni e tutto rimarrà confuso, indistinto e umidiccio per giorni interi.
Almeno così è il tempo oggi.
E il mio umore è grigio e malmostoso come il tempo.
Mi ci vuole qualcosa di speciale per tirarmi su il morale.





Qualcosa di goloso e leggero, che mi ricordi l’estate, le giornate in riva al mare, le serate con gli amici.
Qualcosa che mi porti ancora un po’ di sole in casa.
Così con le ultime verdure estive ho pensato di preparare un bel cuscus.
Il cuscus è un piatto tipico della cucina dell'Africa nord occidentale di tradizione molto antica, ma si trova anche nella nostra Sicilia e nel sud della Sardegna.
Richiede una lenta e sapiente preparazione per creare la magia di quelle palline di semola che andranno ad assorbire un sugo profumato e corposo che cambia a seconda del paese, della zona, della famiglia in cui viene preparato.
Se volete sapere davvero tutto su questo piatto vi consiglio di leggere il bellissimo post di Maria Pia Bruscia che ha scritto per il Calendario del Cibo Italiano sul sito di AIFB, l’associazione italiana foodblogger.
Oggi è infatti la Giornata Nazionale del Cuscus, che ormai fa parte anche della nostra tradizione culinaria. Maria Pia infatti ci presenta anche il tradizionale cuscus trapanese di pesce, con tanto di ricetta in dialetto. Non perdetevelo perché lei è davvero brava.
Io nel mio piccolo ho cercato di rendere omaggio a questo splendido piatto con una versione molto meno nobile e più rapida, piena di verdure saltate in padella.
Io ho usato il cuscus precotto che si trova nei supermercati, per fare quello vero occorre avere la giusta pentola e un po' di manualità, per sapere come si fa andate a vedere il post di Mara Pia.










Cuscus con ceci e verdure.

Ingredienti per 4-6 persone:
250g cuscus precotto,
1 grossa melanzana,
4 zucchine chiare piccole,
olive taggiasche snocciolate,
250g ceci lessati,
2 pomodori cuor di bue sodi,
1 spicchio d’aglio,
origano secco,
2 rametti di maggiorana,
qualche fogliolina di menta
olio evo,
la scorza di mezzo limone grattugiata,
sale.

Tagliate la melanzana a dadini, spolveratela di sale fino e fatela sgocciolare in un colapasta per una mezz’oretta. Fatela rosolare in padella con uno spicchi d’aglio e poco olio per 5 minuti, spruzzatela con poca acqua e cuocetela altri 3-4 minuti. Deve essere cotta ma soda. Salatele poi toglietele dalla padella e tenetele da parte al caldo. Oppure potete tagliare la melanzana a fette spesse ½ cm e grigliarle sulla bistecchiera, dopo tagliate le fette a cubetti.
Tagliate anche le zucchine a cubetti e fatele rosolare nella stessa padella con l’aglio e poco olio finché son cotte ma croccanti , se occorre bagnatele con pochissima acqua. Aggiustate di sale.
Tagliate anche il pomodoro a dadini, conditelo con poco olio e sale. Unite le olive affettate.
Tritate finemente le erbe aromatiche.
Preparate il cuscus come è indicato sulla confezione. Per 200 g di cuscus unite circa 300g di acqua calda leggermente salata. Versate tutto in una pentola. Mescolate, coprite col coperchio, lasciate riposare 10 minuti, dopo di che sgranate i cuscus con una forchetta e conditelo con un filo d’olio d’oliva. Fate raffreddare.
Condite il cuscus con le erbe aromatiche tritate e la scorza di limone grattuggiata (la quantità è a piacere) e servitelo con le verdure.
Potete mischiare tutto insieme come se fosse un’insalata. Oppure mischiare tutte le verdure e disporle nel piatto accanto al cuscus alle le erbe.
Altra idea è quella di servire il cuscus in una ciotola, bicchiere o vaso di vetro a strati, alternando la semola con strati di verdure, giocando con i colori e le consistenze.


A piacere si possono aggiungere dei germogli e dei semini tipo la zucca, sesamo, papavero e lino che oltre a dare un po’ di croccantezza in più apportano minerali e grassi preziosi.
















FRITTELLE DI PATATE PER IDEA MENÙ.

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Il menù di oggi, che vi propongo insieme alle mie amiche blogger Consuelo, Carla e Linda, è dedicato al rientro a scuola.
Rientro a scuola per gli studenti di ogni età e rientro alle normali attività lavorative e non, per gli adulti.
Settembre segna un po’ l’inizio di un nuovo anno, forse più che Gennaio, per questi motivi.
Si arriva da una stagione dove ci si poteva permettere di indugiare di più all’aperto, anche a tarda serata, i ritmi erano più lenti nonostante magari non si fosse proprio in ferie.
Adesso si inizia con la vita frenetica che, per chi ha figli in età scolare, significa far combaciare orari, correre in lungo e in largo dietro ai compiti, attività pomeridiane e possibilmente riuscire anche a dare un senso compiuto alla casa.
Bambini e ragazzi stanno faticosamente riprendendo i libri in mano.





E qui mi permetto di aprire una piccola parentesi: è mai possibile che un ragazzino di 12 anni di seconda media debba andarsene in giro con uno zaino pesante che neanche un alpino avrebbe ragione di portare? 
Perché per ogni materia ci devono essere minimo 3 libri?
E perchè se è vero che servono tutti e tutti contemporaneamente pena la ghigliottina se ne dimenticano uno a casa, poi alla fine dell'anno ne avranno usati si e no una piccola parte mentre saranno sommersi da fotocopie?
Senza contare tutto il materiale di tecnologia, arte, musica, educazione fisica che richiede quasi sempre cartelline e zainetti a parte?
Tutto utilissimo per carità, non discuto, ma ridimensionare un tantino, no?
Oggi lo zaino di mio figlio pesava 11 chili. Ma si può?
Non sono ragazzini che si stanno istruendo, sono piccoli portatori Sherpa che si allenano per una spedizione himalayana.
Per “festeggiare” tutto ciò occorre qualcosa di sfizioso che metta d’accordo tutti.
Frittelle. Ovvio.
Il fritto mette tutti d’accordo.
In fondo si dice che fritta è buona anche una suola di scarpe.
Figurarsi se racchiusa dentro a una golosa pastella.
Tra l’altro le frittelle si possono fare  in tempi molto brevi perché non richiedono un lungo riposo e nella preparazione ci si può far aiutare anche dai più piccoli.
Loro possono sbattere le uova, con farina e quant’altro e noi prepariamo la verdura.
In Liguria le frittelle, i frisceü, sono per lo più estive, perché nella pastella di uova e farina finiscono soprattutto verdure ed erbe aromatiche fresche.
In Piemonte forse sono più invernali, parte integrante del sontuoso Fritto Misto Piemontese, le maiuscole ci vogliono perché il Fritto in questione è composto da non meno di 20 pezzi diversi ed è quindi un piatto molto impegnativo, anche da digerire.
I frisceü della mia infanzia erano con la pastella gonfia e soffice, ma con i bordi dorati e croccanti, che racchiudeva pezzetti di verdure, di solito fagiolini o zucchine e maggiorana fresca. A volte la nonna o la zia mettevano le patate e le cipolle, fatte prima dorare in padella.
Anni fa ho scoperto delle frittelle di patate e cipolle grattugiate crude, tipo i Rösti, ma legati da uova sbattute. Qui la pastella è ridotta al minimo indispensabile per legare il composto.
Ho subito cercato di replicarle. Cercando maggiori informazioni ho scoperto che queste frittelle sono i Laktes di patate, un piatto ebraico che si prepara per Hannukah, la festa delle luci, dove è tradizione mangiare cose fritte.
Devo dire che anche in questo caso ho trovato ricette molto diverse tra loro sebbene gli ingredienti principali siano le patate e le uova. Già a partire dalla proporzione di questi due.
Poi c’è chi mette più cipolla, chi meno, chi non ne mette affatto, chi amalgama con poca farina, chi di più, chi niente del tutto. In alcune c’è un pizzico di lievito, in altre no.
Yotam Ottolenghi nel suo Jerusalem ne riporta una versione ancora più ricca di sapori e profumi, forse una ricetta di famiglia.
Inoltre pare ci siano ricette simili in Trentino e Friuli, forse per l’influenza gastronomica ricevuta dall’Europa dell’est dove c'erano molte comunità ebraiche.
In pratica come al solito un bel ginepraio.
Io alla fine ho utilizzato una vecchia ricetta ormai collaudata più volte, trovata su un giornale anni fa e copiata su un mio quadernetto. Non ho segnato il nome del giornale e quindi non posso dichiarare la paternità della ricetta, all’epoca non avevo nemmeno il blog e non pensavo minimamente annotare anche queste cose. Per cui se qualcuno riconosce o sa da quale rivista ho copiato la ricetta, me lo faccia sapere che inserisco subito l’informazione.
Per il momento in fondo all’articolo troverete alcuni siti che parlano di queste frittelle ebraiche.
Prima però vi presento l’intero menù con le proposte delle mie tre amiche:











