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FAGOTTINI DI MORTADELLA PER IL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO DI AIFB.

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Sono tornata dopo due settimane di assenza causa qualche contrattempo di natura tecnica. Si sa che io e il pc non siamo amiconi, diciamo che il nostro è un rapporto di amore e odio o forse di nervosa sopportazione. Reciproca. Quindi ogni tanto si offende per qualcosa che ho fatto o che non ho saputo fare e decide di prendersi una pausa.
Così mi sono rimasti in sospeso numerosi post. Li pubblicherò sicuramente ma non sarà la stessa cosa perché erano dedicati alCalendario del cibo italiano di Aifb e come in ogni calendario che si rispetti ogni giorno è dedicato a qualcosa di diverso.
Questa volta non si tratta di santi, fasi lunari, proverbi, citazioni o quant'altro ma solo di cibo, di ricette della nostra cucina tradizionale e di prodotti tipici delle varie regioni, qualcuno più conosciuto, altri meno noti o magari da riscoprire.




Durante le ferie del mio pc io mi sono persa un bel po’ di giornate, per esempio quella del consommè, o quella degli involtini di verza o ancora il baccalà alla vicentina.
Persa per modo di dire perché ho seguito i post sul sito ufficiale di Aifb e i contributi dei blogger, soci e non, che hanno di volta in volta partecipato alle giornate con le loro ricette.
Ma io sono rimasta in panchina.
Oggi no. Oggi dovevo partecipare per tutta una serie di ragioni.
Se non fosse ritornato da me il fedifrago (digito piano perché non vorrei che si offendesse di nuovo) ero già pronta a chiedere asilo politico a qualcuno a caso, persino a fare irruzione nell’ufficio del sindaco al grido “il mio regno per un pc … che funzioni!”.
Invece io e il mio macinino siamo momentaneamente tornati amici. Gli ho perdonato anche il fatto che mentre riposava si è perso misteriosamente le ultime foto, quelle degli involtini di verza, ma chiudiamola qui.
Per cui eccomi.
Le ragioni di tanta smania di partecipazione sono almeno tre: una è la voglia di contribuire seppur alla mia maniera un po’ raffazzonata a questa bella iniziativa, la seconda è che oggi è la GiornataNazionale della Mortadella di Bologna, un prodotto di eccellenza che in casa nostra non manca quasi mai, il terzo motivo è che ho una ricetta che amo molto, che la che vede come protagonista e che avevo in mente di postare già da molto tempo.
È una ricetta semplice, povera e senza pretese perché fatta con ingredienti di facile reperibilità, ma anche gustosa e succulenta. Una ricetta di casa.
Infatti è la ricetta della mia mamma. La fa da che mi ricordo. Non ne conosco l’esatta origine so solo che in casa nostra si mangia da sempre. Non è un piatto da festa, raffinato e delicato, ma è sempre una festa quando compare a tavola.
È stato uno dei primi piatti che il mio fidanzato e attuale marito ha mangiato in casa nostra ed è diventato uno dei suoi preferiti
Si tratta di involtini di mortadella farciti con un ripieno di bietole ed erbette saltate in padella, maggiorana, parmigiano e poche uova, chiusi bene e rosolati per pochi minuti nel sugo di pomodoro.
Tutto qui. Facili, veloci, gustose. Mio figlio in questo modo si mangia le verdure senza battere ciglio. Considerando che nel sughetto poi la scarpetta è d’obbligo, sono praticamente un piatto unico. Meglio di così.
A casa le chiamiamo “mortadelle ripiene” ma detta così mi rendo conto che il nome è un tantino fuorviante, sembra che ci mettiamo a farcire delle mortadelle intere, che poi non è tanto il farcirle, quanto piuttosto il cuocerle nel sugo che darebbe da pensare.
Insomma, non potevo mancare alla Giornata della Mortadella di Bologna, in compagnia della nostra ambasciatrice è Francesca Carloniche ha raccontato tutto ma proprio tutto su questa eccellenza italiana, vanto e amore indiscusso di Bologna ma anche di tutta Italia.













Fagottini di mortadella nel sugo.

Ingredienti per circa 16 fagottini:
1 kg di bietoline ed erbette,
1 cipolla media,
16-18 fette di Mortadella di Bologna non troppo sottili,
1 cucchiaio di foglie di maggiorana, fresca o essiccata,
4-5 cucchiai di Parmigiano grattugiato o Grana,
2 uova medie,
pangrattato,
1 spicchio d’aglio,
1 foglia di alloro,
300g passata di pomodoro, possibilmente rustica e fatta in casa,
1 cucchiaio di triplo concentrato di pomodoro,
olio extravergine d’oliva,
sale, noce moscata.

Trotate molto finemente la cipolla e fatela appassire dolcemente in padella con due cucchiai di olio, bagnatela con due o tre cucchiai di acqua e fatela stufare.
Nel frattempo lavate e mondate le bietole, tagliatele a julienne molto sottile e mettetele in una larga padella antiaderente senza olio ne sale, incoperchiate e fatele appassire per qualche minuto nella loro acqua di vegetazione, scoperchiate e fate asciugare bene.
Tritatele grossolanamente a coltello e fatele insaporire per qualche minuto nella padella con le cipolle, aggiustate di sale e fate raffreddare.
In una terrina mescolate le bietole ripassate con le uova leggermente sbattute, il grana, la maggiorana e un pizzico di noce moscata. Se il composto fosse troppo molle e umido unite poco pangrattato.
Distribuite una bella cucchiaiata di composto al centro di ogni fetta di mortadella, avvolgetela a pacchettino e fermatela con uno stuzzicadenti o legatela con dello spago da cucina o steli di erba cipollina sbollentati.
In una larga padella antiaderente versate 2-3 cucchiai di olio e scaldateli con lo spicchio d’aglio e la foglia di alloro, unite la passata di pomodoro, il concentrato e un mestolino di acqua calda e fate cuocere per 10 minuti, aggiustate di sale.
Adagiate i fagottini, uno accanto all’altro, fateli rosolare nel sugo 3-4 minuti per parte, eliminate aglio e alloro e servite.


Si possono far sbollentare le bietole in acqua bollente leggermente salata, strizzare e tritare a coltello prima di passarle in padella con le cipolle, in questo modo il composto risulta più omogeneo, attenzione al sale. Trovo però che nell’altro modo le bietole perdano meno di colore e sapore e si faccia anche prima. Decidete voi come vi viene meglio.









FARINATA DI CECI, FARINATA BIANCA DI SAVONA E Ü TÜRTELLASSÜ.

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Oggi è laGiornata Nazionale della Farinata, secondo il Calendario del Cibo Italiano di AIFB e io ne approfitto per parlare di un piatto che è uno dei simboli della mia regione, insieme al pesto e alla focaccia. La si trova in tutta la Liguria, è merenda, street food, aperitivo, cena.
Ci sono un po’  ovunque feste e sagre in cui la farinata è la regina indiscussa.






Il termine farinata può voler dire diverse cose per a seconda delle zone d’Italia, per esempio può significare una minestra di farina con aggiunta di legumi o ortaggi vari oppure una specie di polenta arricchita con pancetta o cavolo nero, insomma può essere una generica preparazione a base di qualche farinaceo.
Ma per noi liguri la farinata è una sola, inconfondibile e irrinunciabile. 
Cioè quella sottile crespellona di acqua e farina di ceci, cotta in un grosso tegame di rame nel forno a legna, morbida ma croccante allo stesso tempo.
A seconda delle zone può essere semplice o aromatizzata con rosmarino.
Pare che sia nata sulle galee genovesi durante gli scontri fra Pisa e Genova, quando durante una tempesta alcuni sacchi di ceci si inzupparono di acqua, per non buttare via alimenti preziosi vennero cotti, conditi con olio d’oliva e serviti ai marinai. Alcuni non apprezzarono questa purea salata e la lasciarono al sole. Col calore del sole diventò una specie di frittella che i marinai, anche per i morsi della fame, trovarono molto più buona. Una volta rientrati a Genova perfezionarono la ricetta in quella che ancora oggi è amata da tutti.
È conosciuta anche nelle regioni a noi confinanti con altri nomi: in Toscana si chiama “cecina”, nel basso Piemonte “bellecauda”, in Costa Azzurra “socca”. Tutte zone che hanno sempre avuto scambi commerciali con la Liguria, quindi per noi la farinata è una nostra creazione esportata poi oltre i confini regionali.
Infatti la si trova anche presso le comunità italiane in Sudamerica, Uruguay e Argentina in testa, proprio col nome ligure “fainà”.
Mi dispiace se così attirerò le proteste e le rivendicazioni dei vicini di casa, ognuno è libero di pensarla come vuole, ma per un ligure DOC, la farinata è roba nostra.

Nell’ impeto dell’orgoglio ligure voglio anche riprendere il discorso iniziato con i ravieu cou tüccü”, cioè riportare un po’ alla ribalta tutte quelle ricette della provincia di Savona (la Terra di Mezzo) sorelle o cugine di quelle del resto della regione, simili ma anche molto diverse che però fanno sempre parte della tradizione ligure. Tutti piatti che patiscono un po’ l’ingombrante presenza della cucina genovese, molto più nota, tanto da essere identificata come la cucina ligure per eccellenza.
Se in parte è vero, devo dire però che tutte queste differenze più o meno sottili valgono la pena di essere portate alla ribalta.
Ecco perché per me, savonese, farinata è ancora qualcosa di altro.

Tipica della provincia di Savona è la “farinata bianca” che è fatta allo stesso modo ma con farina di grano al posto di quella di ceci. Oppure viene aggiunta una piccola percentuale di farina di ceci (dal 10% fino a 1/3 del totale della farina), in questo caso si ottiene quello che i meno giovani ricordano come “Ü Türtellassü”, anche se ormai viene indicata tutta semplicemente come farinata bianca.
Anche in questo caso la leggenda la fa risalire a ragioni di necessità e ristrettezze dove l’ingegno corre in aiuto alla fame: pare che durante un blocco dei commerci da Genova, fosse più difficile reperire la farina di ceci e che quindi i Savonesi per cuocere la farinata la mischiassero con quella bianca, dando origine a quella bianca
Nei forni di Savona si possono trovare tutte le versioni; adesso vengono anche arricchite con olive, erbe aromatiche, bianchetti, salsiccia o quello che la fantasia suggerisce, un po’ come le pizze, ma la farinata originale, bianca o gialla che sia è in purezza, bella unta d’olio, al massimo con qualche fogliolina di rosmarino.

L’ideale sarebbe avere il “testo da farinata”. Un tegame rotondo di rame stagnato, spesso e pesante, con i bordi bassi e arrotondati. Questo tegame si trova facilmente nei negozi di casalinghi di tutta la Liguria. Serve anche per cuocere la focaccia di Recco.
Di solito ha un diametro molto ampio,  anche di 1 metro, perché viene utilizzato nei forni a legna, ma si trovano anche misure più piccole, adatte al forno di casa.
Questo tegame non deve mai essere lavato. Lo si pulisce bene dai residui di farinata con un pezzo di carta da cucina umido e poi si spennella con un po’ d’olio d’oliva, infine si ripone avvolto in strofinacci puliti. Ogni tanto va fatto “stagnare”, cioè viene ripristinato il sottile strato di stagno che ricopre il rame.
Una volta questi “stagnini” erano molto diffusi, specialmente nei paesini dell’entroterra. Ora questo mestiere sta lentamente scomparendo.

La cottura ottimale la si ottiene nei forni a legna, che raggiungono temperature elevate, di oltre 300°C. in questo modo la pastella subisce un vero e proprio shock termico che la fa rapprendere immediatamente in superficie, formando una bella crosticina asciutta e croccante, ma rimane morbida all’interno. Può essere più o meno morbida anche a seconda dello spessore, ovviamente se la pastella è in uno strato sottile la farinata sarà molto croccante. Li va un po’ a gusti.

Io ovviamente non ho né il forno a legna, né il testo di rame stagnato. In teoria ce l’ho ma nella casa in Liguria  e per giunta necessita di manutenzione. Quindi ho ripiegato su una normale teglia da pizza, antiaderente ma col fondo piuttosto spesso e ho cotto la farinata nel forno normale della cucina.
Non è venuta perfetta, ma dopo qualche tentativo mal riuscito il risultato è stato soddisfacente.

Le proporzioni di acqua e farina variano leggermente, ognuno dichiara di avere la ricetta originale, ma più o meno sono queste. 
Io ho interpellato validi informatori al riguardo: mio padre per quella di ceci e mio suocero per quella bianca di Savona.
Mio papà è uno degli addetti alla farinata durante al Sagra del Vino Lumassina, che si svolge ogni primo week end di Agosto a Feglino (SV), si sa che vino bianca e farinata sono una perfetta accoppiata e in una sera se ne cuociono anche una quarantina di testi belli grandi, tutti innaffiati generosamente dal vinello locale. Considerando che oltre a questo ci sono anche tanti altri piatti tipici da gustare, la prossima estate sapete dove programmare le ferie.

Ringrazio Sara Bonaccorsi , l'ambasciatrice  della Giornata della Farinata per AIFB per il suo bellissimo post e per averci insegnato un'altra versione gustosa della farinata.










Farinata di ceci:
Ingredienti per due tegami di rame o da pizza di circa 32cm di diametro:
250-300g di farina di ceci,
1 litro di acqua fredda,
1 cucchiaino di sale fino,
olio extra vergine di oliva.




Farinata bianca di Savona.
Ingredienti:
300g farina bianca,
1 litro di acqua fredda,
1 cucchiaino di sale fino,
olio d’oliva,
pepe.

Ü türtellassü:
Ingredienti:
200g di farina bianca,
100g di farina di ceci,
1 litro di acqua fredda,
un cucchiaino di sale fino,
4-5 cucchiai di olio extra vergine d’oliva,
pepe,
rosmarino facoltativo.





Si preparano tutte allo stesso modo.
Mescolate la farina con il sale, stemperate con l’acqua fredda versandola pian piano e mescolando con una frusta per non far grumi. Mescolate bene e fate riposare la pastella minimo 2 ore in un luogo fresco.

Si può aumentare di molto il tempo di riposo a patto che la temperatura non sia troppo elevata altrimenti tende a fermentare. Questo vale di più per la farinata di sola farina di ceci ma anche per quella  bianca occorre fare attenzione. Per esempio d’estate, quando fa molto caldo, basta un riposo più breve oppure conviene lasciare la pastella in frigo o in una cantina fresca (ben coperta).
Ogni tanto conviene dare una mescolata alla pastella in modo da far sciogliere bene tutta la farina che tende a depositarsi sul fondo. Qualcuno consiglia anche di eliminare la schiumetta che si forma in superficie.

A questo punto dovete accendere il forno al massimo della potenza. Se supera i 200°C meglio, l’ideale sarebbe che arrivasse almeno a 250°.
Quando il forno è in temperatura versate l’olio d’oliva nella teglia e ungetela bene, deve esserci un sottile strato d’olio su tutta la superficie bordi compresi, versate delicatamente la pastella, mescolatela leggermente all’olio.
Se volete potete distribuire sulla pastella delle foglioline fresche di rosmarino, ma solitamente la farinata bianca è “nuda”.

Infornate e cuocete la farinata per circa 30-35 minuti. Quando la pastella inizia a rapprendersi accendete anche la ventola in modo che il calore sia uniforme.

Deve essere leggermente dorata, quella di grano non si colora in cottura come quella di ceci che diventa bella gialla, tuttavia se la volete asciutta e croccante accendete il grill gli ultimi 3-4 minuti di cottura.


U turtellassu




a fainà de cexi



Sagra del vino Lumassina Agosto 2016 - i forni sono a pieno regime!


Farinata "con rinforzino" di salsiccia.

BUDINI AL LATTE DI RISO: dolce light, vegano, gluten free e senza lattosio.

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Tutto insieme? In un unico dessert? Ma davvero?
Va bene che notoriamente non sono molto amante dei dolci. Io prediligo quelli semplici, poco inzuppati, non stucchevoli, che non ti si piazzano sullo stomaco per gli anni a venire insieme al rimorso per aver nuovamente interrotto la dieta.
Ma diciamoci la verità, certi rimorsi di coscienza non mi hanno mai fermata, non più di tanto.






Amo le torte da credenza, i biscotti, adoro i dessert al cucchiaio ma anche questi devono essere freschi e leggeri. Nel senso di leggeri come gusto e come consistenza. Non certo leggeri perché poco calorici.
In questo senso ho sempre guardato con un po’ di diffidenza chi prometteva un dolce light, sano e nello stesso tempo buono. Ma figurarsi, il dolce è dolce e basta. E se è light è difficile che sia anche buono. Poi se si deve sgarrare e concedersi un peccato di gola, tanto vale farlo come si deve. Oppure ripiegare con una bella macedonia e i buoni propositi son salvi.
Quindi mai e poi mai mi sarei aspettata di fare un dolce light, che già il nome mi sembrava un ossimoro. Non è nelle mie capacità.
Ma mi è toccato farlo. Perché oggi è il giorno di IDEA MENÙ e il tema scelto è la cucina light, visto che siamo ancora reduci dalle abbuffate delle recenti festività, e mi è pure toccato di pensare al dolce. Io? Sembra una barzelletta.
Ci ho pensato. Rimuginato. Ho cercato in tutti i miei libri di cucina. Ho cercato in giro per il web. Dolci light ce ne sono moltissimi. Non sto certo scoprendo l’acqua calda. Qualcuno anche molto invitante, son sincera, ma non sapevo decidermi.
Volevo qualcosa di semplice, senza ingredienti strani, alla portata di tutti.
Già: alla portata di tutti. E se fosse davvero alla portata di tutti, ma proprio tutti?
Anche di chi ha qualche intolleranza o proprio non vuole mangiare certi alimenti.