Frittelle di patate grattugiate o laktes.

3 patate medie,
2 uova medie,
½ cipolla o 2 cipollotti freschi,
2 cucchiai di farina rasi,
un pizzico di sale e pepe,
olio per friggere.

Sbattete le uova con la farina, il sale e il pepe in una ciotola.
Pelate le patate e grattugiatele nella grattugia a fori grossi, tritate finemente anche la cipolla. Versate tutto nella ciotola della pastella e mescolate bene.
In una larga padella scaldate abbondante olio di semi, friggete il composto a cucchiaiate facendolo dorare bene da tutte e due i lati.
Fate sgocciolare le frittelle su carta assorbente e servitele ben calde.
Io le ho accompagnate con pomodorini e formaggio spalmabile tipo robiola di capra.




Fonti:





ARROSTO ARROTOLATO CON PROSCIUTTO E FUNGHI PER AIFB.

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Un altro appuntamento con il Calendario del Cibo Italiano diAIFB.
Questa volta è la GiornataNazionale degli Arrosti Arrotolati e in questo caso la blogger ambasciatrice  non è solo una mia amica ma anche una compaesana: Silvia Leoncinidel blog “La Masca in Cucina”.
Siamo tutte e due liguri trapiantate da tempo nelle montagne monregalesi.
Siamo perennemente con un piede sul bagnasciuga e l’altro sulle pendici del Monte Moro.
Lei in realtà ultimamente sta portando i suoi piedini in giro per il mondo, ma ogni tanto torna e ci concediamo una delle nostre chiacchierate fiume.
Per questo non potevo mancare alla sua giornata Aifb.





Per questo e anche perché io sono una carnivora impenitente, nonostante sia nata al mare. Infatti sul blog, se andate alla pagina delle ricette, troverete molti più piatti di terra, con carne, formaggi e verdure che con il pesce.
L’arrosto è il piatto della domenica per antonomasia. Richiede il giusto taglio di carne e la giusta cottura, altrimenti diventa asciutto e duro.
L’arrosto arrotolato se non è il parente povero, perché non sarebbe corretto data la versatilità del ripieno, è senz'altro il parente più simpatico e alla mano. È difficile sbagliarlo completamente, il macellaio riesce sempre a trovare un pezzo di carne adatto e con qualche piccolo accorgimento le possibilità di fallimento sono minime.
Non dimentichiamoci che il ripieno svolge un ruolo molto importante, sia per insaporire che per rendere morbida la carne e si può adattare alla stagione e ai gusti dei commensali.
L’arrosto arrotolato o rollé si fa in genere con la pancia di vitello che è molto più tenera e magra di quella del manzo ma regge comunque bene le cotture arrosto prolungate o cotture in umido. Inoltre è un pezzo più economico il che non guasta. Comunque anche quella di manzo è ottima, richiede una cottura più lenta e a bassa temperatura in modo che il grasso che va a marezzare la carne si sciolga bene, in questo caso il ripieno si può ridurre a un semplice battuto di erbe aromatiche.
Se volete un arrosto più rapido da cucinare potete usare tagli più magri, come la fesa interna o fesone di spalla, di manzo o vitellone, che sono più saporiti. Dovete farvi tagliare una fetta molto alta e farvela aprire a libro dal macellaio, così otterrete una larga fetta di carne magra, in questo modo accorcerete di molto i tempi di cottura anche perché prolungandoli si avrebbe una carne asciutta e stoppacciosa.
Ma si possono benissimo utilizzare anche il petto di tacchino o pollo, o il filetto di maiale, sempre aperti a libro.
Quest’ultimo da arrosti di piccole dimensioni, per 4 persone circa, ma rende benissimo perché la cottura è davvero breve e si presta a molti tipi di farciture diverse essendo una carne magra ma saporita. Se volete QUI c’è la ricetta dell’arrosto di maiale con asparagi e prosciutto, ricetta facilissima e veloce e un po’ più primaverile.
Visto che siamo ormai entrati ufficialmente in autunno, ho pensato di preparare un rollè più adatto alla stagione.
L’idea sarebbe stata di usare funghi porcini freschi di queste valli, ma quest’anno pare che non ce ne siano molti. Sono ricorsa al surgelato. Tutto sta a trovare un buon surgelato e il risultato è “quasi” uguale. Quasi.
Il rollè, come un normale arrosto, si può cuocere sia in forno che in pentola, dopo una rosolatura iniziale a fuoco vivo, si completa la cottura a fuoco moderato con l’aggiunta di poco liquido, vino o brodo. In questo caso si parla di “arrosto morto”. Tra l’altro è un metodo di cottura comodo, non si sporca il forno, e più veloce.













Arrosto arrotolato con prosciutto e funghi.

1 fetta di fesa o noce di manzo o vitellone bella larga, aperta a libro (circa 800g)
350g funghi porcini (io misti surgelati),
3 uova
5 cucchiai di parmigiano grattugiato,
80g prosciutto crudo a fette,
2-3 cucchiai di latte,
2 spicchi d’aglio,
maggiorana, timo, origano freschi,
1 rametto di salvia,
1 foglia di alloro,
olio extravergine d’oliva,
1 bicchiere di vino bianco secco o rosato,
sale e pepe.


Tagliate i funghi a fettine piccole, fateli rosolare in padella con due cucchiai di olio e uno spicchio d’aglio in camicia. Sfumateli con due cucchiai di vino e portate a cottura, devono essere cotti ma non sfatti. Aggiustate di sale e unite a piacere maggiorana, timo e origano.
Se i funghi fossero surgelati come nel mio caso, cuoceteli in padella senza scongelarli, fateli cuocere molto bene facendo evaporare tutta l’acqua che rilasciano in cottura. Una volta cotti se fossero pezzi troppo grandi tagliateli col coltello a dadini piccoli. Lasciateli intiepidire.
Battete le uova con 3 cucchiai di parmigiano, il latte, un pizzico di sale e pepe. Unite i funghi ed eventualmente ancora qualche erbetta aromatica.
Versate il composto in una padella antiaderente unta d’olio d’oliva, la padella deve essere larga abbastanza perché la frittata non sia spessa più di 1 cm, anche meno.
Cuocetela a fuoco dolce col coperchio, quando sotto è ben colorita e la superficie sarà ben rappresa potete girarla agevolmente con l’aiuto di un coperchio piatto. Fatela rosolare anche dall'altra parte. Fate raffreddare su un piatto.
Allargate la fetta di carne su un tagliere, disponete al centro la frittata, coprite con le fette di prosciutto e spolverate con il parmigiano rimasto, lasciate un po’ di carne libera ai bordi.
Ripiegate leggermente i bordi superiore e inferiore, poi arrotolate la carne partendo da un lato. legate l’arrosto con lo spago da cucina.
Scaldate due cucchiai di olio d’oliva in un tegame a bordi alti e fondo spesso, tipo in pietra. Il tegame deve essere più o meno della misura dell’arrosto, non troppo largo così non si brucia il fondo di cottura. Fatevi rosolare l’arrosto da tutti i lati.
Unite lo spicchio d’aglio rimasto, la salvia e l’alloro. Bagnate col vino e fate evaporare l’alcol a fuoco vivace per 4-5 minuti. Abbassate il fuoco al minimo e cuocete semicoperto per 45-60 minuti. Pungete la carne con uno spiedo, se esce liquido rosato cuocete ancora qualche minuti, se esce un liquido trasparente è pronto. Se il fondo di cottura si dovesse consumare troppo aggiungete ancora poco vino.
Salate e pepate a fine cottura.
Fate riposare l’arrosto coperto per almeno 5 minuti prima di slegarlo e tagliarlo a fette.
Servitelo con il suo fondo di cottura.
Questo arrosto è buono anche freddo, tagliato a fettine sottili e accompagnato da una salsa.









Fonti:
“Fra tagli d’Italia dalle corna alla coda” – Bruno Biasetto – ed. Tintoretto.
“La cucina e la pasticceria” ed. ALMA-PLAN
“Il Talismano della felicità” – Ada Boni
Le Garzantine: Cucina.

Il mio macellaio Vittorio.

GNOCCHI DI PATATE PER MTCHALLENGE 59

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Per la sfida di settembre dell’MTChallenge ci sono gli gnocchi di patate.
Cosa posso dire se non che sono felice. Confusa (e agitata) e felice.
Felice perché gli gnocchi sono davvero il mio piatto preferito. Lo dimostra il fatto che sul blog ci sono già almeno 6 o 7 ricette, non tutti di patate in realtà, di zucca, castagne, zucchine, persino ricotta e robiola.
Quelli veri però sono di patate.
E senza uovo, come ho imparato a fare da mia nonna e come ci insegna anche Annarita Rossi, la vincitrice della scorsa sfida, quella sulla pizza alla napoletana.







Nel suo postspiega benissimo come farli, quali patate usare e perché e i trucchi per una riuscita sicura. Ci ha regalato la ricetta classica ma anche una variante profumatissima alle nocciole e infine ci ha insegnato a fare gli gnocchi ripieni.
Quindi la ricetta che tutti i partecipanti devono seguire è la sua, collaudatissima.
Adesso ancora di più vista la pioggia di gnocchi arrivata nella pagina degli sfidanti (vedere per credere).
Io sono arrivata giusto alla scadenza.
Essendo il mio piatto preferito e qualcosa che faccio spesso avrei dovuto partire in quarta con una produzione industriale.
Ma questo è l’MTCe di ansie da prestazione non ne fa mancare mai.
Ecco perché sono confusa. E agitata.
Proprio l’argomento in cui mi sentivo sicura e preparata, quello che mi piace di più, ha rischiato di mandarmi in tilt. Ho faticato non poco a trovare un’idea convincente da proporre.
Veramente la prima cosa che mi è venuta in mente di fare sono gli gnocchi al pesto.
Per i liguri è l’unico e il solo condimento.
Al massimo un sugo di pomodoro fresco e basilico. Ma proprio se si vuole trasgredire.
Solo che nel blog ci sono già, quelli della nonna Lina, e da regolamento le ricette devono essere inedite.
Avrei potuto riproporli un po’ modificati, ma il pesto è pesto e gli gnocchi son gnocchi che vuoi modificare? Quindi non se ne fa niente.
A sto punto il vuoto totale.
I giorni passano, gli altri concorrenti postano, per giunta ricette sempre più convincenti e particolari. E io? Io ho iniziato ad annaspare.
Infine, presa dal panico, ho ripescato una ricetta di gnocchi che tanto mi aveva portato bene: gli gnocchi di zucca e castagne con crema di porri. In questo caso solo patate e farina, ho solo ripreso la crema di porri, aggiunto del formaggio di capra stagionato, una nota dolce-asprigna dell’uva bianca e la ruvidezza del farro.
La prima proposta è andata. Sperumma n’ben, per dirla alla frabosana.





Visto che mi sono ridotta ai minimi termini presento anche la seconda ricetta nello stesso post. Spero di non farla troppo lunga.
Questa mi è venuta in mente ieri al volo, perché ancora stavo rimuginando su come usare il pesto ligure negli gnocchi senza usarlo davvero.
Abito in montagna ma in fondo un pezzo di cuore è in riva al mare. Quindi se nella prima proposta ho messo il Piemonte nella seconda ho infilato a forza tutta la mia Liguria.
Basilico fresco non ne avevo quasi più, andato con il primo temporale di montagna, non abbastanza per un pesto degno di questo nome, giusto qualche foglia.
Però avevo maggiorana fresca, origano, erba cipollina. Tutto dei miei vasi.
Incredibile come a volte le piante riescano a sopravvivere ai propri aguzzini.
Poi olive taggiasche, pinoli e gli ultimi pomodorini datterini nani (perché non son cresciuti) dell’orto di mio papà.
Insomma una roba semplice e casalinga.
Adesso la finisco e vado di ricette che son già in paranoia che neanche alla maturità.








Gnocchi di patate e farina di farro con crema di porri, Testun di capra e uva bianca.

Per gli gnocchi.
(ho usato la ricetta di Annarita sostituendo parte della farina bianca con quella di farro)

600g di patate a pasta bianca,
120g farina di farro integrale,
60g farina bianca 00,
sale.
Per il condimento:
3 porri bianchi di Cervere,
1 grappolo d’uva bianca, io Moscato d'Asti,
100g Testun di Capra stagionato (formaggio di malga a pasta compatta e asciutta quando è ben stagionato),
40g burro,
5 cucchiai di latte,
noce moscata, sale.

Per gli gnocchi: lessate le patate con la buccia in abbondante acqua salata, quando sono tenere ma non sfatte scolatele. Pelatele quando e schiacciatele con lo schiaccia patate quando sono ancora molto calde.
Per evitare di ustionarsi i polpastrelli potete tagliare le patate in due col coltello e passatele allo schiacciapatate con tutta la buccia, questa non passa dai buchi con la polpa ma rimane intera e pulita attaccata allo stantuffo dell’attrezzo, basta toglierla e gettarla via e si può ricominciare con un’altra patata.
Impastate le patate ancora tiepide con la farina. Lavorate velocemente altrimenti la pasta tende a rammollire. Usate subito tutta la farina di farro, poi aggiungete pian piano l’altra, potrebbe anche non servirvi tutta.
Prendete un pezzetto di pasta e fatelo rotolare sulla spianatoia leggermente infarinata formando come dei grissini larghi non più di un dito. Tagliateli a pezzetti di circa 2cm e passateli con un dito sui rebbi di una forchetta o con l’apposito riga gnocchi di legno.
In questo modo avranno da una parte una piccola fossetta e le classiche righe dall’altra, che permettono di raccogliere meglio il sugo.
Disponeteli man mano su vassoi di carta solo leggermente infarinati.
Lessateli in abbondante acqua bollente salata scolandoli con la schiumarola man mano che vengono a galla. È meglio usare una pentola grande con tanta acqua, in questo modo non perderà mai il bollore e gli gnocchi non avranno tempo di attaccarsi, che è il vero pericolo di questo piatto.
Se non li utilizzate subito congelateli nei vassoi e poi una volta induriti metteteli nei sacchetti di plastica, si cuociono in acqua bollente direttamente senza farli scongelare, pochi alla volta così l’acqua non perde il bollore e gli gnocchi non si attaccano.  