Così ho pensato a un dolce senza lattosio, senza glutine, con calorie contenute e magari anche vegano. No forse totalmente vegano non sarà perché non sono certissima che il cioccolato sia ammesso, ma è nella decorazione finale che si può omettere quindi son salva.
Ho usato infatti del latte di riso, senza lattosio e senza glutine, che essendo naturalmente dolce di suo non necessita di troppo zucchero. Le calorie del latte di riso non differiscono molto da quelle del latte vaccino scremato (letto sulle confezioni) ma di meno c’era l’acqua e adesso non esageriamo.
Come addensante ho usato poca farina di riso e l’agar agar, una gelatina derivata dalle alghe, quindi vegan e quasi a zero calorie. Per dare un po’ di sapore, perché sinceramente ce n’era bisogno visto che il latte di riso non è sta gran golosità, ho pensato allo zenzero, alla vaniglia e al te verde Sencha, quello delicatissimo giapponese, anche perché a ispirarmi sono stati proprio i dolci giapponesi, eterei e delicati.
Alla fine ho ottenuto un budino fresco, leggero e a discapito di tutto anche buono.
Probabilmente ha anche influito il fatto che alla fine ho completato con una colata di cioccolato fondente fuso, quello amarissimo al 90% di cacao, e con una spolverata di riso soffiato.

Certo niente batte una panna cotta, una crème caramel carica di uova o un goloso semifreddo al torroncino. Ma doveva essere dolce light e dolce light sia.
Per le calorie credo davvero che alla fine ce ne siano poche. Ho provato a calcolarle ma temo che le mie competenze in fatto di dietologia finiscano qui.

Per il resto del menù light andate a vedere cosa hanno cucinato le mie amiche blogger e buon appetito:


Primo di Carla: Zuppa nera

Secondo di Tania: Melanzane ripiene di carne



Ecco il dessert:










                          


Budini di latte di riso al te verde e zenzero con cioccolato fondente.

Ingredienti per 4 persone:
500ml latte di riso,
1 bustina di te verde giapponese Sencha,
1 cucchiaio di zucchero,
1 cucchiaio di farina di riso,
1 fialetta di essenza di vaniglia,
zenzero in polvere,
1 bustina di gelatina agar agar in polvere.

Per decorare:
2 kiwi,
2 cucchiai di riso soffiato,
50g cioccolato fondente* al 90% di cacao.
*(ovviamente fate attenzione all’etichetta in caso di celiachia o intolleranza al lattosio, deve cioè essere nella lista degli alimenti consentiti. Per quanto riguarda vegani e vegetariani non so che dire, nella mia ignoranza credevo che il cioccolato fosse permesso, ma non son sicura. Comunque è sostituibile con una semplice purea di frutta fresca

Sciogliete l’agar agar con 1dl di latte.
Scaldate il latte di riso rimasto e mettete in infusione la bustina di te per qualche minuto e filtrate. In un pentolino mescolate lo zucchero con la farina di riso, stemperatela con poco latte di riso a filo, mescolando bene per ottenere una pastella senza grumi. Unite tutti il latte e portate ad ebollizione a fuoco dolce mescolando continuamente.
Unite la gelatina sciolta e fate sobbollire a fuoco molto basso per un minuto, aromatizzate con la vaniglia e lo zenzero in polvere.
Fate intiepidire mescolando di tanto in tanto e versate negli appositi stampini da budino.
Una volta freddi mettete in frigo per almeno due ore.

Sformate i budini sui piatti di portata.
Sciogliete il cioccolato fondente spezzettato al microonde, versatelo a filo sui budini, completate con il riso soffiato e servite con i kiwi a dadini o fettine.

NB: il cioccolato è sostituibile con una semplice salsina fatta frullando frutta fresca a piacere con poco zucchero e passata al setaccio.




Variante al cioccolato:
grattugiate il cioccolato e scioglietelo nel latte di riso insieme allo zucchero e alla farina di riso, unite la gelatina e procedete come da ricetta. Potete eliminare il te verde che in questo modo sarebbe coperto dal gusto del cioccolato, lo zenzero invece secondo me sta bene perché da una piccola nota pungente.

Oppure al posto dello zenzero potete aggiungere una grattugiata di scorza di arancia o peperoncino o foglie di menta, tutte essenze che legano molto bene con il cioccolato.



ZUPPA DI CECI E MAIALE per l'MTChallenge

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Della serie: le ultime parole famose. 
Ecco  a voi la sfida MTCHALLENGE n°53: zuppe e minestroni.

Questa volta è facile. Questa volta la faccio ad occhi chiusi. 
Peccato che si possano presentare solo tre ricette altrimenti li inonderei di zuppe.
Sono una “ragazza” di campagna dopo tutto, origini contadine più che certe, venuta su a minestrone cotto ore ed ore sulla stufa a legna, sempre lo stesso ogni giorno ma sempre diverso a seconda degli ingredienti che l’orto aveva da offrire.
Il minestrone è stato forse la prima cosa che ho cucinato da sola, forse dopo la pasta fresca.
Questa è la mia sfida, la mia ricetta. 





Poi a proporla è stata proprio una ligure DOC come me, Vittoria Traversa dal blog La Cucina Piccolina.
Infatti ha subito suggerito il minestrone alla genovese e la zuppa di legumi e granaglie, la Mesc-ciua, della tradizione genovese-spezzina.
Quindi non posso certo sottrarmi a un invito così. Di ricette ne ho a bizzeffe: nei libri di cucina che ormai sono impilati un po’ ovunque, nei miei quaderni lisi e macchiati di unto, nella mia testa. Ho solo l’imbarazzo della scelta.
Ecco. Appunto. Che faccio adesso?
Adesso che ho tergiversato fino all'ultimo?
Oltretutto mi sembra che le idee più interessanti siano state già sviluppate da tutti gli altri sfidanti (vi invito sempre a fare un giretto nella pagina apposita dove ci sono tutti i link per gustare le proposte in gara).
Avevo in mente zuppe marocchine, egiziane, libanesi, piene di legumi e spezie. Volevo attingere alla mia adorata cucina giapponese, quelle delicatissime zuppe con o senza miso, con o senza pasta. Addentrarmi nel Sud-est asiatico. Oppure spaziare in qualche paese nord europeo, dove le minestre sono spesse, ricche corroboranti e decisamente sostanziose.
Ma anche il filone esterofilo è già stato ampiamente ed egregiamente battuto dalla community che ha dato vita a un vero e proprio giro del mondo delle zuppe (date un occhiata ai post del mese di gennaio dell’MTC)

Quindi, la mia sicumera adesso dove la metto?
Non c’è bisogno di rispondere mi sono già risposta da sola, grazie.

Alla fine sono ritornata sui miei passi, alla mia casa di campagna, alla stufa a legna di mia nonna e mi sono coccolata con una semplice zuppa di famiglia. Non quella da “tutti i giorni” ma quella della festa, di quando si uccideva il maiale, a novembre, quando fuori iniziava a far freddo e si preparavano i salami, le salsicce e i sanguinacci.
Visto che del maiale non si butta via niente, la cotenna e le zampe finivano nella pentola della minestra, insieme a ceci e fagioli e poco altro.
Alcuni la chiamano “zemin”, che però in altre zone può essere anche una semplice zuppa di ceci, fagioli e bietole senza le cotenne. Da noi, in famiglia come in paese, si chiama semplicemente “suppa de cexi cü sampin e cujghe” cioè zuppa di ceci con lo zampino e le cotenne (mi scuseranno i liguri per il dialetto scritto un po’ approssimativamente).

La ricetta è veramente semplice: ceci, fagioli, cotenne e zampe del maiale, sedano, carote e cipolla, qualche foglia di cavolo o bietola, poco pomodoro. Qualcuno mette una patata per addensare il brodo. Reminiscenze genovesi farebbero aggiungere una pugnetto di funghi secchi, ma di solito si preferisce senza. Tutto qua.
Col tempo le cotenne sono state sostituite dalle meno grasse e più carnose costine, sia perché ormai è inconsueto che si allevino maiali in casa, pur nella campagna savonese, e reperirle dal macellaio è altrettanto difficile, sia perché i gusti moderni sono un po’ meno rustici, prediligono una cucina con una parvenza di leggerezza in più (ho detto parvenza).
Insomma in famiglia la cotenna proprio non piace e forse poco anche lo zampino sebbene diano alla zuppa un gusto più deciso, ma poi chi se li sarebbe mangiati?

In conclusione, io che pensavo, mi illudevo, di spiazzare tutti con una proposta originale, pescata in qualche tradizione culinaria lontana, con qualche ingrediente particolare o magari qualcosa di noto ma rivisitato in chiave personale e innovativa invece sono rimasta nelle confortevoli e sicure tradizioni di casa. 
Già che ci sono continuo la saga: “Si, io mangio savonese: le ricette della Riviera dei Fuori”, e non è un errore, intendo proprio fuori, come un balcone.
E devo pure sbrigarmi perché la sfida finisce domani.
Mannaggia Vittoria, mi hai proprio fregata.

E se volete sapere la differenza fra zuppe, minestroni, minestre, creme, passati e vellutate date un occhiata a questo post e alla ormai imperdibile infograficadi Daniela.











La zuppa di ceci e fagioli con costine di maiale.
(Prima indico la ricetta tradizionale e in seguito quella della mia famiglia che è quella che ho fatto io)

Ingredienti per 4-6 persone:
300g ceci secchi,
300g fagioli secchi,
2 carote,
1 cipolla o un porro,
3 coste di sedano,
1 patata media(facoltativa),
1 pomodoro piccolo o 100g di passata di pomodoro,
6-8 foglie di cavolo verza o cavolo nero (o bietole),
olio extravergine d’oliva,
sale e pepe,
1 zampino di maiale e 1 pezzo di cotenna oppure 6-8 costine.
Per la carne:
1 foglia di alloro,
1 rametto di rosmarino,
1 rametto di salvia,
½ bicchiere di vino bianco secco.

Mettete in ammollo i legumi separatamente per una notte.
Tagliate sedano, carota e cipolla a fettine o dadini non troppo piccoli.
A questo punto si può procedere in due modi.
La ricetta tradizionale prevede di rosolare le verdure in poco olio in una pentola, unire lo zampino e la cotenna, far insaporire un paio di minuti poi coprire di acqua e portare a bollore. Unite poi i legumi, prima i ceci e dopo 10 minuti dalla ripresa del bollore anche i fagioli. Fate bollire pian piano per circa un’ora poi unite il pomodoro tritato grossolanamente e la patata a dadini, continuate la cottura ancora 30-40 minuti circa, aggiungete anche i cavoli tagliati a listarelle, aggiustate di sale e portate a termine la cottura finché tutte le verdure son ben cotte, le patate devono praticamente disfarsi e addensare la zuppa. Le patate sono facoltative, a volte si omettono e per addensare la zuppa si schiacciano uno o due cucchiai di legumi cotti.

La versione della mia famiglia, che è quella che ho fatto io, invece è leggermente diversa, innanzi tutto noi preferiamo usare le costine, molto meno grasse dello zampino e più gradite da tutti, inoltre le facciamo rosolare da parte per qualche minuto per sgrassarle ulteriormente, oppure le scottiamo in acqua bollente, per il resto si fa come da ricetta tradizionale.
Ma andiamo con ordine.
In una padella antiaderente rosolate le costine (o zampino e cotenna) senza alcun condimento, unite le erbe aromatiche e sfumate con una spruzzata di vino bianco. Oppure fatele sbianchire per qualche minuto in acqua bollente non salata con un mazzetto aromatico.
Nel frattempo mettete la dadolata di sedano, carote e cipolle in una pentola, fate imbiondire per un paio di minuti con due cucchiai di olio e poca acqua, unite le costine di maiale e coprite con abbondante acqua calda o brodo di verdura non salato, portate a bollore e unite prima i ceci e poi dopo 10 minuti i fagioli.
Lasciate cuocere a fuoco lento per un’ora circa poi unite il pomodoro tritato grossolanamente o la passata, le patate a cubetti e il cavolo a striscioline. Continuate a cuocere sempre a fuoco dolce finché i legumi sono ben cotti, le patate quasi sfatte addenseranno la zuppa.
Alla fine aggiustate di sale.
Volendo il cavolo si può unire a pochi minuti dalla fine cottura.

Servite con crostini di pane  (che ho naturalmente dimenticato di fotografare, spero la cosa non mi faccia finire fuori gara).











PICCOLA PASTICCERIA SALATA PER IL BUFFET DI CARNEVALE.

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Ma il Carnevale è iniziato?
No, perché io ho appena finito di sistemare in soffitta gli addobbi dell’albero, mi sto ancora riprendendo dai pranzi natalizi e già si pensa alle feste in maschera.
La mia Stella di Natale è ancora viva e sembra godere di ottima salute, quindi non ha ancora avuto tempo di maturare tendenze suicide.
Poi è un attimo e ci ritroviamo a pensare al riciclo delle uova di cioccolato.
Sarà l’età ma non riesco più a tenere il ritmo.
Ho bisogno di riprendermi tra una festa e l’altra. Di farle decantare.
Non sono riuscita nemmeno a fallire la dieta post natalizia, anche perché non l’ho mai iniziata.
Quest’anno ho deciso di passare direttamente a quella pro bikini.
Comunque, si il Carnevale è iniziato.






Sarà che mio figlio è cresciuto ed è in quell'età in cui non ci si maschera più. "Troppo da piccoli". Quindi la cosa è passata abbastanza inosservata.
Finché era piccolino, in età da scuola materna, cominciavamo presto a pensare al vestito, alla maschera. Ricordo ancora con tenerezza il Carnevale dei suoi 4 anni: voleva vestirsi da meccanico della Ferrari. Così gli ho cucito una tuta rossa e ho cercato toppe e adesivi da applicare. Ho coinvolto anche il meccanico del paese per farmele avere.
Era così contento. Avevo esagerato con le misure, infatti gli è andata bene anche per i due anni successivi. Ma tanto all'epoca era deciso: voleva diventare un meccanico del team Ferrari.
Oppure un cuoco della Prova del Cuoco, quelli col grembiule rosso, come Renatone.
Adesso mi sembra passato tanto di quel tempo. Le idee sono un po’ meno chiare. Ci penserà su.
Intanto vi propongo qualche ricetta facile e veloce, ma di sicuro effetto per le vostre festicciole. Piccoli antipastini o aperitivi, magari per un buffet in una serata danzante.
Ho pensato alla pasticceria salata, salatini che si sono mascherati da dolci.

Questo è l’antipasto per il menù di Carnevale di Idea Menù.
Ecco le proposte delle mie amiche e socie:










Girandole salate con confettura piccante.

Queste si ispirano ai Jouluturtuttu finlandesi, dolci tipici natalizi con confettura di prugne, la pasta è la stessa cambia la farcia che sembra dolce ma in realtà non lo è.

Per la pasta:
500g farina 00,
200g burro salato morbido,
200g caprino o formaggio fresco spalmabile,
un pizzico di bicarbonato.

Per farcire:
confettura di peperoni piccante.

Impastate gli ingredienti e avvolgete la pasta nella pellicola, mettete in frigo per almeno due ore. Spianate la pasta in una sfoglia sottile circa 4mm.
Tagliatela a quadrati di circa 6-8 cm. Incideteli sulle diagonali per circa 1,5cm, non arrivate troppo nel centro. Mettete in centro mezzo cucchiaino di confettura e piegate gli angoli verso il centro alternandoli formando così delle girandole.
Premete delicatamente la pasta al centro. Disponeteli sulle placche coperte di carta forno e mettete in frigo per circa mezz’ora.
Infornate a 180°C per 10-15 minuti.

Variante con patè di peperoni secchi:
250g pomodori secchi sott’olio sgocciolati,
2 cucchiai di concentrato di pomodoro,
1 acciuga sott’olio,
4-5 capperi,
origano,
peperoncino.

Tagliate i pomodori a pezzetti e frullateli con il resto degli ingredienti fino ad ottenere una crema omogenea. Usatela per farcire le girandole.






Girelle alle erbe aromatiche e pecorino.

Con la stessa pasta delle girandole avevo già preparato delle girelledolci al cacao con zucchero cannella e semi di papavero. Ecco la versione salata.

Origano e erba cipollina secchi,
pecorino o parmigiano grattugiato,
semi di papavero,
spezie a piacere,
impasto delle girandole (vedi sopra).

Stendete la pasta in una sfoglia rettangolare spessa 3mm, cospargetela con pecorino, erbe aromatiche, semi di papavero e spezie. Piegate la pasta in 3 e stendetela nuovamente sottile come prima. Cospargetela ancora con spezie, erbe e semi e arrotolate la pasta molto stretta.
Avvolgetela nella pellicola per alimenti e mettete in frigo per un’ora o in freezer per circa 15 minuti. Affettate il rotolo in fette spesse 3-4mm e disponetele sulle placche coperte di carta forno. Infornate a 180°C per circa 10 minuti.


Bignè al salmone.

30 piccoli bignè vuoti (la ricetta per la pasta choux trovate qui),
300g salmone affumicato,
200g caprino fresco,
noce moscata,
una spruzzata di cognac (facoltativo).

Frullate il salmone con il caprino, la noce moscata  e il cognac. Tagliate delicatamente una calottina dai bignè, farciteli con la crema utilizzando la sac à poche e rimettete la calottina.

Variante ai salumi: potete fare la crema con il prosciutto cotto o la mortadella. Oppure potete usare solo il caprino e mantecatelo con poca panna montata non zuccherata, aromatizzate con spezie  a piacere.


Tartellette al cacao con pere e gorgonzola.