Per il condimento.
Pulite i porri, eliminate gran parte delle foglie verdi, tritateli grossolanamente.
Fateli rosolare lentamente con il burro, bagnateli a filo con poca acqua e cuoceteli a fuoco molto dolce per circa 15-20 minuti, devono essere quasi sfatti.
Frullate i porri con un mixer, rimetteteli nella padella con il formaggio grattugiato, il latte e una grattata di noce moscata. Mescolate per far sciogliere il formaggio e addensare un po’ la crema. Aggiustate di sale.
Con uno spremi aglio o con lo schiacciapatate spremete una manciata di chicchi d’uva, filtrate il succo e unitelo alla crema.

Condite gli gnocchi con la crema ai porri, completate con chicchi d’uva interi e il formaggio rimasto a scaglie. A piacere aggiungete su ogni piatto una grattata di noce moscata.






Note:
io ho usato un formaggio di capra delle mie vallate, abbastanza stagionato da essere piccante e sapido e da poterlo ridurre in scaglie. Sarebbe andato altrettanto bene un Castelmagno, un Pecorino sardo o un formaggio a latte misto di buona stagionatura, soprattutto se stagionato nei vinaccioli.
L’uva bianca che ho usato non è la classica uva da tavola perché di solito è molto dolce con acini grandi e la buccia croccante, è meglio una comune uva da vino ben matura perché è zuccherina da essere amabile in bocca ma ancora un filino acidula, tipo il Moscato d’Asti, l’Arneis, il Cortese, la Malvasia o anche il Vermentino e il Pigato d’Albenga.






Gnocchi alle erbe mediterranee con pomodorini, olive e pinoli.

Per gli gnocchi
(la ricetta è sempre quella di Annarita con l’aggiunta di erbe aromatiche):

600g patate a pasta bianca,
180g farina bianca 00,
3 cucchiai di erbe aromatiche tritate fresche o secche (basilico, maggiorana, origano, erba cipollina),
sale.

Per il condimento:
80g olive taggiasche denocciolate,
100g pomodorini datterini piccoli,
1 spicchio d’aglio,
1 peperoncino fresco piccolo,
2 cucchiai di pinoli,
qualche foglia di basilico fresco,
pecorino romano,
olio extravergine d’oliva, sale.

Per gli gnocchi seguite il procedimento precedente, all’impasto unite anche le erbe aromatiche tritate. Formate gli gnocchi come spiegato sopra e lessateli in abbondante acqua salata.




Per il condimento.
Tagliate a metà i pomodorini.
Scaldate 3-4 cucchiai d’olio con lo spicchio d’aglio spellato, in una larga padella antiaderente.
Quando l’aglio inizia a imbiondire unite le olive, il peperoncino, metà dei pomodorini e un paio di foglie di basilico fresco. Aggiungete un cucchiaio di acqua di cottura degli gnocchi e fate insaporire per 2 minuti. Eliminate l’aglio e aggiustate di sale.
Quando gli gnocchi vengono a galla prelevateli con la schiumarola e metteteli nella padella insieme al resto dei pomodorini. Fateli saltare un paio di minuti.

Unite i pinoli leggermente tostati, qualche foglia di basilico spezzettata con le mani e a piacere il pecorino a scaglie.








TORTA D’AUTUNNO ALL’UVA PER IDEA MENÙ.

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Il menù che vi propongo oggi con Carla, Consuelo e Linda è dedicato all'autunno.
A me il compito di preparare il dolce.
Io amo i dolci semplici, rustici, con pochi ingredienti.
Ma soprattutto quei dolci che non richiedono cognizioni elevate di pasticceria, dosi precise al grammo, procedure altamente scientifiche.
Seppur nel mio animo alberghi ancora un piccolo chimico, il rigore scientifico viene meno quando si tratta di cucina. Qui prevale la parte disordinata e caciarona di me.






Che non riesco mai a seguire perfettamente una ricetta ma ci devo mettere sempre del mio, non fosse altro perché spesso mi trovo a cambiare ingredienti in corso d’opera, quando mi accorgo che non li ho acquistati o che sono scaduti o non in quantità sufficiente e così via.
Per la pasticceria questo è decisamente negativo.
Inoltre sembra che ogni volta che mi accingo a preparare un dolce tutto inizi a remare contro, telefono che suona, programmi che saltano, eccetera.
Anche in questo caso non mi sono smentita.
Volevo preparare una dolce un po’ più scenografico, una bavarese all’uva, un semifreddo, una torta a strati con tanto di glassa a specchio, con tutto un presepe di Capodimonte in frutta di marzapane sopra. Un trionfo per la vista e il palato.
Invece è tutto rimandato a data da destinarsi. 
Si va di torta da credenza e amen.
Una di quelle veloci, fatta con i primi ingredienti trovati in casa, una bella mescolata con la frusta elettrica e via in forno.
A renderla adatta al menù di oggi è la frutta: l’uva in tre colori diversi, bianca nera e rosata, e mele rosse. Tutto proveniente dal mio paese in Liguria, quando sono andata ad aiutare i miei genitori per la vendemmia.
Queste mele in particolare mi sono molto care, perché sono un po’ un ricordo di infanzia. Sono mele quasi selvatiche, non molto grandi, con la buccia spessa, rossa con sfumature verdi. Hanno una polpa molto compatta, croccante e decisamente acidula ma succosa. Si raccolgono proprio da questo periodo in avanti e durano a lungo al fresco e al buio.
Sono adatte per la cottura, anche se io fin da piccola le preferisco mangiare crude, proprio per il loro gusto acidulo. Ricordo la nonna o la zia che scendevano quasi ogni giorno in cantina, sceglievano qualche mela che stava iniziando a invecchiare o a maturare troppo, le sbucciavano e le facevano cuocere semplicemente con zucchero e una spruzzata di vino. Da mangiare caldo o anche freddo con giusto qualche amaretto sbriciolato.
 Era il loro dessert preferito, semplice e veloce. Ecco da chi ho preso.





Questo è il menù dedicato all’ Autunno:


Primo di Carla: Penne con broccoli e conza  

Secondo di Consu: Burger di miglio e zucca 











Torta soffice alla robiola con uva e mele.

100g robiola fresca (oppure ricotta o altro formaggio spalmabile),
3 uova medie,
260g farina 00,
130g zucchero semolato,
75ml succo d’uva bianca fresco,
3 cucchiai di olio extra vergine d’oliva,
1 mela*,
200g acini di uva mista (bianca, nera, rosata),
1 bustina di lievito,
1 pizzico di sale,
burro per ungere la teglia.