Ho già pubblicato la ricetta della brisèe al cacao in questo post, farcendole con pere, noci e formaggio erborinato del mio paese.
Per renderle ancora più simili a dei dolci basta frullare 150g di gorgonzola cremosa con 100ml di panna e 2 uova e farcire circa 30 tartellette di pasta brisèe al cacao cotte in bianco. Completate con cubetti di pera e infornate a 180°C per 10-15 minuti.



Vol-au-vent con peperoni e crema alle acciughe.

Ho usato i cestini di sfoglia pronti, so che una food blogger non dovrebbe usare basi pronte ma a ogni regola c’è la sua eccezione: fare la pasta sfoglia è un lavoro semplice ma molto lungo, ancora di più fare i vol-au-vent. Comprateli, il vostro pasticcere sarà felice di farveli. Se siete talebane della cucina, non leggete nemmeno la ricetta. Anche perché la salsa è un altro scherzo di Carnevale: una salsa di acciughe che da grande vorrebbe essere una bagna caoda. Io adoro la tipica salsa piemontese di aglio e acciughe e so benissimo come si fa, infatti questa non è bagna caoda, non è nemmeno una variante o una rivisitazione, è solo ispirata a essa ma decisamente modificata. Perché quella vera è un tantinello invadente. Chiamiamola salsa alle acciughe e non roviniamoci la festa. Li avevo fatti simili in questo post: con tartellette di brisèe e panna cotta alla bagna caoda. Questa è la versione rapida.

30 vol-au-vent di pasta sfoglia già cotti,
2 peperoni rossi,
200ml di panna fresca,
3 spicchi d’aglio,
150ml di latte intero,
200g acciughe sott’olio.

Arrostite i peperoni in forno a 200°C finché la buccia è ben bruciacchiata e si stacca dalla polpa. Metteteli in un sacchetto da pane e fateli intiepidire, dopo spellateli e eliminate tutti i semi. Tagliateli a dadini e conditeli con sale e pochissimo olio.
Riempite i vol au vent con i dadini di peperone.
Spellate l’aglio, eliminate l’anima e schiacciateli con lo spremi aglio. Metteteli nel latte e portate a bollore, fate sobbollire per circa 10 minuti.
Potete eliminare l’aglio tutto o solo in parte, oppure, se vi piace un gusto più intenso, frullarlo insieme al latte e alle acciughe. Unite anche la panna, aggiustate di sale e pepe e fate bollire un paio di minuti. Versate la salsa a cucchiaiate sui peperoni e servite calda.





TAGLIATELLE AL PEPERONCINO E ERBE AROMATICHE CON PANCETTA E FAGIOLI PER AIFB.

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Sto decisamente perdendo colpi.
Credevo di aver già pubblicato la ricetta di queste tagliatelle al peperoncino. Le ho preparate e fotografate più di un anno fa ed ero convintissima di averle postate. Invece nel blog non ci sono. Ho controllato nella pagina dell’archivio ricette e sono andata a cercare a ritroso. Niente.
Eppure avrei giurato di si. Mi sembrava anche di ricordare di aver scritto la ricetta e il post, mi sembra di vederlo davanti agli occhi. Invece non c’è.
Tra l’altro è un piatto che ci è piaciuto tantissimo. Le ho anche rifatte più volte.
Boh. Mistero.





Insomma è giunto il momento di rimediare a una svista così grossolana.
Non è che sia un'idea così originale. In realtà è frutto di una mescolanza di ricette diverse, di cose viste qua e là e di ingredienti semplici che tutti abbiamo in dispensa.
 Praticamente è uno di quei piatti che si fanno quando in casa si ha poco e niente e si prendono quattro cose a caso, a volte esce una schifezza, questa volta è andata bene.
Così ho recuperato le foto vecchie in archivio (datate settembre 2014, mi pare) ed ecco qua.

Anche perché oggi è la Giornata Nazionale delle Tagliatelle, secondo il Calendariodel Cibo Italiano di AIFB, quindi quale occasione migliore di questa?
L'ambasciatrice per Aifb di questa giornata è Simona Ielli del blog Farine Fiori e fili che ci ha raccontato come si fanno le vere tagliatelle bolognesi al ragù. Che fame.
Ma anche queste non sono per niente male. L'impasto è alla ligure, cioè con meno uova. Ho aggiunto qualche erbetta aromatica e una punta di concentrato di pomodoro, infine una generosa spolverata di peperoncino in polvere.
Per il condimento mi sono fatta ispirare alla pasta e fagioli, per tagliatelle così rustiche e saporite ci voleva un sugo altrettanto rustico e saporito.
Ne è risultato un piattino "leggero e delicato" insomma. Un buon rosso corposo o un bianco morbido e aromatico? Cosa abbinare con questo piatto? C'è la succulenza e grassezza della pancetta, la dolcezza dei fagioli, l'acidità del pomodoro, le erbe profumate e infine, nota dolente di ogni sommelier, la piccantezza del peperoncino.
Che vino abbinare a un piatto piccante?
Qualcuno pensa che nessun vino possa andar bene, meglio una birra.
Io sinceramente non lo so. Se qualche sparuto lettore che passa di qui ha una sua opinione al riguardo io lascio aperto il dibattito. Mi farebbe davvero piacere avere consigli.
Intanto che ci pensiamo, vi do la ricetta delle tagliatelle.









Tagliatelle al peperoncino con sugo di pancetta e fagioli rossi.

Ingredienti per 4 persone:
200g di farina 0,
200g di semola macinata fine,
2 uova,
peperoncino in polvere o in scaglie,
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro,
1 cucchiaio di erbe aromatiche secche miste (maggiorana, origano, erba cipollina e timo),
sale fino un pizzico,
acqua fredda.










Mescolate le due farine, formate la fontana con al centro le erbe aromatiche, il peperoncino, un pizzico di sale e il concentrato di pomodoro. Rompete le uova e iniziate a sbatterle con una forchetta. Unite pian piano poca acqua e impastate tutti gli ingredienti fino ad avere un impasto liscio ed omogeneo. Tirate la sfoglia col mattarello sottile ma non troppo, infarinatela leggermente e arrotolatela. Tagliatela a strisce larghe 1 cm circa con un coltello pesante e affilato. allargatele sulla spianatoia infarinata in  modo che non si attacchino e fatele asciugare qualche minuto.
Nel frattempo preparate il sugo.

Per il sugo:
200g fagioli rossi lessati,
100g pancetta affumicata,
300g salsa di pomodoro,
1 scalogno,
1 spicchio d’aglio,
1 foglia di alloro,
olio extra vergine di oliva,
sale, peperoncino in polvere.

Tritate finemente lo scalogno e fatelo stufare dolcemente per qualche minuto in padella con due cucchiai di olio e poca acqua. Unite l'aglio in camicia e la pancetta a dadini, fate rosolare due minuti poi aggiungete la passata di pomodoro, i fagioli e la foglia di alloro.
Fate cuocere per circa 10 minuti, unendo poca acqua di cottura della pasta se si asciugasse troppo. aggiustate di sale e peperoncino (poco perchè c'è già nella pasta).
Eliminate alloro e aglio.

Lessate le tagliatelle in abbondante acqua salata in ebollizione, scolatele ancora al dente e fatele saltare nella padella del sugo per un paio di minuti con un cucchiaio di acqua di cottura.

Potete unire all'ultimo delle cime di rapa scottate e appena saltate in padella.










VERSIONE DI MARE con gamberetti e ceci.
Questa pasta si presta anche ad essere condita con un buon ragù di pesce, ricco e saporito. Se volete un'idea sprint potete preparare lo stesso sugo di prima mettendo dei gamberi sgusciati al posto della pancetta e dei ceci lessati al posto dei fagioli. Unite anche un rametto di rosmarino.

CREMA DI GAMBERETTI PICCANTE CON RAVIOLI DI CARCIOFI E GAMBERI AL RUM.

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Oggi ricettina da porca figura e anche un po’ da acchiappo.
Perché è si un po’ articolata ma si può fare in anticipo, tenere tutto pronto e finire all’ultimo in poche mosse. Ed arrivare a cena con la messa in piega intatta e il vestito in ordine.
In più farsi vedere cucinare coi tacchi ha sempre il suo perché.
Perché di tutta sta manfrina?
Perché tra poco è San Valentino.
E non fate  i finti cinici che non vi viene bene.
Perché è inutile dire che è una festa sciocca, inutile, commerciale. Intanto prima o poi ci caschiamo tutti. Prima o poi la voglia di passare una serata romantica scatta.





Non siete convinti? Proprio non volete omologarvi alla massa?
Allora organizzatevi per un’altra sera. Per il 15. Così date meno nell’occhio.
Magari in questo modo riuscirete davvero a prendere di sorpresa la vostra metà.
O a conquistarla se siete ancora in fase di approccio.
Niente di meglio di preparare una bella cena romantica, o piuttosto afrodisiaca.
Lo so che scientificamente i cibi afrodisiaci non esistono, almeno non sono stati accertati. Ma nell’immaginario comune ce ne sono alcuni a cui non si può prescindere se si vuole dare un tocco piccantino alla serata.
Piccantino come il peperoncino, che essendo un vasodilatatore, fa scorrere il sangue e anche l’ormone. Non so se mi spiego.
Altri afrodisiaci per antonomasia sono le ostriche, il tartufo e lo champagne. Ecco noi rimaniamo più con i piedi per terra e ci accontentiamo di crostacei, carciofi, erbe aromatiche, spezie e un bianco frizzante italiano, che comunque non sono da meno.
Perché in realtà la vera atmosfera la crea la musica, la luce soffusa, il gioco di sguardi, complice anche una bella bottiglia di bollicine italiane.
E qui mi gioco il jolly, voglio parlare ai baldi giovani e giovanili, alla metà rude della mela. (Quella bacata?)
Cari miei pirati dei Caraibi non c’è cosa che affascina di più una donna che vedere il suo uomo cucinare per lei, poi è chiaro che la libido viene un po’ meno al cospetto dei detriti da disastro ambientale che lasciate in cucina, ma lì per lì è una carta vincente da giocare.
Come insegna Isabel Allende nel suo Afrodita: “…non possiamo resistere agli uomini che sanno cucinare … che scelgono amorosamente gli ingredienti più freschi e sensuali, che li preparano con arte e li offrono come un regalo per i sensi … è inevitabile, pensiamo, che questi uomini abbiano tutti i sensi affinati, compreso quello dell’umorismo… Mentre osserviamo come puliscono, condiscono e cucinano i gamberi, immaginiamo la stessa pazienza e abilità impiegate nel farci un massaggio erotico … se sono in grado di ricordare quanti minuti può resistere una rana in padella, a maggior ragione ricorderanno di quanto solletico ha bisogno il nostro punto G, anche se in realtà … nella vita reale in genere sono più interessati alle gambe della rana che alle nostre.”
Ecco qua, non avrei potuto raccontarla meglio.
Quindi signori miei, regolatevi di conseguenza. E organizzatevi, già che ci siete, con la protezione civile per dare un senso alla cucina dopo.

La ricetta che vi propongo è un mix di idee diverse, come al mio solito.
La crema di gamberi alla creola l’ho presa dal “Grande Ricettario” di Gualtiero Marchesi, e già da sola ha il suo perché, ma io ci ho voluto abbinare anche dei ravioli ai carciofi e gamberi, che pare siano anch’essi afrodisiaci e comunque il loro sapore leggermente pungente sta bene con la dolcezza dei crostacei. Il peperoncino dosatelo secondo i vostri gusti. Mettiamoci pure una bella spruzzata di Rum dei Caraibi, che fa esotico e scalda l’ambiente.
Bon, si va a cucinare.
E se volete un intero menù per l’occasione basta andare a curiosare nei Blog delle mie amiche Tania, Carla e Lindache hanno preparato le altre portate di IDEA MENÙ.





Antipasto di Tania - Crema afrodisiaca di avocado http://blog.giallozafferano.it/cucinachetipassaoriginal/?p=4889&preview=true

Primo - Ravioli di carciofi e gamberi al rum su crema di gamberetti piccante alla creola


Dolce di Carla . Tiramisù variegato al cognac con le pere     http://arbanelladibasilico.blogspot.com/2016/02/il-menu-di-san-valentino.html








Crema di gamberetti alla creola con ravioloni di carciofi e gamberi al rum,

Per la crema:
200g gamberetti sgusciati,
1 piccola cipolla o ½ porro,
1 carota,
1 gamba di sedano bianco,
1 foglia di alloro,
timo e maggiorana,
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro,
1 bicchierino di rum scuro invecchiato,
½ bicchiere di vino bianco,
½ litro di brodo di pesce o fumetto di crostacei*.
100ml panna fresca,
1 cucchiaio di farina di riso,
peperoncino, noce moscata, pepe, sale,
olio extra vergine d’oliva.

Pulite sedano, carota e cipolla e tagliateli a dadini piccoli. Fateli rosolare in una pentola a fondo spesso con 2 cucchiai di olio d’oliva per un paio di minuti. Unite i gamberetti e fate insaporire un minuto. Bagnate col rum e fate evaporare (qui si dovrebbe dar fuoco al rum ma io ho semplicemente lasciato che evaporasse a fuoco vivace mescolando bene).
Poi unite il vino bianco e fate cuocere per 5 minuti. Infine coprite con il brodo di pesce e aggiungete le erbe aromatiche, le spezie a piacere e il concentrato di pomodoro. Non salate, aggiusterete di sale solo alla fine.
Fate sobbollire per circa mezz’ora, lasciate che il brodo si restringa della metà. A questo punto stemperate la farina di riso con due cucchiai di brodo formando una crema, unitela alla zuppa con la panna e fate sobbollire ancora qualche minuto perché si addensi.
Io prima di aggiungere panna e farina ho frullato la zuppa col mixer ad immersione in modo da avere una crema liscia ed omogenea.
Alla fine aggiustate di sale e di peperoncino.

Per i ravioli:
150g farina 00,
100g farina di riso,
1 albume,
½ bicchiere di vino bianco,
sale, acqua fredda qb.

Per il ripieno e per decorare:
15 gamberi,
2 carciofi,
1 piccolo scalogno,
1 spicchi d’aglio in camicia,
rum scuro,
vino bianco,
olio extra vergine d’oliva,
sale.

Pulite i carciofi e tagliateli a fettine, se il gambo è fresco potete utilizzare alche questo: pelatelo e tagliatelo a dadini piccoli. Tritate finemente lo scalogno e fatelo rosolare con 2 cucchiai di olio in una padella antiaderente. Unite i carciofi e fateli insaporire un minuto, spruzzateli con 2-3 cucchiai di vino bianco, fate evaporare poi unite un bicchiere d’acqua e fate cuocere per circa 15 minuti, finché i carciofi son teneri e l’acqua è asciugata tutta.
Tenetene qualche fettina da parte per decorare i piatti e tritate il resto grossolanamente con un coltello.

Eliminate le teste dei gamberi e sgusciateli tenendo solo la codina (non buttate i carapaci ma usateli per fare il fumetto di crostacei). Fate rosolare le code di gambero in padella con 2 cucchiai di olio e lo spicchio d’aglio in camicia. Bagnate con un bicchierino di rum e fate evaporare. Unite ancora un paio di cucchiai di brodo di pesce e fate cuocere i gamberi per un paio di minuti ancora. Tenete da parte 4-6 gamberi per decorare il piatto mentre sminuzzate grossolanamente gli altri con il coltello. Uniteli ai carciofi.


Mescolate le due farine, unite l’albume, un pizzico di sale, il vino bianco e impastate con le mani. Se occorre unite poca acqua fredda. Dovete ottenere un impasto liscio e morbido.

Tirate la pasta molto sottile e distribuite il ripieno a mucchietti su una metà, coprite con l’altra metà, premete bene tutt’attorno per eliminare l’aria, poi con un taglia biscotti ricavate i ravioli a forma di cuore. Potete sempre fare ravioli di forma a piacere.

Lessate i ravioli in abbondante acqua salata e scolateli, conditeli con un filo d’olio perché non si attacchino.
Preparate i piatti: mettete sul fondo una bella cucchiaiata di crema di gamberi, disponete i ravioli a raggera. Sono grandi quindi per fare una cosa carina ne bastano 5-6 a testa, ma se siete mangioni come noi tenetene pronti un po’ per il bis (almeno il doppio). Disponete qualche fettina di carciofo e un paio di code di gambero.
Completate a piacere con una spolverata di peperoncino.





*il fumetto di crostacei: pulite e tagliate a dadini una piccola carota, ½ cipolla, 1 piccola gamba di sedano, fateli rosolare in poco olio in una pentola a fondo spesso, unite le teste e i gusci dei crostacei e fate rosolare un minuto. Bagnate con un bicchiere d vino bianco e fate evaporare qualche minuto. Coprite con acqua fredda, circa 2-3 litri e portate a bollore. Fate sobbollire per circa un’ora schiumando spesso, il liquido si deve restringere della metà.
Alla fine filtrate il brodo e passate verdure, teste e gusci al passaverdure o al colino cinese, recuperando tutta la polpa che esce e rimettetela nel brodo.

Note:
·         La crema è ottima anche da sola con semplici crostini di pane, oppure può accompagnare delle trofie di farina bianca o gnocchetti di ricotta.
·         Un’altra idea carina è quella di servire la crema sopra a un semplice risotto allo spumante, magari rosè, completando sempre con in gamberi saltati in padella con il rum. In questo caso sia per la crema che per la cottura dei gamberi consiglio di usare lo stesso spumante utilizzato per il risotto.

·         I carciofi si possono sostituire con i topinambur o gli asparagi, sempre tagliati a dadini e cotti in padella allo stesso modo.




FILETTO DI MAIALE AL MIELE E BIRRA SCURA PER L’MTCHALLENGE.