*io ho una centrifuga quindi ho ricavato il succo fresco centrifugando un grappolo di uva, chi non la possedesse può schiacciare gli acini con uno schiacciapatate o un passaverdura e filtrare il succo ottenuto. Oppure cercare del succo d’uva confezionato, meglio senza zuccheri aggiunti e comunque rivedete la quantità di zucchero della torta.

**io ho usato una mela rossa dalla polpa molto croccante e acidula.

Sbattete le uova con lo zucchero con una frusta elettrica fino ad ottenere una schiuma soffice, unite la robiola, il succo d’uva, l’olio e un pizzico di sale. Continuate ad amalgamare con la frusta elettrica. Incorporate pian piano la farina e il lievito setacciati.
Sbucciate la mela, tagliatela a spicchi, affettatela sottilmente.
Lavate bene gli acini d’uva e tamponateli con la carta da cucina.
Incorporate la mela e  metà degli acini all’impasto, versatelo in uno stampo a cerniera tondo di circa 24cm di diametro ben imburrato. Distribuite il resto degli acini facendoli affondare leggermente.
Infornate a 180°C, forno caldo e statico, per circa 10 minuti. Poi abbassate il forno a 160°C e continuate la cottura per altri 35-40 minuti. Io con il mio forno mi regolo così, se non abbasso la temperatura dopo 10 minuti mi si cuoce troppo in superficie e poi si smonta. Naturalmente ognuno si deve regolare col proprio forno.
Fate la prova con lo stuzzicadenti, infilatelo nella torta, se esce quasi asciutto è pronta.
Lasciate raffreddare la torta quasi del tutto prima di sformarla.
Servite spolverando con zucchero a velo.







Variante: potete cospargere l’impasto della torta con zucchero semolato, anche di canna, prima di infornare. In questo modo avrete una bella superficie rustica e croccante.











FIERA DEL MARRONE CUNEO 2016.

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Ovvero la grande festa dedicata a questo prodotto d’eccellenza del cuneese che rappresenta ancora una importante risorsa del settore agroalimentare.
Fin qui siamo tutti d’accordo.
Quello che mi preme dire è che ogni anno l’evento si arricchisce di importanti novità: spettacoli, intrattenimento, congressi, dibattiti, degustazioni e cooking show, tutti all’insegna del divertimento. Grazie al Comune di Cuneo, Confcommercio e Conitours che li hanno voluti e sostenuti. Ce ne sarà davvero per tutti i gusti.
La novità di quest’anno è il PalaMarrone, una tensostruttura che verrà realizzata in piazza Europa, proprio a due passi da piazza Galimberti, in pieno centro.
In questo luogo si svolgeranno molti degli eventi in programma.






Per esempio venerdì 14 tornerà a cucinare Paolo Armando, la tigre di Cuneo.
Sabato pomeriggio arriverà anche Diego Bongiovanni, direttamente dalla Prova del Cuoco, che coinvolgerà autorità, foodblogger e pubblico presente in divertenti sfide a colpi di mestoli e padelle con gli ingredienti tipici del cuneese, marroni in primis.
Questi sono solo due degli appuntamenti da non perdere.





Per quel che mi riguarda io vi aspetto sabato pomeriggio alle ore 15, perché ho l’onore di far parte del team di foodblogger che cucineranno insieme a Diego Bongiovanni (e a chiunque volesse partecipare).






Come l’anno scorso sono stata reclutata dalla Masca in Cucina(Silvia Leoncini) che di tutto questo è la colpevole ideatrice. Con me ci sarà ancora Silviapasticci e tante altre blogger dal Piemonte e dalla Liguria.
Io come al solito sono attanagliata dall’ansia da prestazione, un conto è far la foodblogger a casa, nella propria cucina, con schermo e tastiera. Un altro è trovarsi davanti un pubblico che si preannuncia numeroso. Spero solo di non fare figuracce barbine.
Mi conforta un po’ il fatto che non sono da sola e che le blogger che avrò modo di conoscere (finalmente dal vivo) sono tutte simpatiche, molto alla mano e dai messaggini che ci siamo scambiate ultimamente in ansia quanto me.
Inoltre ci sarà Diego che da mattatore e chef esperto qual è provvederà a risolvere qualsiasi empasse del momento. Poi diciamola tutta, il pubblico sarà lì principalmente per lui, quindi di che mi dovrei preoccupare.
Niente. Ma io di secondo nome faccio ansia e quindi non c’è niente da fare.
L’anno scorso, quando insieme a Silvia & Silvia, ho cucinato con Paolo Armando (QUI il post), alla fine mi sono calmata solo quando ho preso in mano i miei coltelli. Ma allora il menù era stato deciso da Paolo in anticipo, quindi sapevo cosa avrei dovuto fare.
Questa volta si tratta di vere Mistery Box. Solo all’ultimo si sapranno gli ingredienti in dotazione. Quindi un pochettino di fifa me la posso anche permettere, che dite?
San Diego da Costigliole d’Asti pensaci tu.
Io vi invito a intervenire numerosi, soprattutto i savonesi a cui chiedo accoratamente un sostegno morale spassionato, qualsiasi cosa succeda.
In fondo sono l’unica blogger savonese a partecipare, in mezzo a piemontesi, genovesi e persino una spagnola. Forza, un po’ di campanilismo.
Idem per i Frabosani, soprani e sottani. Mi raccomando.


Chi volesse partecipare di persona a queste sfide culinarie può prenotarsi, QUI trovate come fare.

WHOOPIE PIE ALLA CASTAGNA PER LA SETTIMANA DELLA CASTAGNA DI AIFB.

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Non potevo mancare.
Dovevo celebrare la settimana della castagna di AIFB, sempre nell’ambito del Calendario del Cibo Italiano.
Perché l’ambasciatrice è una mia amica, la blogger Silvia Leoncini (La masca in cucina).
Inoltre si è appena conclusa la Fiera Nazionale del Marrone a Cuneo, a cui abbiamo partecipato insieme. Tra qualche giorno spero di riuscire a pubblicare un post dove vi racconterò tutto quello che abbiamo combinato, per ora vi voglio offrire soltanto un piccolo dolce.
Alle castagne ovviamente, o ai marroni.






La sapete la differenza tra castagne e marroni? Andate da Silvia che vi spiegherà tutto.
Intanto noi pensiamo al dolce.
Ho pensato di preparare i Whoopie Pies, delle piccole tortine soffici, molto semplici da fare, originarie del New England. Sono al cioccolato ripiene di una crema al burro e marshmallows, quei dolcetti zuccherosi tipicamente americani.
Io li avevo già postati QUI, uno dei miei primi post, quando ancora ero entusiasta del nuovo blog, ora le cose sono un po’ diverse, ma ne parerò a tempo debito. Quelli erano nella versione classica con un semplice ripieno di crema alla nocciola o confettura.
Stavolta, in onore di Silvia e di Aifb, ho pensato di declinarli alla cuneese, con la farina di castagne nell’impasto e una buona crema di marroni all’interno.
Anche questi però si possono farcire con una semplice crema al cioccolato.
Anche se ormai si trova facilmente sia la farina di castagne, sia la confettura di marroni. Se volete prepararla in casa eccovi una ricetta facile che ho postato QUI.
Io vi do anche una ricetta per preparare una crema di marroni rapida da consumare subito








Whoopie pie alla castagna.
230g di farina 00,
100g di farina di castagne,
1 cucchiaio raso di cacao amaro,
170g di zucchero,
200ml di latte o latticello,
70g di burro sciolto,
2 uova,
1 cucchiaino di bicarbonato o lievito per dolci,
essenza di vaniglia,
un pizzico di sale.

Per farcire:
crema di marroni.

Setacciate insieme le farine, il cacao e il lievito.
Sbattete bene l’uovo con lo zucchero, unite il latte e il burro sciolto alternandoli con le farine.
Unite il sale e la vaniglia.
Dovete ottenere una pastella omogenea e piuttosto densa.
Con il cucchiaio distribuite l’impasto su una placca per dolci foderata con carta forno.
Formate dei cerchi non più grandi di 10cm di diametro, distanziati fra loro.
Tenete conto che in cottura i dolcetti crescono molto, più si fanno piccoli meglio è.
Io mi sono attenuta alle istruzioni della ricetta e mi son venute 20 tortine piuttosto grosse da accoppiare. È meglio fare mucchietti piccolini, 2-3cm di diametro, circa metà cucchiaio, in questo modo si avranno poi dolcetti più piccoli e facili da mangiare. E più belli da vedere. Comunque questo va a vostro gusto.
Infornate a 180°, forno caldo e statico, per circa 10-15 minuti, devono essere asciutti in superficie ma morbidi.

Accoppiate i dolcetti a due a due farcendoli con crema di marroni, oppure con ganache al cioccolato, crema alle nocciole o una confettura a piacere.




Crema di marroni velocissima e da consumare subito:
100g castagne lesse sbucciate,
50ml latte intero caldo,
1 cucchiaino di cacao,
1 cucchiaio di zucchero,
1 cucchiaio di cognac (facoltativo).

Frullate tutto col mixer ad immersione, fate addensare qualche minuti la crema a fuoco dolcissimo. Fate raffreddare e usate subito per farcire i dolci.
Conservate in frigo per 2 giorni al massimo.



TAPAS DAI CARAIBI ALL’AFRICA, A PASSO DI DANZA, PER L’MTC.

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Mai come in questo caso mi ritrovo a scrivere e postare all'ultimo momento.
Con il tempo che incalza.
Ultimamente sono sempre stata tra i ritardatari, in realtà, ma questo mese credevo davvero di non farcela.
Eppure il tema del mese dell’MTChallengeè davvero stimolante e ho avuto idee a raffica fin dall'inizio.
Poi si sono susseguiti tutta una serie infinita di intoppi, impegni, cambi di programma, guai personali che non sto a raccontare. Quindi ho rimandato tanto che ora mi ritrovo a scrivere praticamente a notte fonda.
Potevo anche prendermi una pausa e saltare una sfida ma mi dispiaceva un po’ prima di tutto perché stimo molto Mai Esteve, la vincitrice del mese scorso,  come food blogger ma anche come persona. Poi perché, da spagnola qual è, ci ha introdotti nella loro tradizione più peculiare: la movida, l’andare in giro per locali a bere e sgranocchiare tante cose buone. Un apericena in itinere insomma.
Tutto questo si traduce in tre parole chiave: tapas, pinchos e montaditos.






Le tapas sono dei piattini che venivano usati per coprire i bicchieri o le caraffe di vino nei locali e su questi piattini venivano messe piccole porzioni di cibo, sono per lo più piccoli assaggi di qualcosa che di solito viene servito come pietanza vera e propria, a volte sono proprio avanzi del frigo e si mangiano con la forchetta.
I pinchos invece sono piccoli bocconcini asciutti infilzati su stecchini o spiedini, si mangiano in piedi al bancone del bar e alla fine il barista conta gli stecchini (e i bicchieri) e fa il conto.
I montaditos sono piccoli crostini, fettine di pane, tartine con sopra qualsiasi cosa edibile e si mangiano con le mani, come le nostre bruschette.
Per la sfida occorre preparali tutti e tre. Tema vasto quindi, forse persino troppo.
A rendere tutto un po’ più difficile ma stimolante è stata la richiesta di Mai di legare le tre cose con un filo conduttore, un tema, che può essere la ripetizione di uno stesso ingrediente come seguire una stessa tradizione gastronomica o un ispirazione estemporanea.
Come ho già detto le idee che avevo in testa erano tante. Ho dapprima pensato alla mia tradizione ligure, per tapas savonesi all’ombra della Torretta. D’altra parte il Piemonte, dove vivo, ha una antica tradizione di antipasti e stuzzichini che si esprimono al meglio nella mitica “merenda sinoira”, l’apericena prima che fosse di moda. Che qui significa iniziare con pane e formaggi e finire con assaggi di ogni sorta di cibo, dai sottaceti, alla bagna cauda, fino al brasato al Barolo.
Poi mi sono resa conto che da queste cucine ho ampiamente attinto per svariate sfide dell’MTC, anche da quella giapponese, che mi è tanto cara, e quella medio orientale.
Infine mi è venuto in soccorso il libro di M.V.Montalban, “Ricette immorali”.
Tapas afrodisiache.
Perché no.
Però non volevo impantanarmi nel solito bouquet di ingredienti ritenuti afrodisiaci per convenienza più che per reale efficacia: tartufo, ostriche, champagne, asparagi e fragole, per citare i parenti ricchi e pressoché improponibili.
Volevo che la ricetta stessa richiamasse qualcosa di sensuale, di esotico, di coinvolgente.
La cosa più esotica, sensuale e coinvolgente che mi viene in mente subito è la danza.
Le danze africane e caraibiche che tanto mi piacciono. Salsa, Bachata e Kizomba.
Esotiche lo sono. Passionali e coinvolgenti pure, a meno di non trovarsi a discutere col proprio ballerino (leggi marito) perché ci si pesta continuamente i piedi, ma quelli son meri dettagli.
Sono tutte e tre danze dell’amore: sono da fare in coppia, seguendo ritmi e movenze sensuali, e tutte le canzoni parlano d’amore, di solito travagliato.
La differenza sostanziale di questi testi è che nella Bachata l’amore è romantico e sofferente, molto sofferente, nella Kizomba si butta tutto direttamente sul sesso e non se ne parla più, mentre nella Salsa si soffre per amore ma sostanzialmente se ne fregano, basta ballare.
Scherzi a parte, i tre balli hanno tutti l’Africa come punto di partenza e il Caribe come punto di approdo, seguendo la tratta degli schiavi.
La Salsa è nata a Cuba, la Bachata è originaria di Santo Domingo, anche se poi si ballano in tutti i Caraibi con piccole varianti di stile.
Per la Kizomba occorre fare un discorso a parte: è nata in Angola in tempi relativamente recenti, fine anni ’70 primi ’80, dalla mescolanza di musica dance moderna e ritmi africani antichi e tribali, come Zouk e Semba (che fra l’altro sono gli antenati del Samba brasiliano).
Da lì si è diffusa dapprima in tutti i paesi di lingua portoghese, essendo l’Angola una ex colonia portoghese, poi è arrivata anche nel resto d’Europa.
Persino a Mondovì, si stenta a crederci.
Quindi tre piatti, tre assaggi di piatti tipici delle zone di provenienza di questi balli, che fondono le tradizioni culinarie degli indigeni, degli schiavi africani in arrivo o in partenza e dei colonizzatori, spagnoli o portoghesi.
Per la tapa ho scelto la Bachata, più tranquilla e romantica, e quindi un piatto tipico di Santo Domingo da mangiare con calma con forchetta e piattino guardandosi negli occhi.
Per il montadito, boccone da mangiare con le mani, rapido e veloce, ho scelto la Salsa e quindi si va a Cuba.
Infine per il pincho ho scelto la Kizomba con un piatto nato in Africa nelle colonie portoghesi (Angola in testa) e diventato poi un piatto tipico anche del Portogallo. Rivisitato in chiave finger food, con uno spiedino da sbocconcellare in maniera molto sensuale, possibilmente imboccandosi a vicenda.
Bon via alle danze, passatemela.