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Eccoci qua. Torna l’appuntamento mensile con l’MTCe tornano le mie solite paturnie. Perché dire pippe mentali non sta bene.
Lo dico ogni volta perché ogni volta è così, non c’è scampo. Appena si scopre il tema della sfida vado in paranoia. Perché o non ho idea di cosa fare, o è una ricetta che non ho mai fatto e mi spaventa, oppure è un classico della cucina italiana che avrò fatto mille volte ma proprio per questo nasconde mille insidie. Insomma ne ho sempre una.





Non fraintendetemi, non ho smanie di vittoria. So benissimo che si tratta di un bellissimo gioco culinario e ancor più una occasione per imparare e che ci si deve approcciare con umiltà e voglia di migliorarsi e con una sana dose di autoironia. Però un po’ di amor proprio, un minimo di orgoglio c’è sempre.
Anche solo per non sfigurare di fronte alle centinaia di proposte degli altri sfidanti che ogni mese sommergono i giudici di ricette da acquolina in bocca.

Questo mese la difficoltà per me è doppia, quindi doppia dose di paturnie.
Non si tratta né di una ricetta particolare, né di una tecnica di cottura, bensì di un singolo ingrediente su cui deve ruotare tutto il piatto.
La cosa in se non sarebbe tanto strana o difficoltosa, dopotutto si era già fatto per le castagne mesi fa, però stavolta è un ingrediente che a casa mia non è visto molto bene: il miele.

Come faccio adesso a creare una ricetta intorno al miele quando è appena tollerato in caso di raffreddore e mal di gola? Ma soprattutto come faccio a cucinare sapendo che mi aspetterà al varco tutta la famiglia con aria più che diffidente?
Il pericolo fallimento è altissimo. Se azzardo accostamenti troppo audaci rischio di dovermi mangiare tutto da sola, se però mi limito rasento il banale.
In più aggiungiamoci che ho già adocchiato qualche altro concorrente che ha tirato fuori roba da cucine stellate e che mi sento già una scartina in partenza (ribadisco, tenete d’occhio la PAGINAdegli SFIDANTI).

Chi devo ringraziare stavolta per la doppia dose di ansia da prestazione? Ma la super coppia che ha vinto il mese scorso Eleonorae Michael di Burro e Miele .
No, ma grazie, grazie mille davvero ragazzi.

In realtà un grazie lo dovrei dire sul serio, perché senza la loro sfida non avrei superato questo limite e la mia idiosincrasia per questo ingrediente.
Non lo dico tanto forte perché non vorrei che si montassero la testa, ma è così. Ma anche perché in questa ricetta ho davvero fatto il minimo sindacale. Ho affiancato ingredienti che sono quanto di più banale possa esserci in accostamento al miele. Ho pure usato un tipo di miele “facile”, non troppo dolce, anzi leggermente amaro, che si usa già comunemente nei piatti salati, soprattutto col formaggio.
Infatti ho scelto un miele di castagno, molto comune dalle mie parti piemontesi, che è appunto poco dolce, con un retrogusto amarognolo e aromatico. Sta bene con formaggi di media e elevata stagionatura, con la frutta secca e anche le carni, soprattutto selvaggina da pelo, agnello e maiale. Soprattutto se affumicate.

Quindi la scelta non poteva che essere ovvia. Un bell’arrosto di maiale marinato al miele, con sale affumicato e un po’ di timo. Il timo perché lo adoro. Nient’altro per non caricare troppo di aromi.
Veramente avrei voluto un bel cosciotto o stinco di agnello o ancora meglio capriolo, ma non li ho trovati. Così ho ripiegato sul più comune maiale, con buona pace della mia famiglia che stava già tremando.
A completare il quadro ho pensato di aggiungere anche la birra. Una birra scura e amara, con una buona dose di alcool, possibilmente aromatica.

La scelta è caduta su una Stout (per esempio la classicissima Guinnes irlandese, ma è ottima e di tutto rispetto anche la danese Ceres, per citarne due molto facili da trovare), bella corposa e amarognola, con una tostatura del malto intensa che dovrebbe rilasciare un sentore di cioccolata, liquirizia e caffè ed esaltare sia la dolcezza del miele sia il sale affumicato.
Ora io sinceramente non so se ci ho sentito proprio tutte queste sfumature, forse mi è sfuggita giusto la liquirizia.
Confesso che la mia esperienza di degustatrice di birra è piuttosto basilare e approssimativa, anche se è un argomento che mi affascina quanto quello dell’enologia e che sto tentando di approfondire. Ad ogni modo per me è buona e ci stava bene. Finito.
Poi magari il sentore di liquirizia lo avverto la prossima volta.







Ah! Non potevo dimenticare la magnifica infografica della Dani sui vari tipi di miele e i loro abbinamenti e utilizzi in cucina. La trovateQUI.


Filetto di maiale marinato al miele, timo e birra con glassa di birra e miele.

Ingredienti per circa 4 persone:
1 filetto di maiale di circa 600g o un pezzo di lonza,
4 cucchiai di miele di castagno,
timo fresco o essiccato,
2 bottigliette da 33cl di birra scura (Stout o Trappista scura  di alcolicità medio alta),
sale affumicato,
pepe nero,
olio extravergine d’oliva,
1 cucchiaino di burro,
1 cucchiaino di amido di mais.

Staccate le foglioline a due rametti di timo, se fresco. e mescolatele a tre cucchiai di miele di castagno con una macinata di pepe nero e una presa generosa di sale grosso affumicato. Oppure unite un cucchiaino di timo secco.
Con questo mix massaggiate bene il filetto, mettetelo in un contenitore di vetro, irroratelo con un bicchiere di birra (circa 150ml), chiudete con un coperchio o con della pellicola e fatelo marinare per almeno due ore, rigirandolo ogni tanto nella marinata. Ancora meglio farlo marinare per tutta la notte, soprattutto nel caso della lonza che è più asciutta.





Sgocciolate bene il filetto dalla marinata e tenetela da parte. Scaldate due cucchiai di olio d’oliva in una padella antiaderente a fondo molto spesso che lo contenga do misura, meglio sarebbe un tegame di pietra o ghisa. Fate rosolare il filetto da tutti i lati, bagnatelo con la marinata e fate asciugare a fuoco vivace per 3-4 minuti. Unite il resto della bottiglietta di birra (circa 200ml) e appena prende il bollore fate cuocere a fuoco molto basso per circa 30-40 minuti, semicoperto col coperchio. Il liquido di cottura deve sobbollire e non deve asciugarsi del tutto, ogni tanto rigirate l’arrosto.
Non dovrebbe essere più necessario aggiungere sale e pepe.
A fine cottura punzecchiate la carne con un forchettone, deve uscire un liquido chiaro, se è ancora troppo rosa proseguite la cottura per altri 5 minuti. Oppure se avete un termometro da carne dovete avere al cuore circa 70°C, per avere una carne rosata ma non al sangue. La carne di maiale andrebbe cotta al cuore, per questioni igienico-sanitarie, a 65°C per almeno un minuto in modo che il calore uccida tutti i batteri, a questa temperatura la carne è ancora rosa e molto sugosa e comunque sicura; se si prolunga la cottura diventa più asciutta e può risultare stopposa, soprattutto se magra.
Togliete il filetto dalla padella e tenetelo al caldo avvolto nell’alluminio, fatelo riposare 5-10 minuti.




Nel frattempo preparate la glassa alla birra:
Lavorate il burro con l’amido formando una cremina senza grumi, fatela sciogliere nel fondo di cottura della carne a fuoco molto dolce. Unite 200 ml di birra e un cucchiaio di miele, una macinata di pepe e sale affumicato. Fate sobbollire dolcemente mescolando per almeno 5 minuti, la salsa deve addensarsi e ridursi.
Tagliate l’arrosto in fette piuttosto sottili e servitele con la glassa.





Servite con contorno di cipolline borettane in agrodolce, fatte sempre con lo stesso miele, o un insalata mista di cavolo cappuccio verde e rosso e finocchi, tutto tagliato finemente e condito con una emulsione di olio d’oliva e poca glassa appena preparata.

Note:
Questo arrosto si può preparare anche con la lonza, che avrà più o meno gli stessi tempi di cottura del filetto, di poco più lunghi.
Oppure con un pezzo di capocollo, in questo caso è necessaria una marinatura più lunga, di almeno 4-5 ore e anche una cottura più prolungata, se il liquido di cottura si dovesse asciugare unite altra birra.
Stessa cosa per le costine di maiale, soprattutto se il carrè è intero. In questo caso, ma anche per gli altri tagli di carne, dopo la prima rosolatura sul fornello potete proseguire la cottura in forno a 170°C per circa 45-60 minuti per un chilogrammo di carne.
Se non si fa la rosolatura in padella negli ultimi 10 minuti di cottura si alza il forno a 200°C con il grill e si lascia formare una bella crosticina.

Per quanto riguarda lo stinco i il cosciotto di agnello, si procede sostanzialmente allo stesso modo, il forno può essere a una temperatura superiore, circa 180-190°C, comunque la temperatura al cuore deve essere di circa 80°C per una cottura media.

PANINI VELOCI AL FARRO, YOGURT, POMODORO E SPEZIE PER UNA MERENDA SFIZIOSA.

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Siamo arrivati al mercoledì di Idea Menù, questa volta si parla di fast food, quindi di piccoli e grandi sfizi dolci e salati da gustare in qualsiasi momento della giornata, senza un criterio preciso. Magari anche con le mani, passeggiando in compagnia di amici, pensando già alle scampagnate della imminente primavera.
Ho pensato a dei panini soffici e fragranti, veloci da preparare perché non necessitano di una vera e propria lievitazione ed essendo della misura da boccone fanno presto anche a cuocere.
Lo dico sin d'ora, per evitare polemiche sterili, si astengano dal continuare la lettura tutti i patiti dei grandi lievitati, lievito madre e simili che potrebbero inorridire di fronte al lievito chimico.  Questo non ha niente a che fare con un impasto a lenta lavorazione e non vuole esserlo. Sono pressappoco dei salatini soffici.






L’impasto si ispira per metà a quello dei panini al latticello che ho postato tempo fa e che avevo preso direttamente dal libro di Laurel Evans (La cucina tex-mex), ma anche a dei biscotti salati al farro e yogurt che ho visto su una rivista.
Ho mescolato un po’ gli ingredienti, ho aggiunto il concentrato di pomodoro, spezie e erbe aromatiche e ho impastato con la birra.

Il risultato è dei piccoli panini profumati e saporiti, non tanto gonfi e soffici ma molto fragranti, hanno il pregio di non inzupparsi subito con le farce troppo umide.
La presenza delle spezie ed erbe aromatiche li rende deliziosi anche da soli, ma sono splendidi se farciti con quello che la fantasia e il frigorifero suggerisce sul momento.
Il fatto che non serva aspettare che si lievitino li rende adatti per un aperitivo o cena dell’ultimo momento, ma anche come deliziosa merenda per i bambini che preferiscono il salato, ovviamente riducendo un po’ le spezie.

Comunque questo impasto regge benissimo qualche ora di frigorifero, ben sigillato con della pellicola per alimenti. Anzi in questo modo l’impasto si stende più agevolmente, basta lasciarli una ventina di minuti a temperatura ambiente prima di infornare e sono perfetti.

Io li ho farciti semplicemente con della salsiccia appena spadellata, insalatina fresca da taglio e una salsa allo yogurt ed erbe aromatiche, presa di nuovo dal libro della Evans, questa volta senza grosse modifiche.
Ma si possono farcire in tantissimi altri modi, qualcuno lo vedremo in seguito.
Inoltre se volete altre idee golosissime andate a curiosare il resto del Menù Fast Food che hanno preparato Carla, Linda e Tania.

  















Piccoli panini veloci al farro con yogurt, pomodoro, birra e spezie.

Ingredienti per circa 26 piccoli panini:
150g farina 00,
100g farina integrale,
100g farina di farro
120g yogurt greco bianco,
50g burro salato freddo,
2 cucchiai di concentrato di pomodoro,
100ml birra chiara,
½ bustina di lievito istantaneo per torte salate,
paprika, peperoncino in polvere, cumino in polvere,
origano e erba cipollina secchi,
sale un pizzico.

Mescolate le farine con il lievito, le spezie e le erbe aromatiche, unite il burro a dadini piccoli e iniziate a impastare con le mani formando delle briciole.
Unite lo yogurt, il concentrato di pomodoro e la birra, impastate energicamente ottenendo un impasto morbido ma sodo e omogeneo. Se occorre unite poca acqua.
Stendete l’impasto a uno spessore di circa 1 cm e ritagliate tanti dischetti con un coppa pasta di circa 7cm di diametro. Disponeteli sulle placche coperte di carta forno, spennellateli con un’emulsione di acqua e olio d’oliva. Infornate a 200° per circa 15 minuti.
Sfornateli e teneteli al caldo in un cestino coperti con un tovagliolo pulito.




Per la farcitura.
Salsiccia,
insalatina fresca da taglio,
una salsa a piacere.

Tagliate la salsiccia a tocchetti grossi come i paninetti, apriteli a libro e fateli grigliare velocemente in una padella antiaderente senza alcun condimento.
Aprite i panini a metà, disponete la salsiccia cotta, qualche foglia di lattughino e una generosa cucchiaiata di salsa che può essere semplice maionese, salsa barbeque, messicana, salsa ranchero, tartara, harissa, eccetera.

Io ho usato il Ranch Dressing preso quasi pari pari (perchè in realtà sono andata a occhio) dal libro di Laurel Evans (La cucina tex-mex) molto facile da preparare: mescolate 1 yogurt greco bianco con 3-4 cucchiaiate di maionese e due cucchiai di erbe aromatiche tritate (prezzemolo, foglie di sedano, origano ed erba cipollina), unite anche ½ spicchio d’aglio spremuto e aggiustate di sale e pepe.








Ma le varianti possono davvero essere pressoché infinite:
·         Bresaola, rucola e caprino fresco.
·         Verdure grigliate, mozzarella e cubetti di pomodoro.
·         Fesa di tacchino, scamorza affumicata e salsa rosa,
·         Acciughe infarinate e fritte, insalatina e salsa piccante.

Vi lascio continuare.

BISTECCHE DI TONNO AL SAKÈ E ERBE AROMATICHE PER IDEA MNEÙ.

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L’ultima volta che ci siamo “visti” era mercoledì.
E siamo di nuovo a mercoledì. Ma di due settimane dopo.
Chi non muore si rivede.
Lo so, non sono una blogger affidabile, credibile e seria.
Me lo sono ripetuta mille volte e mille volte ho meditato di chiudere definitivamente la baracca. Ma io ho iniziato questo ricettario virtuale per gioco e divertimento.
Se ho qualcosa da dire lo dico. Se ho una ricetta valida la scrivo.
Anche se non è un piatto da Master Chef. Anche se non è impiattata in maniera fighetta. Anche se non mi perdo dietro a tovagliette, cucchiaini, suppellettili. Anche se è fotografata che neanche un bambino dell’asilo avrebbe saputo fare peggio. Anche se non è di tendenza.





Se mi piace e mi è venuta bene la pubblico. Fine della storia.
A volte anche se non è venuta benissimo, perché ogni tanto mi piace raccontare anche di quei piatti partiti bene e poi mah … poteva andare meglio. O dei miei continui casini in cucina.
Anche perché non son capace di star zitta e far passare una boiata come un’idea geniale.
Io in testa ho la ghiaia, quello che mi passa nel cervello passa subito alla faccia e da li a uscire dalla bocca è un attimo. Non mi fermo neanche di fronte alla tastiera.
Quindi prendo atto di queste mie peculiarità che non fanno di me la candidata ideale per Food Blogger dell’Anno e mi accetto come sono. O quasi, perché poi mi sento un po’ come a scuola “bravina, ma non si applica. Potrebbe fare di più!”.
Nell'attesa di capire cosa farò da grande, continuo a considerare questo spazio come un hobby da fare quando si ha tempo e voglia.
O quando si presenta un occasione a cui non si può dire di no.
Come nel caso di Idea Menù che ogni due mercoledì mi fa ricordare l’esistenza di questo blog.
Così riprendo in mano la lista delle ricette “da fare assolutamente, prima o poi” per vedere se ce n’è una da proporre. Una lista di piatti che mi sono segnata, trovati in giro su libri e riviste, con le mie modifiche ovviamente, oppure cose che mi sono venute in mente all'improvviso pensando a un ingrediente o a un sapore particolare.
A volte succede che in lista ci sia qualcosa che in realtà ho già fatto e non mi ricordavo più. Magari con fotografie pronte e archiviate. Ma mai pubblicata.
Come in questo caso. Questa ricetta era lì che aspettava da mesi, messa in disparte da altre cose magari perché fotografate meglio. In effetti le immagini e l’impiattamento lasciano a desiderare. Però ho pensato che non è giusto, che non è lo spirito del mio blog.
Io pubblico o no quello che è mi piaciuto senza tante balle? Quello che ha passato il vaglio di amici e famiglia? Quello che ritengo possa essere utile a chi cerca un’idea per un pranzo o una cena? Si. Benissimo, non mi devo certo vergognare per due foto orrende (Beh un filino si). Inoltre questa ricetta è perfetta per l’occasione: il menù per la festa del papà tutto di pesce.
Quindi qui da me vi beccate il secondo, le altre portate andate a gustarvele come sempre da Linda, Carla e Tania.



Secondo le mie Bistecche di tonno al Sakè, erbe aromatiche e gomasio 

















Bistecche di tonno al sapore di oriente con sakè e erbe aromatiche miste.