Tapa: Locrio de Camarones (riso con gamberi)
(Ricetta presa da www.cocinadominicana.com tradotta e adattata)

Ingredienti:
500g gamberi (o mazzancolle)
250g riso,
1 spicchio d’aglio,
1 peperoncino,
100g di salsa di pomodoro,
100g olive snocciolate,
80g piselli,
1 carota grande o 2 piccole,
3-4 rametti di prezzemolo
sale, olio d’oliva,
brodo di verdure o fumetto di gamberi (fatto con le teste e i carapaci, un bicchiere di vino bianco, un cucchiaio di sedano, carote e cipolla tritati, un mazzetto di odori)

Sgusciate i gamberi e teneteli da parte.
Con le teste e i carapaci preparate il fumetto: rosolateli in una pentola con il trito aromatico e sfumateli con un bicchiere di vino bianco, unite il mazzetto di odori coprite di acqua e fate sobbollire a fuoco baso per un’ora circa. Passate al colino schiacciando bene con una forchetta i carapaci.
Non salate.

Fate rosolare in un tegame lo spicchio d’aglio, il peperoncino, la carota a dadini e i piselli in tre cucchiai di olio d’oliva. Se i usate i piselli in scatola uniteli insieme ai gamberi.
Unite il riso, la salsa di pomodoro e coprite a filo con il brodo o il fumetto di gamberi.
Cuocete fino a metà cottura del riso, unite i gamberi, le olive a pezzetti e il prezzemolo tritato, aggiustate di sale e continuate a cuocere a fuoco lento, semicoperto, fino a completa cottura del riso, mescolando di tanto in tanto. Se dovesse asciugarsi troppo unite altro brodo.
Aggiustate di sale e pepe alla fine.








Montadito: Frijoles negros (fagioli neri su crostino di pane)
(ho trovato la ricetta in un mio quaderno dove negli anni ho segnato le ricette di cucina estera, non so quindi risalire alla fonte precisa, accetto informazioni più precise)

Ingredienti:
200g fagioli neri secchi,
1 piccola cipolla rossa o 2 scalogni,
1 piccolo peperone rosso o verde o mezzo grande,
1 spicchio d’aglio,
½ bicchiere di vino bianco,
2 cucchiaio di salsa di pomodoro,
alloro, origano, cumino,
peperoncino,
sale, pepe,
olio d’oliva.

Mettete a bagno i fagioli neri per una notte.
Sciacquateli e fateli cuocere in acqua bollente non salata per 45 minuti circa. Devono essere quasi cotti, non sfatti. Scolateli tenendo la loro acqua da parte.
Tritate finemente la cipolla e a dadini il peperone, rosolateli con l’aglio pelato in due cucchiai di olio d’oliva. Unite i fagioli, il vino bianco, la salsa di pomodoro e la foglia di alloro.
Coprite a filo con l’acqua dei fagioli (o acqua calda normale) e continuate la cottura per un’altra mezz’ora, finché sono ben teneri. Se occorre aggiungete altra acqua calda. Deve diventare una zuppa molto densa.
Alla fine aggiustate di sale, unite origano, cumino e peperoncino a piacere.

Io l’ho lasciata asciugare molto bene e l’ho servita su fette di baguette leggermente tostate, ma di solito si serve con riso bianco lessato.







Pincho: Frango piri-piri (pollo piri-piri)
(mix di ricette prese dal web: in particolare da www.whats4eats.com e www.congocookbook.com )

Ingredienti:
1 pollo a pezzi (io un petto),
per la salsa piri-piri:
10-12 peperoncini rossi piccanti (i miei non erano molto grandi)
2 spicchi d’aglio o 2 scalogni,
1 cucchiaino di paprika,
3-4 cucchiai di aceto (o vino bianco o succo di limone a gusto)
4-5 cucchiai di olio d’oliva,
sale, pepe,
2 cucchiaini di erbe aromatiche tritate a piacere: origano, cumino, coriandolo, prezzemolo, basilico,
1 falda di peperone rosso (mia aggiunta per rendere più cremosa la salsa)
½ cucchiaino scarso di miele di castagno (mia aggiunta perché trovo che ci stia bene).

Nota: le dosi della salsa non sono precise perché dipende dalla zona di provenienza, dai gusti di chi la prepara, di quanto piccante la si vuole. Nel web ho trovato molte versioni di questa salsa.








Ecco un video di due bravissimi ballerini di kizomba, tra i migliori del mondo, e poi ditemi se non vi viene voglia di ballare.


FOCACCETTE DI PATATE DELLA VALBORMIDA O QUASI PER IDEA MENÙ

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Si fa presto a dire focaccette di patate.
Nel savonese è un discorso in cui ci si potrebbe perdere.
Dipende se ci si trova in Riviera o nell'entroterra.
In riviera, da dove provengo io, quando si parla di focaccette di patate si intendono i “figassin de patatte”. Un impasto di farina, lievito e patate lessate e schiacciate.
Più farina che patate. Un ‘impasto bello sodo, che deve lievitare fino al raddoppio.
Poi viene steso e tagliato a losanghe o tirato in salsicciotti e tagliato a pezzi, che poi vengono fritti.
Nell'impasto si può anche aggiungere del cipollotto fresco tritato, o erbe aromatiche, olive taggiasche tritate. A seconda dei gusti.
Ma il vero figassin è in purezza.
Perché poi lo si deve accompagnare con una bella fetta di salame o lardo.
Questo a casa mia, in riva al mare.
Ma se da Savona si sale verso la Valbormida la questione cambia.







Il nome cambia.
Cambiano l’impasto e l’accompagnamento
Cambia la forma. E la cottura.
E nemmeno una volta sola.
Un ginepraio che non vi dico.
Vediamo se ci ho capito qualcosa.
Innanzi tutto lì l’impasto è più simile a quello degli gnocchi: quindi la proporzione tra patate e farina si ribalta a favore delle prime.
E fin qui in Valbormbida son tutti d’accordo.
Poi però dipende se ci si mette il lievito o meno.
Dunque, se c’è il lievito di birra, dopo opportuno riposo, l’impasto viene porzionato in piccoli panetti leggermente schiacciati e cotti in forno a legna. E qui siamo di fronte al Fazzino, presente in molti comuni. Viene accompagnato con condimenti vari, come aglio e olio, battuto di lardo, pesto o salumi.
A volte il Fazzino viene condito con olio e cipolla prima della cottura, come fanno a Bormida.
A Pallare invece viene aggiunto anche l’uovo.
Lo stesso impasto, steso sottile e tagliato a losanghe, può venire cotto direttamente sulla piastra della stufa a legna o su una pesante padella antiaderente.
Qualcuno a sto punto elimina il lievito, aggiunge un pizzico di bicarbonato, ma anche no, e procede direttamente alla stesura e cottura.
A Murialdo, in frazione Riofreddo vengono conditi con olio, prezzemolo e parmigiano e sono chiamati Lisoni e ogni anno il 16 agosto, in occasione della festa di S.Rocco si svolge la Sagra omonima.
A Pallare questo impasto viene steso col mattarello in piccoli dischi, tipo piadine e cotti sulla piastra. Ma qui si chiamano Lisotti della Nonna, che possono essere anche arricchiti con spinaci e dal 2015 sono tutelati come prodotto De.Co.(denominazione comunale).
Vi ho fatto andare in confusione?
Un po’.
Spero di avervi fatto anche venire fame.
Perché mi accingo proprio a preparare qualche fazzino, lisotto, focaccetta che sia.
Quelli veloci senza lievito. Da cuocere subito in padella.
Tagliati in piccoli pezzi diventano un antipasto goloso da servire ben caldo, con formaggi e salumi o con qualche salsina sfiziosa.
Perfetti per festeggiare un compleanno. Come quello del mio bambino che è appena passato.
I bambini non resisteranno. Ma nemmeno i grandi.
I resto del menù ve lo preparano le mie amiche blogger, con cui condivido la rubrica Idea Menù. Intanto che le patate cuociono andate a dare un’occhiata.