Ingredienti per 4 persone:
4 fette di tonno fresco alte circa 2cm ognuna,
rosmarino, timo, maggiorana, erba cipollina, salvia, tutto possibilmente fresco,
1 bicchierino di sakè *,
1 spicchio d’aglio,
1 pizzico abbondamte di gomashio**,
1 pizzico abbondante di zucchero di canna grezzo.

*se non trovate il Sakè sostituitelo con un rum bianco poco aromatico, una grappa bianca , del Vermouth bianco o del semplice vino bianco molto secco.
**il Gomashio o gomasio è un condimento giapponese costituito da sesamo nero e sale marino macinati insieme. Se non lo trovate potete pestare insieme in un mortaio 2 cucchiai di sesamo (anche bianco) e 1 di sale grosso. Ovviamente attenzione a non  salare ulteriormente le pietanze.

Tritate le erbe aromatiche con un coltello affilato, dovete ottenere un bel cucchiaio pieno di composto. Mescolatele a una presa generosa di Gomasio e allo zucchero.
Lavate le fette di tonno e mettetele in un piatto o in un contenitore di ceramica o vetro, cospargete con il misto di erbe aromatiche. Chiudete con una pellicola e fate insaporire almeno mezz'ora






Scaldate un cucchiaio di olio di semi in una padella antiaderente dal fondo pesante. Fatevi rosolare le bistecche di tonno un paio di minuti per parte insieme a uno spicchio d’aglio. Sfumate con il sakè e fate evaporare per circa 2 minuti.
Se si tratta di un tonno che ha subito un abbattimento di temperatura allora potete servirlo ancora rosato all'interno. Altrimenti dovrete proseguire la cottura ancora altri 3-4 minuti e cuocerlo bene anche all'interno per scongiurare il rischio anisakis.

Contorno: servite con un’insalata mista di verdure primaverili appena scottate o cotte a vapore ma ancora croccanti: punte di asparagi, fagiolini, fave fresche, zucchine ma anche rapanelli crudi tagliati a rondelle. Condite l’insalata con olio d’oliva e salsa Sanbaizu.
La Sanbaizu (che ho già usato per i miei Tokio-burger) è una salsa giapponese fatta con salsa di soia, aceto, sakè e zucchero, in proporzioni che possono variare a seconda di chi la prepara.
Io di solito mescolo 1 cucchiaio di aceto (di mele, balsamico), 2 cucchiai di salsa di soia, 2 cucchiai di sakè e un cucchiaino colmo di zucchero. Si scalda il composto affinché lo zucchero si sciolga bene e l’alcool evapori. Si può usare calda o far raffreddare e unire a l’olio d’oliva per avere una emulsione.




NOTE: Di recente ho trovato l’aceto di Umeboshi, un tipo di albicocche secche (anche se vengono di solito identificate come prugne) e conservate in una salamoia colorata di rosso dalle foglie una pianta aromatica giapponese, lo Shiso rosso. Sono molto popolari e comuni in Giappone, per le loro proprietà benefiche digestive e di disinfettante intestinale. Da noi si trovano con difficoltà nei negozi macrobiotici. Hanno un gusto particolare sia salato che aspro che lievemente dolce, quello che ormai anche in occidente è conosciuto come “umami”.
Io ho trovato più facilmente una sorta di aceto ricavato da questi frutti e dalla loro salamoia, il cui gusto è molto simile. Attenzione, usandolo bisogna praticamente eliminare il sale.

Nel caso di questa salsa potrebbe sostituire contemporaneamente la salsa di soia e l’aceto.

DESSERT PER IL PRANZO DI PASQUA PER IDEA MENÙ

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Ovvero quando tutto si ostina ad andare storto.
Perché secondo la legge di Murphy, se qualcosa può andare storto sicuramente lo farà.
Quando decidi di fare una cosa e per tutta una serie di congiunture astrali e soprattutto terrene quella cosa non si riesce a fare. Almeno non bene come si vorrebbe.
Allora non bisogna perdersi d’animo ma far scattare il piano B. Se c’è, altrimenti bisogna inventarselo sul momento.
Questa è la storia di un piano A nato male già in partenza e di un piano B che forse alla fine è anche meglio del piano A, di un dolce che doveva essere una cosa e invece è diventato altro e di una foodblogger che si ostina a chiamarsi tale ma che in realtà è solo una campionessa mondiale di cialtronate, cintura nera di ricette modificate in corso d’opera, medaglia d’oro di pasticci recuperati per miracolo.





Adesso vi racconto.
All’inizio di tutto c’era la Dacquoise.
La vedevo già, chiara e perfetta nella mia testolina alluvionata.
Avvolta in quella luce bianca, morbida e sfumata delle fotografie che si vedono nei blog seri.
Con la fetta precisa, tagliata con la spada laser di un maestro Jedi, con tutti gli strati ben definiti. Messa leggermente in sbieco sull’alzatina pastello, con la forchetta vintage perfettamente in bolla e il tovagliolino stropicciato ad arte, non una pieghina in più non una di meno. In controluce un filo di salsa fatto cadere da una brocca, magari tenuta da una piccola manina paffutella. Roba da mettersi a leccare lo schermo.
Nella mia testa le foto che faccio sono tutte così, poi non so cosa succeda nel passaggio tra pensiero e azione. Boh. Per cui toglietevi subito quelle immagini dalla testa perché qui non le vedrete di certo.

Comunque dicevo, la Dacquoise.
Per chi non la conoscesse si tratta di un dolce formato da strati di meringa morbida alle mandorle e crema al burro. Il nome deriva dalla città di Dax, in Francia, dove pare sia stata inventata. Se è rettangolare si chiama anche Marjolane.
Adesso col termine Dacquoise si indica anche la cialda di meringa di cui è composto, anche perché ha una consistenza particolare: è più morbida rispetto alla meringa normale e quindi meno friabile. Alla meringa vengono aggiunte mandorle in polvere o nocciole, recentemente si vedono versioni anche con pistacchi, cocco disidratato, aromatizzate agli agrumi, al cacao o al caffè. È abbastanza facile e veloce da fare, soprattutto da cuocere. Almeno in teoria.
Basta avere la ricetta giusta e soprattutto seguirla senza cercare abbreviazioni e scorciatoie come qualcuno che conosco.

Intanto la ricetta giusta non è mica così semplice da trovare. Io ne ho almeno sei tutte diverse: un paio di  Luca Montersino, una di Iginio Massari, un’altra di Maurizio Santin più un altro paio prese da riviste varie. Tutte con porzioni tra gli ingredienti diverse tra loro e procedimenti altrettanto diversi.
Io naturalmente ho scelto di seguire quella che  mi sembrava più semplice e rapida, senza troppe ciotole, spatole e termometri, e anche una delle poche che indicava gli albumi a numero e non a peso, ma soprattutto non dava le grammature degli ingredienti con due numeri dopo la virgola. D’accordo che la pasticceria è una scienza esatta ma a tutto c’è un limite.

Così mi sono fatta ispirare da un dolce apparso su un vecchio numero di Sale e Pepe: Dacquoise al pistacchio con yogurt e salsa al caramello.
Si ma non l’ho mica fatta precisa a quella, e figuriamoci se io inizio a seguire una ricetta davvero. Innanzi tutto non avevo e non ho trovato i pistacchi, quindi li ho sostituiti in parte con le mandorle e il resto con il cocco disidratato, anche perché in una ricetta Montersino lo usa creando uno dei suoi capolavori. (Lui, per me la storia è andata diversamente)
Inoltre ho diminuito un po’ le dosi e per farlo ho dovuto ricalcolare tutti gli ingredienti, anche a fronte delle sostituzioni. Insomma mi è venuto fuori tutt’altro.
E ho pure l’impressione che forse avrei dovuto anche modificare le misure della teglia perché la cialda mi è venuta troppo sottile, sebbene sia rimasta morbida. Comunque è vero che si fa presto a fare e non dà grossi problemi in cottura, almeno quello.

Altro tasto dolente è stata la crema. Ho optato per una semplice mousse allo yogurt che ho fato decine di volte, invece stavolta devo aver calcolato male la quantità di gelatina, o forse sarà stata la marca diversa, o non ho rispettato bene i tempi di raffreddamento o più semplicemente è solo sfiga, fatto sta che la crema è rimasta troppo molle e in fase di assemblaggio scappava da tutte le parti. Quindi addio dolce a strati con tutti gli strati precisi e ordinati. Si è un po’ salvata con un passaggio in freezer.

Terzo mistero doloroso, già che siamo nel periodo, la salsa la caramello: devo aver acquistato una partita di zucchero ignifugo, resistente al calore, che all’inizio sembra sciogliersi ma poi si raggruma in un composto sabbioso, appiccicoso e biancastro.
Ho provato con un po’ d’acqua, senza, a mescolare, a scuotere, a lasciarlo li al suo destino. Niente. Alla fine dopo vari tentativi, vari pentolini incrostati e altrettante imprecazioni più o meno colorite, ci sono riuscita e ho fatto la tanto sospirata salsa mou che mi è rimasta più solida del previsto.
Per la cronaca, non era la prima volta che facevo il caramello, ho già fatto più volte il croccante, eppure stavolta c’era qualcosa di diverso.
La sfiga. What else.

Comunque il dolce è di una goduria indescrivibile anche se dall'aspetto sembra sia stato calpestato da un animale grosso e arrabbiato.
Questo era il piano A con tutte le complicanze.

Per il piano B si tratta semplicemente di utilizzare i componenti del dolce in maniera diversa, sfruttandone i difetti. Ho preparato delle semplici coppe di mousse allo yogurt con muesli croccante, scaglie di cioccolato e salsa mou. Se non avessi già usato la cialda per la torta potevo spezzettarla e metterla a strati con la crema e il cioccolato nella coppa.

Avrei potuto risparmiarvi tutta la via crucis e passare direttamente al piano B spacciandovelo come piano A. Invece no. Siamo in penitenza e quindi vi beccate entrambe le ricette.
Ma niente paura, seguite tranquillamente la ricetta perché a voi verrà sicuramente meglio.
Tutto questo per Idea Menùe nello specifico per il Menù di Pasqua. Volevo un dolce facile, veloce, non troppo pesante, vista la sicura presenza di uova di cioccolato, colombe, pastiere e quant'altro.
Ma soprattutto un dolce di effetto. Ah si, di sicuro  questo fa effetto.

Eccovi tutte le portate e buona Pasqua.





Primo di Carla:  Tortelli di coniglio ai carciofi

Secondo di Tania/Agnese: Ossobuco di agnello in slow cooker

E qui c’è il dolce:






Dacquoise al cocco con mousse allo yogurt e salsa al caramello (il piano A):

Per la cialda al cocco e mandorle:
4 albumi (circa 160g),
100g zucchero semolato,
60g mandorle pelate,
50g cocco rapè,
10g amido di mais,
poche gocce di succo di limone.

Tritate finemente nel mixer le mandorle con 20g di zucchero, unite il cocco e frullate ancora un minuto in modo da avere una farina fine (io il cocco non l’ho frullato perché avevo il frullatore piccolo, ma mi è venuta lo stesso), unite l’amido.
Montate gli albumi a neve ferma, con due o tre gocce di limone e lo zucchero rimasto, unite pian piano il composto di mandorle e cocco, incorporandolo delicatamente senza smontare gli albumi.
Stendete il composto in una placca rettangolare di circa 26x34cm foderata con carta forno (la mia era più larga e infatti la cialda è rimasta troppo sottile). Livellate bene il composto con una spatola ad uno spessore di circa 2cm.
Infornate a 180°C per circa 15 minuti, deve dorarsi leggermente.
Sfornate e fate raffreddare, poi eliminate la carta delicatamente, attenzione che la cialda può rompersi.

Per la mousse allo yogurt e formaggio cremoso.
170g yogurt greco bianco e compatto,
250g formaggio cremoso spalmabile,
3 tuorli,
200ml latte intero,
5 cucchiai rasi di zucchero,
200ml panna da montare,
5g gelatina in fogli (io ne ho usati solo 3g ma sono pochi)
scorza di arancia grattugiata,
essenza di vaniglia.

Sbattete i tuorli con tre cucchiai di zucchero in un pentolino. Scaldate il latte con la scorza di limone grattugiata senza farlo bollire, versatelo a filo sulle uova mescolando.
Fate cuocere a fuoco bassissimo per un paio di minuti sempre mescolando, finché la salsa inizia ad addensarsi e velare il cucchiaio.
Fuori dal fuoco unite la gelatina ammollata e strizzata e l’essenza di vaniglia.
Fate raffreddare a temperatura ambiente, mescolando di tanto in tanto per evitare che si indurisca troppo.
Lavorate lo yogurt e il formaggio cremoso con lo zucchero rimanente. Incorporate la crema fredda. Montate a neve la panna e incorporatela delicatamente al composto.
Mettete in frigo a raffreddare per  almeno 2 ore.

Per la salsa Mou.
250g zucchero semolato,
100ml panna fresca,
30g burro possibilmente salato (la rende più saporita, se non l’avete usate burro normale e un pizzico di sale fino).

Mettete lo zucchero in un pentolino dal fondo pesante, unite un cucchiaio di acqua e fate scaldare, mescolate velocemente pe alcuni istanti, poi lasciate che lo zucchero finisca di sciogliersi e lasciatelo cuocere a fuoco moderato finché diventa di un bel color biondo scuro.
Scaldate la panna con il burro e versateli nello zucchero in una volta sola. Fate attenzione perché lo zucchero inizia a bollire e sfrigolare e potrebbe schizzare, è molto ustionante.
Mescolate il composto in modo da ottenere una salsa fluida e omogenea.
Tenetela al caldo.
Se si raffredda tende a solidificarsi un pochino, comunque si conserva bene in un vasetto di vetro a chiusura ermetica.

Per completare: cioccolato fondente grattugiato grossolanamente.

Assemblaggio del dolce.
Dividete la cialda in tre strisce uguali di circa 26x11, pareggiando un po’ i bordi.
Mettete una cialda su un vassoio di portata, copritela con uno strato di crema e cospargete con cioccolato fondente tritato.
Coprite con un seconda cialda e un altro strato di crema e cioccolato a scaglie, ultimate con la cialda e guarnite con i coccolato.
Mettete in frigo almeno due ore. Servite con una generosa colata di salsa Mou fatta scendere con una frusta da pasticcere in modo che formi dei fili sottili.

Potete tagliare la cialda con un coppa pasta e fare delle piccole tortine monoporzione direttamente nei piattini di servizio ma la crema deve essere ben fredda e piuttosto compatta.

Al posto del cioccolato, se la stagione lo permette, vanno altrettanto bene fragole e frutti di bosco o una dadolata di frutta fresca mista  al naturale o condita con pochissimo zucchero e limone.







Il piano B: coppetta con mousse yogurt, cioccolato e muesli.

Mousse allo yogurt e formaggio cremoso,
cioccolato fondente a scaglie,
muesli o cereali soffiati,
cocco rapè,
salsa mou.

Mescolate qualche cucchiaiata di muesli, con del cocco rapè e le scaglie di cioccolato fondente nella proporzione che desiderate. Distribuitele sul fondo di bicchieri o coppette di vetro, riempite con la mousse e mettete in frigo a raffreddare bene per almeno un’ora.
Completate con la salsa mou.
Anche in questo caso si può sostituire il coccolato e il cocco con della frutta fresca a dadini.
Il muesli e i cereali soffiati si possono sostituire con briciole di biscotti o di meringhe.

Oppure si possono fare strati di crema e cialda dacquoise, finite sempre con la salsa mou.











IL BAGNUN DI ACCIUGHE CHE SI CREDE UN BRODETTO, PER L’MTC

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Lo so che sto diventando ripetitiva e forse anche noiosa presentando ogni volta una ricetta della mia regione, o addirittura provincia, per la sfida dell’MTC.
Se all’inizio sono stata mossa da un moto di orgoglio savonese nel proporre i ravioli della mia famiglia in risposta ai “raieu co-u tuccu” genovesi”, se la seconda volta è stato più un rifugiarsi nella confortevole tradizione di casa mia con la zuppa di ceci e maiale, questa volta invece mi sono fatta tentare dal richiamo maliardo del mio mare, seppur in lontananza.
Il merito va ad Anna Maria Pellegrino (del blog La cucina di QB ) che ha proposto una sfida che profuma di mare, di salsedine, di tutti gli aromi del nostro mediterraneo.





Ci ha fatto conoscere un piatto meraviglioso della sua terra, il Brodetto Chioggiotto. Piatto di antica tradizione popolare e  marinara. Un piatto “povero” ma ricco di profumi inconfondibili.

“Un piatto che diventa cultura proprio grazie alle infinite contaminazioni e differenze, così che quello che solitamente divide in cucina, lo snocciolare di sterili regole declamate con forza a sottolineare le proprie insicurezze, diventerà un momento di unione. E di trasformazione.”

“Il Brodetto, o broéto o boreto, di pesce è un piatto dalla cottura veloce, che nasce come una zuppa “di bordo”, un piatto unico povero, spesso il risultato di un modo di recuperare il pesce poco apprezzato dalla clientela e al quale non rimaneva che la casseruola in barca o la griglia.”(cit. Anna Maria Pellegrino)

Solo leggendo queste sue parole non si può rimanere indifferenti al richiamo del mare, dei pescatori al ritorno dopo una nottata di pesca.
Il richiamo l’ho sentito, forte e chiaro, la mia risposta ha tardato ad arrivare perché qui in montagna dove vivo adesso non è tanto facile reperire pesce adatto a meno di prenderlo surgelato o di allevamento.
Mettiamoci pure tutta una serie di intoppi vari ed eventuali che si sono concentrati tutti nell’ultimo mese, stavolta pensavo davvero di non farcela.
Stavo già gettando la spugna credendo di aver ormai fatto scadere il termine per partecipare, poi uno dei membri dell’MTC mi ha fatto notare che questo mese il termine è stato prorogato di 2 giorni e che se mi fossi sbrigata, invece di tergiversare, avrei potuto ancora farcela. Questo anche per ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, che l’MTCè una community che gareggia ma lealmente, anzi più che gareggiare si diverte a mettersi sempre in discussione più con la cucina in sé che con gli altri concorrenti. Quindi ringrazio Tamara per la pedata (benevola e virtuale) sul didietro e mi metto subito a cucinare.

Anna Maria ci ha chiesto di proporre una nostra versione del Brodetto.
Il filo conduttore della sfida è la cucina “povera” dei pescatori, ossia quello che riuscivano a cucinare con il pesce che di volta in volta rimaneva invenduto, quindi sempre diverso ogni giorno, addirittura cucinato direttamente in barca, con la ristrettezza di mezzi e attrezzature che ne conseguiva. Che tradotto significa pochi altri ingredienti oltre il pesce, qualche erba aromatica, poche spezie e condimenti e cotture veloci e pratiche, in barca ci si deve arrangiare con quello che c’è.

Io non potevo non affidarmi ancora una volta alla cucina della mia regione, che di tutte queste caratteristiche ne ha fatto una bandiera e un vanto.
Tra le tante ricette di pesce quella che mi è sembrata adatta è il Bagnun, una densa zuppa base di acciughe, conosciuto e amato in tutta la regione ma tipico del Levante, di Sestri Levante e in particolare di Riva Trigoso dove viene festeggiato in grande stile con una sagra a lui dedicata il penultimo fine settimana di Luglio. È nato, pare nell’ottocento, a bordo dei “leudi”, piccole imbarcazioni a vela che servivano per il trasporto merci, dove le acciughe venivano cotte appena pescate in un semplice sugo di cipolle, pomodori, olio d’oliva e origano secco. Da allora ha subito pochissime variazioni, un’aggiunta di prezzemolo, una spruzzata di vino bianco e poco altro.

Io ne ho fatto una mia versione personale, lasciando la zuppa un po’ più liquida e aggiungendo le vongole, perché per me non ci può essere zuppa di pesce senza almeno un mollusco (zia Franca docet) ma anche perché le ho trovate freschissime e piccoline, come piacciono a me.
Inoltre ho sostituito le gallette del marinaio con la focaccia secca che invece è tipica di Savona e provincia.
Nelle panetterie savonesi, almeno in quelle storiche, infatti si trovano da sempre due tipi di focaccia, una è quella ligure classica: sottile ma morbida e bella unta d’olio; l’altra è quella secca, molto più sottile, asciutta e croccante, quasi biscottata, che si sgranocchia volentieri con un bicchierino di bianco fresco.
Per me è stata la merenda scolastica per eccellenza durante gli anni del liceo, ma anche colazione prima di entrare in classe e spuntino dopo la scuola, andando a prendere il treno di ritorno a casa. La preferivo quasi all’altra. Forse il suo scrocchiare sotto i denti aveva un che di rilassante e benefico per le mie paturnie adolescenziali, o forse semplicemente perché non si riesce più a smettere di mangiarla.

Quindi dico subito a scanso di equivoci e polemiche, che questo NON è il Bagnun di Riva o Sestri, è il MIO bagnun di acciughe (lo scrivo anche minuscolo così non ci confondiamo), nato da una mescolanza di ricordi personali e nostalgia canaglia dell’odore di mare.












“Il bagnun che si crede un brodetto”: di acciughe e vongole con focaccia secca di Savona.

Il procedimento è simile al Bagnun classico del levante ligure, gli ingredienti sono più o meno quelli originali, ho messo in corsivo gli ingredienti che ho aggiunto io.

1kg acciughe fresche,
500g vongole,
1 kg pomodori maturi o 500g di polpa di pomodoro a pezzi,
1 piccola cipolla,
1 carota piccola,
1 gamba di sedano,
2 spicchi d’aglio,
1 mazzolino di prezzemolo,
1 cucchiaino di origano (io anche un bel pizzico di foglie di maggiorana),
1-2 cucchiai di pinoli,
½ litro di fumetto (brodo) di pesce,
vino bianco secco ligure (io Lumassina del finalese),
sale, pepe.




Mettete a bagno le vongole in acqua e sale, cambiandola spesso, per almeno 2 ore.
Pulite le acciughe eliminando teste e lische, apritele a libro e lasciatele al fresco su un largo piatto, ben coperte con pellicola.
Tritate finemente sedano carota e cipolla, fateli rosolare a fuoco dolce per circa 5 minuti in 3-4 cucchiai d’olio e lo spicchio d’aglio in un tegame possibilmente di coccio.
Unite i pomodori spellati e tritati grossolanamente o la polpa di pomodoro.
Bagnate con un mestolo di brodo di pesce e fate cuocere 10 minuti.
Nel frattempo fate aprire le vongole in una padella con uno spicchio d’aglio e un bicchiere di vino bianco. Togliete le vongole e tenetele al caldo, filtrate l’acqua di cottura con una garza e tenetela da parte.
Nel tegame con i pomodori unite le acciughe, mezzo bicchiere di vino e l’acqua delle vongole. Fate cuocere 10 minuti senza rimestare troppo per non rompere le acciughe.
Se si asciuga troppo unite altro fumetto caldo.
Unite le vongole, il prezzemolo tritato, l’origano, la maggiorana e i pinoli tostati. Fate insaporire 2-3 minuti scuotendo leggermente la pentola. Servite con la focaccia secca a pezzetti.








Focaccia secca di Savona.
1kg farina 0,
15g lievito di birra fresco,
2 cucchiaini di sale,
4 cucchiai di olio d’oliva, più un po’ per condire,
acqua q.b.

Sciogliete il lievito in un bicchiere di acqua tiepida, impastatelo con due manciate di farina formando un pastella omogenea ma molto morbida, quasi fluida. Fatela riposare in un luogo tiepido ma non troppo caldo per circa mezz’ora.
Fate la fontana con il resto della farina, unite il sale, l’olio, la pastella lievitata e aggiungete altra acqua tiepida poca alla volta fino ad ottenere un impasto omogeneo, morbido ma asciutto, non appiccicoso. Lavorate la pasta energicamente e a lungo, allargandola con le mani e ripiegandola più volte.
Mettetela in una ciotola, ungete leggermente con pochissimo olio, coprite con un’altra ciotola e con uno strofinaccio e fate lievitare fino al raddoppio, almeno 2 ore.
Ungete delle placche da forno a fondo spesso, stendete la pasta molto sottile con un mattarello e aiutandovi anche con le mani. Disponete la pasta nelle teglie, deve essere molto sottile, non più di 1/2cm, fatela riposare 30 minuti poi spennellatela leggermente con una emulsione di acqua, olio e sale. Bucherellatela con le dita come per la focaccia normale.
Infornate a 230°C per circa 15-20 minuti.
Deve essere ben dorata, asciutta e croccante, quasi biscottata.
Gustatela calda o fredda, spezzandola con le mani.


Potete anche cospargerla con della cipolla affettata molto finemente prima di infornarla, in questo caso bagnatela un po’ di più con l’emulsione di acqua e olio per non far bruciare la cipolla in cottura. Rimarrà anche meno secca.



SIAMO TOURNATI - LE TORTE SALATE & L'MTCHALLENGE IN TOUR

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E adesso che vi racconto?
No perché la faccenda è seria davvero. Di quelle che farebbero ammutolire chiunque.
Veramente sono mesi che ci dicono di mantenere un assoluto riserbo, un aplomb inglese, di tenere la bocca chiusa con tutti. Giusto un accenno a qualche parente strettissimo, ma solo dopo averlo fatto giurare con la mano sul libro dell’Artusi.
Io ovviamente fremevo dalla voglia di parlare.
E adesso che è giunto finalmente il momento di vuotare il sacco mi mancano le parole.
Allora arrivo subito al dunque, poche ciance che non c’è tempo da perdere.



Oggi esce in tutte le librerie d’Italia, le migliori librerie per la precisione, il quarto librodell’MTChallenge. Già si potrebbe finire qui il discorso, potrebbe bastare anche solo questo e correre alla prima libreria vicina a casa.
Invece non sono nemmeno entrata nel vivo della questione.

Spiegare cos’è l’MTC è persino superfluo, è la community di foodblogger più cazzuta del web, è il gioco culinario più seguito, è una vera accademia della cucina, è un incontro di idee, personalità e esperienze diverse che riescono ad amalgamarsi e arricchirsi.
Da tutto questo sono nati già tre libri che hanno avuto un enorme successo e non c’è tre senza quattro. Dopo avervi parlato di patè e terrine, dopo avervi deliziato con raffinate e succulente insalate, dopo avervi ingolosito con dolci sontuosi adesso vi “intortiamo” per benino. Perché il quarto libro è tutto dedicato alle torte salate. Cioè tutto ma proprio tutto quello che c’è da sapere su quiche, pie, crostate, tartellette che sono state le protagoniste di una sfida memorabile dell’MTC, una di quelle che resterà negli annali per il numero di ricette in gara. Non si poteva non farne un libro. Ed eccolo qua. Edito nientemeno che da Gribaudo.







Oggi esce nelle librerie e oggi parte anche il tour di presentazione.
Si, ho detto bene. IL TOUR. Come gli U2. Come Lady Gaga. Come Albano e Romina in Russia.
Con la stessa euforia isterica. Si inizia da Milano, poi Torino, Genova e via andare in lungo e in largo fino a Catania.  


infografica di Daniela di Acqua e Menta blog


Ma la cosa che mi preme davvero ribadire, e qui son seria, è che anche questo libro, come gli altri, andrà a sostenere Piazza dei Mestieri di Torino, una scuola che è proprio una piazza, con aule ma soprattutto con laboratori e vere e proprie botteghe artigiane, dove sempre più ragazzi, che magari hanno dovuto per mille motivi diversi abbandonare al scuola troppo presto, stanno imparando un mestiere e si stanno formando un futuro.






Adesso ho davvero detto tutto. E voi siete ancora qui? Correte in libreria. Forza. Ma soprattutto venite a incontrare questi pazzi membri dell’MTC nelle varie tappe del Torta-Tour.




SHOGAYAKI, MAIALE SALTATO AL SAKÈ E ZENZERO

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Quando inizia la bella stagione si ha voglia di piatti leggeri, semplici ma soprattutto facili e veloci. Sarà l’imminente prova costume, saranno le belle giornate che ci spingono a stare all’aria aperta, sarà che con i cambi di stagione si hanno mille cose da fare, fatto sta che si va alla ricerca di cose che non ci appesantiscano troppo ma nello stesso tempo sfiziose.
Se poi ci evitano troppo tempo davanti ai fornelli tanto meglio.
La cucina giapponese risponde in pieno a tutte queste caratteristiche.
Io, come forse saprà chi frequenta un po’ questo blog, sono letteralmente innamorata di questa cultura, della lingua ma soprattutto della cucina.






Contrariamente a quello che si crede è molto varia, non si limita solo a sushi e tempura, anche se da noi i pochi ristoranti giapponesi (ammesso che lo siano sul serio) propongono solo questo.
Come del resto la nostra cucina italiana non si può riassumere solo in pizza e spaghetti, e anche per quanto ci riguarda, all’estero la vera cucina italiana è molto difficile se non impossibile da trovare, ma vogliamo mica dimenticare quei famigerati “maccheroni alla bolognese” che da noi nemmeno esistono?

Quindi se volete davvero conoscere la vera cucina giapponese o andate direttamente in Giappone o cercate di conoscere un giapponese, oppure dovete fare come me, vi comprate un bel libro di ricette e provate a preparale.
Qui casca l’asino perché naturalmente dovete accertarvi che siano ricette originali, scritte da qualcuno che giapponese lo è per davvero o che almeno ci sia stato per un tempo sufficiente per pranzare fuori dall’hotel.

Io ve ne consiglio due, uno è di un’italiana vissuta molti anni a Tokio per lavoro, immersa quotidianamente nella vita reale del paese e quindi nella sua cucina. Si tratta di Graziana Canova Tura che ha scritto un libro di ricette molto completo e esaustivo, dove ci sono interessantissime spiegazioni e aneddoti anche sulla cultura giapponese, le sue cerimonie, sul modo di stare a tavola, sul modo di apparecchiare e disporre i cibi sui piatti e l'arte di tagliare le verdure, di preparare il tè e tanto altro.
Il libro è “Il Giappone in cucina” (edito da Ponte alle Grazie) e ormai non potrei più fare senza, anche perché un intero capitolo è dedicato alla spiegazione dettagliata dei vari ingredienti di quella cucina, molto diversi dai nostri. 

L’altro libro invece è di una giapponese trasferitasi a Parigi, Maori Murota, “Tokio, le ricette di culto” (Guido Tommasi Editore). Infatti ci sono le ricette più popolari in Giappone, Tokio principalmente. Quelle che si cucinano a casa quotidianamente, quelle per ricevere gli amici, i piccoli spuntini che costituiscono il Bento, la scatolina del pranzo di studenti e lavoratori, fino ad arrivare al famoso Sushi, versione casalinga semplificata però, perché cucinare il sushi è un’arte che solo cuochi specializzati possono fare dopo anni di apprendistato.

Da questi libri ho capito che la cucina Giapponese non è poi così strana e distante dalla nostra, non è nemmeno così difficile. Il difficile è trovare gli ingredienti.
Alcuni si trovano comunemente nei supermercati, anche quelli piccoli. Tipo la salsa di soia, le alghe Nori per il sushi e la salsa Wasabi. Per altri occorre cercare nei negozi di alimenti macrobiotici o biologici (che poi non ne vedo il nesso, non trovo un collegamento diretto tra le due cose, alimenti etnici e  alimenti biologici, ma tant’è).
Se abitate in una grande città avrete sicuramente la fortuna di trovare un negozio apposito, persino un mercatino alimentare. Chi abita in provincia si arrangia come può, sostituendo il sostituibile con qualcosa di più italico. Oppure si affida a internet.

Io mi sto arrangiando quindi ho iniziato da quei piatti per i quali ho potuto trovare agevolmente gli ingredienti e ora ve ne propongo uno, davvero facile da fare. 
Di una semplicità imbarazzante, ma da porca figura assicurata. Ha un nome sufficientemente esotico e poco noto da stupire i commensali, si prepara in un baleno, servono pochi utensili e pentole, non impuzzolisce la casa, è gustoso e leggero quindi va benissimo per una cenetta romantica dove occorre affascinare un tantino il/la partner.
Serve poca roba, qualche verdurina, della carne di maiale, zenzero possibilmente fresco, salsa di soia, una padella a fondo spesso e un bel coltello di quelli seri grandi e pesanti (non fa nulla se non è uno giapponese o un inutile coltello di ceramica, basta un buon coltello, o un buon macellaio). Naturalmente il Sakè. 

Che poi io sia riuscita a preparare questo piatto anche con la nostra italianissima grappa bianca (leggermente diluita e facendo evaporare l'alcool) e non se ne sia accorto nessuno è un altro discorso, ma certamente usare il vero Sakè è un altro paio di maniche.
Il Sakè non è nient’altro che un vino di riso sufficientemente alcolico da stendere piuttosto in fretta un non bevitore. In alcune ricette viene sostituito dal Mirin che è il suo corrispondente meno alcolico e più dolce. Siccome il Mirin dalle mie parti è più raro degli unicorni io uso il Sakè, mescolato a poco zucchero, l’alcool poi evapora in cottura.

Usate la carne di maiale che volete, potete usare sia tagli molto magri come il filetto e la lonza che pezzi più grassi, addirittura la pancetta, lì sta al vostro gusto. comprate un pezzo intero, se possibile e tagliatelo all’ultimo minuto a fettine molto sottili, di pochi millimetri (massimo 1/2 cm di spessore) in questo modo non si ossida. Poi volete mettere quanto fa figo tagliare la carne davanti agli ospiti. Oltretutto tagliare il maiale, specie il filetto, è davvero facile.
Adesso annodate il kimono, pardon il grembiule e si cucina.

Yoi shigoto ya shokuyoku(che dovrebbe essere “buon lavoro e buon appetito” se non ho sbagliato qualcosa e ora non sto offendendo a casaccio in giapponese).






Shōgayaki - Maiale allo zenzero e sakè (con verdure saltate)

Ingredienti per 4 persone:
600g filetto di maiale,
olio di semi (sesamo o il più comune arachide),
Sakè,
salsa di soia,
zenzero grattugiato fresco o in polvere,
zucchero.

4 carote,
3-4 cipollotti,
200g fagiolini lessati,
germogli di soia in scatola,
200g riso originario bollito per accompagnare.

Per le verdure: tagliate i cipollotti a metà, poi affettateli finemente, lasciateli in ammollo in acqua molto fredda. Nel frattempo pulite le carote, tagliatele a tocchetti lunghi 5cm circa, affettatele per il lungo e riducetele a fili piuttosto sottili.
Saltate carote e cipollotti in una padella antiaderente a fondo spesso con due cucchiai di olio di semi, bagnatele con 3-4 cucchiai di sakè mescolato a 3 cucchiai di salsa di soia e un cucchiaio di zucchero. Fate asciugare a fuoco dolce. Le verdure devono essere tenere ma ancora croccanti e leggermente caramellate. Tenetele al caldo.
Mondate e lessate i fagiolini, conditeli con salsa di soia e olio di semi.
Condite allo stesso modo i germogli di soia. Tenete tutto separato.