Focaccette di patate della Valbormida.
(Visto che ho trovato solo indicazioni generiche sull'impasto e non una ricetta vera, ho cercato di ricreare le focaccette ricordando quelli che ho assaggiato, ho utilizzato la classica ricetta degli gnocchi di patate con l'aggiunta personale del parmigiano.
Li ho tagliati piccoli volutamente, per esigenze di menù dovendo fare un antipasto ma so che nella realtà sono più grandi. Quelli farciti sono una mia variante.
Se qualche Valbormidese passasse di qui e vuole aggiungere o rettificare quanto ho detto, o regalarmi una ricetta di famiglia, sarò lieta di rifarla e postarla, naturalmente citando la fonte)

500g patate lessate e sbucciate,
200g farina 00, più altra per la spianatoia,
un pizzico di sale,
1 pizzico di bicarbonato,
3 cucchiai di grana grattugiato (mia aggiunta).

Schiacciate le patate ancora calde. Fatele intiepidire leggermente, impastatele con il formaggio, il sale, il bicarbonato e la farina.
Dovete ottenere un impasto omogeneo e morbido, come quello per gli gnocchi di patate.
Stendete l’impasto sulla spianatoia ben infarinata a uno spessore di circa 4mm.
Tagliatelo a losanghe di 7-8cm di lato. Oppure ricavate dei cerchi con un coppa pasta tondo.
Cuocete i pezzi pochi alla volta su una padella calda ma non rovente, 3-4 minuti per lato.
Serviteli ben caldi.
Si accompagnano con salumi e formaggi, battuto di lardo alle erbe, creme di formaggio, paté di olive o pomodori secchi, pesto e quello che la vostra gola vi suggerisce.






Variante davvero apocrifa ma golosa: i calzoni ripieni.

Stendete l’impasto piuttosto sottile, 3mm di spessore. Attenzione che la spianatoia sia ben infarinata altrimenti si attacca. Ricavate dei dischi di circa 12cm di diametro.
Farciteli a piacere con salumi e formaggi. Io ho messo cotto e fontina.
Richiudeteli a mezzaluna premendo delicatamente i bordi. Fateli cuocere sulla piastra o nella padella antiaderente qualche  minuto per parte. Devono prendere colore.
Consiglio in questo caso di non usare la padella troppo calda, ma di farli cuocere pian piano così il calore arriva bene anche all’interno senza che la superficie si bruci troppo.







Per avere maggiori e più precise informazioni su questi piatti della tradizione ligure vi rimando a questi link:

Vade DIETRO... LA LASAGNA! IL NUOVO LIBRO DELL'MTCHALLENGE!

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È ufficiale.
Da oggi possiamo pensare al Natale.
Possiamo andare alla ricerca di nuovi addobbi per l’albero e nuove statuine del Presepe.
Cominciare a pensare al menù delle feste e stilare una lista di regali.
Cosa regalare a chi?
Ma ve lo dico io cosa.
Un bel libro di cucina.


Ma non uno qualsiasi. Uno veramente figo con tante foto e illustrazioni divertenti.
Ma soprattutto un libro con 160 pagine o giù di lì di ricette tutte collaudate e garantite al 100%, tutte una più golosa dell’altra, tutte da porca figura assicurata.
Anche per il pranzo di Natale con la suocera.
Anche se viene a cena l’amica pittima, quella che farebbe innervosire Carlo Cracco (si, va be, lì ci vuol poco), quella che troverebbe da dire anche su un piatto cucinato da Cannavacciuolo. Che poi magari a casa sua va avanti di precotti e surgelati, ma visto che non si perde una puntata di Masterchef si sente presa nella parte.
Bene. Zittitela con una di queste ricette. Anche perché a bocca piena mette male aver da dire.
E magari alla fine regalatele pure il libro, così forse impara qualcosa di utile.

Come lo so?
Lo so perché si tratta del nuovo libro dell’MTChallenge.
E già questa è una garanzia. Perché le ricette in questione sono tutte di blogger bravissime che fanno parte di questa community. Quindi le ricette provengono da una delle sfide memorabili di questo gioco che da 60 edizioni impazza per il web.

Dopo il patè, le insalate, i dolci lievitati e le torte salate è la volta delle regine della tavola italiana: le lasagne.
Che sia domenica, festivi o feriali poco importa, ogni occasione è buona per un piatto di lasagne fumanti e in questo libro troverete sicuramente una ricetta che fa per voi.
Dalla classica lasagna al ragù della tradizione bolognese a tante altre varianti, sia per quanto riguarda il condimento che la pasta. Con tutti i trucchi e trucchetti del caso.
Quindi non avrete più dubbi su cosa preparare la domenica  a pranzo per la famiglia, o quando vorrete stupire gli amici a cena.

Il libro è uscito oggi in tutte le migliori librerie d’Italia e lo potete trovare anche su Amazon.

Titolo del libro: DIETRO LA LASAGNA.

Edizioni Gribaudo (Gruppo Feltrinelli)
Testi: Alessandra Gennaro (la Van Pelt ovvero The Principal ovvero An Old Fashioned Lady)
Foto: Paolo Picciotto (ovvero lo sventurato rispose)
Illustrazioni e styiling: Mai Esteve (ovvero quel Genio della Mai).


Vi lascio un paio di anteprime solo per rendervi conto di che bel lavoro hanno fatto.






Se tutto questo non vi bastasse sappiate che acquistando e regalando questo libro ad amici e parenti contribuirete a sostenere i ragazzi di Piazza dei Mestieri.
E qui faccio la seria per un momento perché ci tengo molto a spiegare bene di cosa si tratta.
Sin dai tempi del libro “Insalate da Tiffany” i proventi son serviti a sostenere una Onlus di Torino che si occupa di aiutare i ragazzi che hanno abbandonato la scuola prematuramente a imparare un mestiere. È stata quindi fondata una scuola vera e propria dove si insegnano diversi lavori, anche quelli che stanno un po’ scomparendo. Dalla parrucchiera al tipografo, fino al panettiere, cuoco e pasticcere. Persino mastro birraio.
Nella scuola i ragazzi studiano, imparano, fanno pratica e lavorano a tutti gli effetti.
All'interno dell’istituto c’è una caffetteria, un ristorante e un pub gestiti dalla scuola, dove i ragazzi mettono in pratica quello che studiano e nel frattempo si autofinanziano.
L’anno scorso ho cenato nel loro pub e ho assaggiato delle ottime birre, proprio prodotte dalla scuola.
I proventi del libro sono volti a offrire borse di studio per i ragazzi meno fortunati.
E vi posso assicurare personalmente che i soldi arrivano davvero dove devono arrivare.



PS. Nel libro c’è anche una mia ricetta. Come sia potuto accadere non lo so. Ma intanto c’è e mi godo la bella sensazione di far parte del gruppo.

Se vi capita di rifarla, fatemi sapere come vi è sembrata, mi raccomando.



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