Per la carne:
tagliate a fettine molto sottili il filetto di maiale, se è freddo da frigo si taglia meglio.
Preparate una marinata con 1  bicchierino da liquore di salsa di soia, 2 bicchierini di sakè, 2 cucchiai di olio di semi e 1 cucchiaino di zenzero grattugiato, mescolate bene.
Immergete la carne nella marinata e lasciatevela per circa 15-20 minuti.
In una padella antiaderente dal fondo spesso e pesante scaldate due cucchiai di olio di semi, sgocciolate la carne dalla marinata e fatela rosolare velocemente a fuoco vivo. Quando la carne si sarà colorata da tutti i lati unite la marinata dove avrete sciolto un cucchiaino di zucchero, fatela asciugare quasi del tutto. La carne deve quasi caramellarsi.

Disponete la carne nei piatti, con il suo fondo di cottura. Accompagnate con le verdure saltate in padella, i germogli e i fagiolini alla soia, disposti in mucchietti separati. A piacere spolverate con semi di sesamo tostati.




Servite con riso bollito ben caldo, se non trovate quello giapponese usate il riso Originario.

Per cuocerlo alla giapponese occorre prima sciacquarlo in acqua fredda cambiando l’acqua finché è trasparente, poi lo mettete in una pentola con il doppio del volume di acqua fredda. Portate ad ebollizione poi fate cuocere coperto a fuoco bassissimo finché tutta l’acqua si è assorbita. Se a questo punto fosse ancora troppo al dente unite poca acqua bollente e terminate la cottura. Salate a fine cottura o, come fanno i giapponesi condite con una vinaigrette di salsa di soia e olio di semi. 









ONIGIRI E TEMAKI IN POSITIVO E NEGATIVO PER IDEA MENÙ

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Dopo qualche settimana di assenza è tornato l’appuntamento con Idea Menù.
Con una novità: si è unita al gruppo una blogger bravissima, molto conosciuta e amata anche per la sua simpatia e allegria contagiosa. Parlo di Consuelo Tognetti. La zia Consu.
La vulcanica autrice del blog “I biscottidella zia”.
Ci è venuta a dare man forte con le sue idee gustose perché Tania e Agnese hanno bisogno di prendersi una pausa per impegni lavorativi e personali.
Io sono molto contenta perché è una delle prime blogger che ho conosciuto, seppur solo virtualmente, quando ho aperto il mio ricettario virtuale e mi ha sempre incoraggiata con la sua presenza costante e generosa.






Io devo dire che non sono altrettanto brava.
Ogni tanto latito, giro poco nei blog altrui, spesso di corsa e senza commentare, so che bisognerebbe essere più collaborative e comunicative, vorrei interagire di più ma non riesco sempre a trovare davvero tempo per il web come vorrei. Ultimamente poi non aggiornavo di frequente nemmeno il mio blog.
È che ho passato un periodo di stanchezza generale, sarà quest’inverno un po’ strano, sarà tutta la serie di influenze, acciacchi e malanni che hanno tormentato la mia famiglia, sarà pure che ultimamente il mondo dei foodblogger mi ha un po’ lasciata perplessa.
Insomma non ne avevo più voglia. Non ne ho molta voglia nemmeno ora in realtà.
Da un lato penso di prendermi una pausa, in fondo è solo un hobby che posso sospendere e riprendere quando voglio, dall’altro cucinare è quello che mi fa stare meglio in assoluto e mi piace condividere quello che combino nella mia piccola cucina.
Intanto che tento di dare risposta ai miei dubbi vado in cucina a preparare qualcosa.
Questa volta il menù scelto ha un tema per niente facile: il bianco e il nero.
Quindi ogni portata dovrà giocare su quei due colori.
Io devo preparare l’antipasto.
Ho pensato e ripensato, per quanto siano in grado di farlo quei due o tre neuroni che giocano a nascondino nella mia testa.
Per il bianco è abbastanza facile trovare qualcosa: tutti i formaggi e latticini in genere, sedano, finocchi, mele, pasta senza uova, riso.
Per il nero già la cosa si fa più complicata, non ci sono molte cose nere: alghe (che sono leggermente verdastre in verità), cacao (più sul marrone, ma non stiamo a sottilizzare), forse l’unica cosa veramente nera sono i semi di papavero.
Ma i tartufini di formaggio ai semi di papavero li ho già postati.
Quindi che fare?
Mi è tornata in soccorso la mia adorata cucina giapponese.
All’inizio ho pensato ai Nighiri sushi: riso e alghe, bianco e nero. Solo che in questi rotolini il ripieno è ben visibile, troppo limitativo quindi.
Poi mi sono venuti in mente gli Onigiri, quelle polpette di riso di forma triangolare ripiene di ogni ben di Dio, decorate con pezzetti di alghe, che in Giappone costituiscono un delizioso spuntino in ogni momento della giornata, dalla colazione alla cena. In ogni cartone animato che si rispetti c’è sempre un personaggio che si ingozza di queste polpette. Gli studenti se le portano persino a scuola come da noi si portano le brioches confezionate, ma del resto in Giappone i cestini della merenda sono quasi un’arte sacra.
Di solito son molto grandi, più grosse dei nostri arancini. Io ne ho ridotto le dimensioni perché dovevano essere un semplice antipasto. Per rendere di più il contrasto cromatico ho pensato di farle sia col riso bianco che col riso venere nero. Il ripieno può essere davvero vario: pesce crudo o cotto, carne, verdure, formaggi, tanto rimangono all’interno. Quindi si prestano sia per un menù di mare che uno di terra.
Già che c’ero però ho provato a fare anche i Temaki, che sono quei conetti di alghe ripieni di pesce crudo e riso. Praticamente una versione più semplice e rapida del sushi.
In Giappone si fa anche  a casa, contrariamente all’altro che richiede più tempo e manualità e viene lasciato ai ristoranti specializzati, praticamente viene servito il riso cotto in un piatto, il pesce già tagliato a pezzi nell’altro, i condimenti necessari e le alghe tagliate in riquadri.
Ogni commensale sceglie gli ingredienti, li avvolge in un’alga piegata a cono e mangia.
Un po’ come la nostra bourguignonne, o la fonduta.
In questo caso basta mettere il ripieno all’interno e nasconderlo con il riso e l’accostamento cromatico è rispettato. Per giocare un po’ li ho fatti anche con il riso venere, avvolgendolo con coni di sfoglie di riso, quelle che si usano per gli involtini primavera. Non sono originali Giapponesi ma non stiamo a sottilizzare.
Possiamo dire che l’antipasto bianco e nero c’è.
Ed ecco anche il resto del menù Black and White.




Io vi auguro buon appetito, anzi itadakimasu!








ONIGIRI E TEMAKI BLACK AND WHITE

Riso cotto alla giapponese per gli onigiri e i temaki (anche per sushi in genere)
200g riso giapponese, in mancanza utilizzate il tipo Originario,
aceto di riso o di mele (io ho usato l’acidulato di Umeboshi, una sorta di prugna in salamoia, l’aceto si trova nei negozi di alimenti etnici o macrobiotici)
olio di semi (meglio di sesamo, ma anche di arachidi va bene),
zucchero.

Per prima cosa sciacquare abbondantemente il riso in acqua corrente fredda, mettetelo per comodità in un colino a maglie fitte e mescolatelo con la mano, sciacquate finché l‘acqua diventa trasparente. Lasciatelo a bagno una mezz’oretta.
Mettetelo in una pentola con il doppio in volume di acqua fredda, portate ad ebollizione, cuocete 5 minuti poi mettete al minimo e cuocete coperto finché tutta l’acqua si sarà assorbita. Se l’acqua si assorbe troppo in fretta aggiungetene pochissima alla volta, bollente mi raccomando per non fermare la cottura. Il riso deve essere ben cotto ma non troppo molle, comunque non al dente.
Fate raffreddare il riso cotto in una ciotola ampia sgranandolo con una forchetta.

Mescolate due cucchiai di olio con due cucchiai di aceto e mezzo cucchiaino di zucchero, condite il riso mescolandolo bene.

Per il riso venere cotto alla giapponese.
200g riso venere,
per il condimento vedere sopra.

Per la cottura del riso procedete esattamente come sopra, lasciate il riso in ammollo per 30 minuti così si ammorbidisce e cuoce più in fretta. Il riso venere, essendo un riso integrale, ha una cottura molto lunga, circa 30-40 minuti lessato in abbondante acqua. Per cuocerlo con questo metodo occorre aggiungere man mano acqua bollente e portarlo a completa cottura. Anche questo riso deve essere cotto bene altrimenti non si amalgama e gli onigiri non stanno insieme.
Condite il riso come per quello bianco.

Per la farcia scegliete a piacere:
pesce crudo diliscato e sfilettato (opportunamente abbattuto) tipo tonno, branzino, orata, ecc.
oppure lo stesso pesce scottato alla griglia, al vapore o lessato con aromi a piacere e un goccio di sakè,
salmone o spada affumicato,
polpa di granchio in scatola,
ventresca di tonno sott’olio,
gamberi sgusciati e saltati in padella con poco sakè e olio d’oliva,
verdure crude o saltate in padella a dadini o filetti,
tofu o Seitan arrostito sulla piastra  e tagliato a dadini,
pezzetti di pollo o maiale saltati in padella con salsa di soia e sakè
salsa Wasabi,
zenzero fresco grattugiato o in polvere,
Gomasio (condimento giapponese a base di sale e semi di sesamo).

Per completare:
fogli di alga Nori,
sfoglie di riso per involtini primavera.


Preparare gli ONIGIRI.

Con le mani inumidite prendete una piccola manciata di riso, fate una pallina e mettete al centro una farcia a piacere tra quelle proposte sopra. Per esempio un tipo di pesce a pezzetti, un pezzetto di verdura, un pizzico di zenzero o altro condimento.
Chiudete la polpetta in modo che il ripieno sia bene all’interno, compattatele e datele la tipica forma a triangolo. Completate con un pezzetto di alga Nori per gli Onigiri classici o sfoglia di riso per quelli al riso venere.
Le sfoglie di riso vanno ammorbidite velocemente in acqua fredda e tamponate con uno strofinaccio pulito.
Gli onigiri di solito sono abbastanza grossi, tipo gli arancini. Se li preparate come antipasto è meglio fare polpettine più piccole.





Preparate i TEMAKI .

Tagliate i fogli di alga in 4 piccoli quadrati e i fogli di riso in 4 spicchi. Farcite con il riso e il ripieno scelto. Arrotolate le alghe o le sfoglie a conetto. Il riso bianco va nell’alga e il riso venere nelle sfoglie di riso, in modo da alternare i colori.
Normalmente nei Temaki il ripieno di pesce e verdure è visibile. In questo caso, dovendo preparare un piatto esclusivamente bicolore, l’ho messo bene all’interno lasciando visibile solo il riso.



Disponete gli onigiri e i temaki sui piatti di portata o su vassoi di legno, alternando i colori.
Serviteli accompagnandoli con una salsina preparata mescolando salsa di soia, olio di semi, zucchero e Mirin. Il Mirin è una specie di vino di riso poco alcolico, se non si trova scaldate un bicchierino di Sakè con un cucchiaino di zucchero e fate evaporare l’alcool.





Il piatto si può preparare in anticipo, soprattutto gli onigiri che son più buoni dopo un po’ di riposo. I Temaki invece si possono preparare al momento, disponendo in un piatto di portata tutti i tipi di farcitura e condimento, mettete poi a disposizione dei commensali l’alga tagliata a riquadri o le sfoglie di riso inumidite (inumiditele poche per volta perché si attaccano tra lor facilmente). Ogni commensale si preparerà i propri involtini a piacere.






FACCE DA PUB: I BISCOTTI PER L’MTCHALLENGE

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All'inizio pensavo che scherzassero.
Più che altro perché siamo in piena crisi di panico da cambio degli armadi e pur di rientrare in quei vestiti, la prima cosa che si sacrifica sono i dolci.
Inoltre al primo impatto sembra una ricetta facile, sembra tutto facile stavolta.
Troppo.
Qui c’è sotto qualcosa.
Non sarebbe l’MTC altrimenti.
Infatti.






Le ricette che hanno proposto Juri e Dani, i vincitori della sfida sul brodetto, sono tutto fuorché semplici e banali.
Prima di tutto perché sono la base della pasticceria secca, casalinga e professionale. Inoltre vengono direttamente dalle mani di signori Pasticceri.
Di conseguenza portano con se tutta una serie di accorgimenti, trucchi del mestiere, tecniche di base, nozioni di ingegneria chimica e fisica quantistica.
Credete che scherzi?
Avete mai provato a fare i biscotti in casa e vi siete invece trovati con dei ciottoli di ardesia informi e sgraziati? O peggio con delle cose gommose e asciutte come pezzi di copertone?
Avete mai infornato delle splendide renne di Natale e sono uscite fuori le caprette di Heidi?
A essere ottimisti e fantasiosi.
A me si, spesso.
Soprattutto quando voglio fare la splendida e modificare le ricette che leggo sulle riviste o sui libri, che già di loro non è detto che vengano, se poi ci metto del mio.
Oppure quando mi prende il trip del “multicereale-senza grassi-senza uova-poco zucchero per carità”, avete presente il cartone da imballaggio? Ecco.
Perché  non si può pretendere di modificare, di personalizzare le ricette di base se queste basi non le si sanno fare bene.
Non si può pensare che basti mischiare farina, uova, burro e zucchero a caso e poi si ottengono biscotti. Così, per sillogismo.
Ci vogliono le basi, un minimo di cognizione di causa.

Quindi si parte dalle basi.
Che per i frollini classici sono tre: la frolla classica, la frolla sablè e la frolla montata.
Sul perché e il percome vi rimando al post di Juri&Dani, dove sono spiegate benissimo in ogni passaggio. Le ricette che troverete sono di un maestro della pasticceria, Leonardo Di Carlo, con consigli e trucchi rubati anche a Iginio Massari, e  scusate se è poco.
Troverete anche la ricetta della frolla senza lattosio di Dani, dato che lei è intollerante. È collaudatissima e posso confermare personalmente che vengono biscotti da urlo, quindi vale la pena provarla.

Ma non basta, bisogna conoscere ogni ingrediente, la resa, la proporzione che deve avere sul totale dell’impasto a seconda di cosa si vuole fare. Bisogna sapere che se aggiungo un po’ di quello poi devo modificare quell’altro. Bisogna rispettare i tempi di riposo.
Altrimenti poi vengono tavelle da muratore.
Tutto questo è spiegato molto bene nei post tecnici su MTC.
Io me li sono studiati per benino. Poi dalla teoria alla pratica ci sono infinite possibilità di perdersi. Speriamo in bene.

Per i miei biscotti sono tornata indietro di una sfida, a quella del miele, dove lo avevo abbinato a una birra stout. Ma c’è un motivo anche sentimentale.
Ultimamente mi sono incuriosita al mondo birraio e mi piace assaggiare birre un po’ più insolite. Ho scoperto che dietro alle tre tipologie, bionda, scura, ambrata, si nasconde tutto un mondo.
Ho scoperto che mi piacciono anche le birre scure. Le stout in particolare. Quelle con la schiuma densa e cremosa. L’esempio più famoso è la Guinness irlandese. Che adesso è normale abbinare ai dolci, specialmente al cioccolato, anche come ingrediente dei dolci stessi.
Ma non è una semplice moda.
Questo genere di birre ha un lieve gusto di cioccolato e caffè, piuttosto riconoscibile devo dire. Ciò è dovuto all’utilizzo di certi tipi di malti, definiti proprio chocolate e coffee, che poi vengono tostati a temperature elevate e che caramellizzandosi danno il classico colore scuro. A seconda della miscela e del grado di tostatura possono avere sapori più o meno marcati.
Alcuni birrifici aggiungono una piccola quantità fave di cacao alla miscela proprio per risaltare questo gusto particolare.
Sono un po’ più dolci e corpose delle altre birre, specialmente quelle fatte fuori dall’Irlanda, dove per inciso non c’è solo la Guinness. 

Anche qui in Italia stanno prendendo piede, soprattutto nei piccoli birrifici artigianali.
Una delle migliori che ho assaggiato finora viene proprio dal birrificio artigianale di Piazza dei mestieri di Torino. Noi dell’MTC conosciamo molto bene quel posto, dato che è legato a filo doppio ai nostri libri. Chi non lo conosce vada a farsi un giro sul sito, perché spiegarlo sarebbe troppo lungo.
Proprio in occasione della presentazione del libro a Torino, ho assaggiato la loro Stout Turnerly e me ne sono innamorata. Il caffè e il cioccolato arrivano netti e distinti, altro che “sentore di …”.  Pensare di usarla per un dolce è stata una conseguenza ovvia.

Per cui l’ho messa nei biscotti. Voi ovviamente usate la Stout che preferite o che avete sottomano, comunque vi consiglio proprio questa tipologia di birra.
Ho scelto una frolla classica, con il burro salato. Ho aggiunto la birra, una parte di zucchero scuro e poco cacao per dare colore e profumo. 

Veramente ho preparato anche un'altra versione di questi biscotti, simile nella scelta degli ingredienti ma diversa nel procedimento, e come al solito mi sono complicata la vita, ma questo ve lo racconto domani.











Faccine di frolla classica con burro salato e birra stout.

Ingredienti:
270g farina 00,
120g burro salato,
80g zucchero semolato bianco,
45g zucchero di canna integrale,
50ml birra stout (Guinnes, Ceres, Murphy’s, Turnerly ... a piacere)
1 uovo piccolo,
10g cacao amaro,
2g di polvere di caffè.

Mescolate i due tipi di zucchero e frullateli in un macinino finché diventano quasi polvere.
In un mixer mescolate il burro leggermente morbido con lo zucchero, azionatelo ad impulsi in modo che non si scaldi troppo. Unite l’uovo, gli aromi, la birra e 1/3 della farina, continuate a mescolare ad intermittenza. Quando ottenete un impasto quasi omogeneo trasferitelo in un a ciotola con il resto della farina e incorporatela a poco a poco lavorando velocemente. Potete anche impastare a mano lavorando velocemente.

Fate una palla, avvolgetela molto bene nella pellicola per alimenti e mettetela in frigo a riposare per almeno 10 ore. Potete lasciarla anche di più, fino a 3-4 giorni, purché sia ben sigillata nella pellicola.

Spianate la pasta a uno spessore di circa 3-4mm, ritagliate i biscotti a piacere. Cercate di farli tutti della stessa dimensione, così si cuoceranno in maniera uniforme.
Disponete i biscotti nelle placche antiaderenti, io non le ho imburrate perché l’impasto è sufficientemente grasso e non rimane attaccato.
Mettete le placche in freezer per 1-2 ore.

Scaldate il forno a 180°C, infornate i biscotti, una teglia alla volta prendendoli direttamente dal freezer. Il passaggio nel congelatore assicura una migliore tenuta della forma del biscotto in cottura.
Cuoceteli per circa 10 minuti, forno statico. Durante i primi 5-6 minuti mettete un cucchiaio di legno incastrato nella porta del forno in modo da creare una piccola fessura e permettere al vapore di uscire in parte, sempre per evitare che perdano la forma. 
I forni di ultima generazione dovrebbero avere un’apposita valvola che permette di regolamentare l’umidità all’interno del forno, chi ha un forno vintage come me usate il trucco del cucchiaio.
Continuate la cottura finché sono appena leggermente dorati.

Nel caso di biscotti al cioccolato o comunque di pasta scura, fateli cuocere finché la superficie è ben asciutta ma non brunita mi raccomando. Toglieteli dal forno anche se vi sembrano ancora morbidi perché raffreddandosi si solidificano e raggiungono la consistenza croccante ma friabile. Non cedete alla tentazione di cuocerli di più altrimenti una volta freddi diventano troppo duri.
Fateli raffreddare completamente.

Potete servirli cosparsi leggermente di zucchero a velo oppure decorarli con una glassa al cioccolato fondente.




Per la glassa al cioccolato e birra:
200g cioccolato fondente nero al 70%,
1/2 cucchiaio di zucchero a velo,
2 cucchiai di birra stout.

Grattugiate il cioccolato, fondetene 2/3 a bagnomaria. Unite la birra e lo zucchero e mescolate. Fuori dal fuoco unite il restante cioccolato e mescolate per incorporarlo bene.
Fate leggermente intiepidire poi versatelo in una piccola siringa da pasticceria con bocchetta molto fine o in una apposita penna per decorare i dolci.
Decorate la superficie dei biscotti secondo il vostro estro.


Potete usare semplice cioccolato fuso.








QUANDO LA FROLLA SI MONTA LA TESTA E BEVE TROPPO: I BISCOTTI PER L’MTC PARTE SECONDA.

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Seconda proposta per l’MTChallenge di questo mese sempre per la sfida sui biscotti lanciata da Juri & Dani.
In realtà doveva essere la prima. Ma non ero sicurissima della riuscita e non sapevo se avrei avuto il tempo di rifarla. Così ne ho fatte due contemporaneamente, con gli stessi ingredienti miscelati in modo diverso.
Una è la frolla classica alla birra con cui ho fatto i frollini che avete visto nel post precedente.
Questa è una frolla montata, sempre con cioccolato e birra.







Lo so che sembra una ripetizione, ma questo per me è stato più che altro un esperimento senza rete e visto che tutto sommato non è andata male, ci sono margini di miglioramento ma mi ritengo soddisfatta, ho pensato di proporla lo stesso e sottoporla al giudizio e ai consigli dei giudici di gara.
Una regola della sfida impone che una ricetta debba essere obbligatoriamente senza lattosio, in onore di Daniela che non lo può assumere perché intollerante.
Io non so perché ma mi sono fissata con la frolla montata all'olio.
Figurarsi, già è difficile da fare con il burro, che è solido e monta su che è un piacere (astenersi dai commenti), e nonostante questo il grado di fallimento è altissimo.
Se non si rispettano le temperature e la tecnica, a trovarsi con una teglia di lava ribollente è un attimo. Infatti io ci sono riuscita giusto per caso una volta, poi basta.
Ma mi sono incaponita.
Volevo provare e ho provato.
Con l’olio al posto del burro e con i tuorli sodi perché secondo me aiutano la montata (si sa che l’ovetto fortifica … maremma biscottata, mi son fatta contagiare da Corrado). Sempre per dare consistenza e non usare troppo olio ho messo un po’ di cioccolato fondente e poi naturalmente la birra scura.
Lo spiegone sulla birra Stout non lo rifaccio, andatevelo a vedere nel post precedente.

Ok, non è sta gran genialata, forse non avrò rivoluzionato la storia della pasticceria, anzi non sono nemmeno sicura se tecnicamente si possa considerare davvero una frolla montata, inoltre l’uso del cioccolato mi ha fatto venire dei dubbi: ho usato il fondente nero, quindi senza latte, ma nella confezione c’è comunque scritto che “potrebbe contenere tracce di …” in quanto prodotto in uno stabilimento dove viene usato latte.
Certo che per chi ha problemi seri di intolleranze, la vita non deve essere tanto semplice, immagino ci si faccia l’abitudine, ma si è sempre sul chi va là. Chi non ha di questi problemi non può capire fino in fondo, temo, tendiamo a peccare di superficialità.


Riflessioni serie a parte, alla fine mi sono buttata sull’idea che avevo in testa, il risultato è stato abbastanza soddisfacente. 
I biscotti hanno mantenuto la loro forma, anche grazie al riposo in freezer prima della cottura. Trucco che ho imparato nei post di Dani&Juri, sul loro bloge su MTC, insieme a tanti altri. Li ho solo fatti cuocere un pochino troppo e sono rimasti troppo asciutti, ma quello è un errore di distrazione mio, basta un minuto in più e ciao.
Anche perché il biscotto scuro tende a fregare in cottura, non si vede mai se è cotto a sufficienza, trovarseli "flambati"è un attimo. Poteva essere un'idea.
E dopo questa perla di saggezza andiamo a impastare.
Ecco quindi i miei biscotti di nuovo ubriachi.








Qui nella pagina degli sfidanti ci sono tutte le ricette che hanno partecipato a questa gara.

Un giro qui dentro e poi non vorrete più saperne di biscotti industriali.




Frolla montata all’olio, con tuorli sodi, birra e cioccolato.

Ingredienti per circa 30 biscotti:
250g farina 00,
120ml olio di arachidi,
70g zucchero semolato bianco,
30g zucchero di canna scuro,
50 ml birra Stout (tipo Guinnes, Murphy's, Turnerly ...),
40g cioccolato fondente al 70%,
4 tuorli sodi,
½ cucchiaino di caffè in polvere,
1 cucchiaino di cacao amaro,
1 pizzico di sale fino.

Frullate finemente i due tipi di zucchero.
Fate fondere il cioccolato tritato nel microonde o a bagnomaria.
Mettete i tuorli e metà dell'olio nel bicchiere del frullatore ad immersione e frullateli finché diventano una crema gonfia. Versate tutto in una ciotola profonda e unite pian piano il resto dell'olio a filo, lo zucchero, il sale e gli aromi (caffè e cacao) montando con una frusta elettrica.
Unite il cioccolato fuso, la birra e poca farina alla volta, sempre lavorando con la frusta, pian piano il composto diventerà più sodo tanto che alla fine dovrete incorporare la farina con una spatola. Lavorate delicatamente e non troppo a lungo, il composto deve essere omogeneo ma soffice.

Mettete il composto in una tasca da pasticcere con una bocchetta grande a stella.
Create i biscotti di forma a piacere ma tutti più o meno della stessa dimensione. Adagiateli direttamente sulle teglie antiaderenti, non occorre imburrarli perché questo impasto è già molto unto di suo.
Mettete i biscotti nel frigorifero per almeno una notte oppure nel freezer per un paio d’ore.
Nel freezer si mantengono bene per qualche giorno.
Io li ho fatti la sera, messi in freezer e poi cotti al mattino.

Accendete il forno a 180°C, infornateli direttamente congelati nella parte intermedia. Cuoceteli a forno statico per circa 12 minuti. I primi 6-7 minuti mettete un cucchiaio di legno infilato nella porta del forno in modo da creare una piccola fessura per far uscire l’umidità che si forma in cottura (oltretutto i biscotti erano surgelati).
Cuoceteli finché sono asciutti e appena dorati (nel caso di biscotti scuri come quelli al cioccolato regolatevi diversamente: la superficie deve asciugarsi e schiarirsi ma non brunire altrimenti si tostano troppo).
Toglieteli dal forno anche se sembrano ancora un po’ molli perché durante il raffreddamento si solidificano.

Serviteli appena spolverati di zucchero a velo oppure decorati con un filo di cioccolato fondente nero fuso o con la glassa cioccolato e birra del post precedente.
















Suggerimento fuori gara (anche perché ho dimenticato di fotografare i biscotti con la ganache e ormai son finiti e non lo posso più fare)
Se non avete problemi di intolleranza al lattosio potete anche decorarli con una ganache come questa ovviamente aromatizzata alla birra:

Ganache alla birra e cioccolato bianco.
200g cioccolato bianco,
30 ml birra (nel mio caso la stout, anche se in questo modo si scurisce la ganache),
70ml panna.

Grattugiate finemente il cioccolato, fatelo fondere a bagnomaria. Unite a filo la birra incorporandola bene. Togliete da fuoco e  unite la panna calda ma non bollente, mescolando con una frusta. Fate raffreddare il composto e montatelo con una frusta.
Servite i biscotti guarniti con un ciuffo di ganache.

Nota: come ho già detto io ho usato la stessa birra dei biscotti, essendo una birra scura anche la ganache si è scurita leggermente. Se usate una birra chiara ovviamente questo non succede.





IDEA MENÙ PER LA FESTA DELLA MAMMA: INVOLTINI DI PRIMAVERA.

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Ritorna l’appuntamento con Idea Menù, la rubrica che ogni 15 giorni, il mercoledì, mi risveglia dal mio torpore di blogger pigra e inattiva.
Non che nel resto del tempo non cucini, solo che o non fotografo o se lo faccio le foto rimangono archiviate in qualche  luogo imprecisato dell’ hard disk, oppure non ho voglia di mettermi a scrivere al PC.
Ma ogni due mercoledì riprendo in mano questo blogghino scalcagnato, grazie alle mie amiche blogger serie che  mi hanno voluta in questo progetto.
Quindi a reti, pardon a blog unificati ci ritroviamo a pubblicare ognuna un piatto che andrà poi a comporre un intero menù a tema.
Oggi non poteva essere dedicato alla festa della mamma. Qui da me troverete il secondo, per le altre portate vi mando nei blog di Consuelo, Carla e Linda.






Io lo dedico alla mia mamma che mi ha insegnato a cucinare, insieme alle nonne e zie, tutte un po’ vice-mamme, visto che le famiglie abitavano tutte vicine e io saltavo da una casa all’altra a seconda di cosa offriva la cucina quel giorno.
Mia zia per esempio quando cucinava pesce sapeva già che doveva contarmi automaticamente e apparecchiare anche per me perché io mi presentavo puntuale a tavola, visto che a mio papà il pesce non piace e quindi mia mamma non lo cucina mai. Ma io mi rifacevo con la zia.
Da nonna invece andavo a mangiare gli gnocchi.
Mia mamma pur essendo brava a cucinare in realtà non ama molto farlo, non le piace molto uscire dalla tradizione ligure di famiglia. Però ha sempre dato grandi pranzi a Natale con tutta la parentela invitata. Ma erano menù corali, perché contribuivano tutte le donne della famiglia, ognuna con la sua specialità e guai a sovvertire le tradizioni.
Crescendo e andando via da casa ho iniziato a uscire dagli schemi e sperimentare cucine diverse e ingredienti diversi. Ma l’amore per la cucina risale all’infanzia, quando volevo aiutare a preparare la pasta in piedi sulla sedia, avvolta in un grembiule più grosso di me.
Mia mamma non ha ancora ben chiaro cosa sia un blog di cucina, per lei internet è una cosa vaga, ma a essere oneste anche io non sono molto ferrata sull’argomento.
Appena sposata non era molto convinta che io sapessi davvero cucinare. Ogni volta che avevo ospiti a cena mi chiedeva “ma cosa gli prepari da mangiare?” con tono dall’incredulo allo scettico. Forse continuava a vedermi ancora bambina.
Poi pian piano, probabilmente vedendo che marito, figlio ed eventuali ospiti non solo non deperivano di stenti o peggio non subivano avvelenamenti,  ma venivano su belli pasciuti e soddisfatti, ha iniziato a farmi la stessa domanda ma con tono diverso, curiosa di sapere quale piatto nuovo avrei sperimentato.
Infatti è regola ormai radicata in casa mia, che ogni volta che ho ospiti, fosse anche la prima volta che li invito, devono far da cavia a qualcosa di nuovo mai cucinato prima, nel senso che io non ho mai privato a farlo e proprio in quell’occasione ho la brillante idea di provare.
Lo so non sono molto astuta, in queste circostanze bisognerebbe affidarsi a ricette collaudate e a rischio zero. Ma io son fatta così. E mia mamma si è rassegnata e adesso mi chiede persino qualche idea per il pranzo o la cena.
Ma quando torno in Liguria, per un breve week end o pe runa vacanza più lunga, lei si ostina a mantenere saldo lo scettro della cucina, lei dice per farmi riposare o forse perché teme qualche esperimento strano.
Mi vedrà mai cresciuta? Non credo proprio, da mamma lo inizio a capire.
Per festeggiare la mia mamma ho pensato a una ricetta facile e poco impegnativa, non di pesce così accontento anche il mio papà, che si può preparare in anticipo, tenere in frigo e finire di cuocere all’ultimo.  Anzi è una cosa talmente facile che la possono preparare tutti, persino i mariti, magari aiutati dai figli, così per una volta la mamma si siede a tavola e non pensa a niente. Nemmeno a sparecchiare e lavare i piatti, mi raccomando. Almeno una volta all’anno.









Antipasto di Carla: Tortini di pasta fillo con erbette   

Primo di Linda: Lasagna asparagi e salmone

Secondo qui sotto : Involtini di maiale agli asparagi e prosciutto affumicato con verdure in agrodolce.






INVOLTINI DI MAIALE CON PROSCIUTTO AFFUMICATO, ASPARAGI E TOMA PIEMONTESE.

Ingredienti per 4 persone:
24 asparagi,
12 fette di lonza tagliate sottili,
12 fette di prosciutto cotto  affumicato e speziato,
12 fettine sottili di formaggio a pasta compatta grandi quanto la fetta di carne (Toma piemontese, Bra, Raschera, Asiago, Emmentaler …),
2 rametti di finocchietto,
2 rametti di timo,
2 rametti di maggiorana fresca,
2-3 foglioline di menta,
qualche stelo di erba cipollina,
1/2 bicchiere di vino bianco,
olio extravergine di oliva,
sale.

Pulite gli asparagi, tagliate le punte alte circa 10cm e fatele lessare in acqua bollente salata per 5 minuti, devono essere tenere ma ancora sode.
Il resto dei gambi degli asparagi, pulito dalla parte dura e dalle foglioline, tenetelo da parte per la ricetta seguente del contorno.
Battete leggermente le fette di lonza, su ognuna mettete una fetta di prosciutto ripiegata in modo che lo ricopra perfettamente senza uscire e una fetta di formaggio anche questa tagliata molto sottile e di misura.
Disponete infine due punte di asparagi parallele e vicine a un lato corto della fetta, devono uscire leggermente.
Arrotolate la carne su se stessa avvolgendo gli asparagi, non occorre nemmeno chiuderla ma se volete potete fermarla con uno stecchino o con un giro di spago. Idea raffinata, che ovviamente mi è venuta in mente dopo, chiudete con uno stelo di erba cipollina sbollentato.
Tritate finemente le erbe aromatiche, pulite e asciutte.
Fate rosolare leggermente da tutti i lati gli involtini in una padella antiaderente con un filo d’olio, bagnate con il vino e afte evaporare un minuto, unite le erbe aromatiche, abbassate il fuoco e fate cuocere dolcemente per 10 minuti. La carne deve essere ben cotta.
Servite con una riduzione di aceto balsamico e  una spolverata delle stesse erbe aromatiche tritate fresche.





VERDURE CROCCANTI IN AGRODOLCE:

200g di fave fresche sgusciate,
10-12 asparagi più i gambi rimasti della ricetta precedente,
5-6 cipollotti novelli,
4 foglie di menta fresca,
2 rametti di maggiorana fresca,
olio extravergine di oliva,
aceto balsamico,
zucchero,
sale.

Scottate le fave per qualche minuti in acqua bollente salata, se sono grosse eliminate la pellicina altrimenti potete lasciarla.
Pulite gli asparagi dalla parte dura e dalle foglioline esterne, tagliateli a rondelle,
pulite e affettate finemente anche i cipollotti.
Fate rosolare i cipollotti in una padella antiaderente con due cucchiai di olio d’oliva per 2 minuti, unite gli asparagi, due cucchiai di acqua calda e fate cuocere per 8-10 minuti.  Unite le fave quando gli asparagi sono ancora  molto al dente, regolate di sale e insaporite con la menta spezzettata e le foglie di maggiorana.
Terminate la cottura aggiungendo se occorre poca acqua, le verdure devono rimanere sode, non mollicce. Infine aggiungete con due cucchiai di aceto e due di zucchero, mescolate e fate caramellare.

Servite subito con gli involtini.








ORZO CON FAVE, ZUCCHETTE E CIPOLLOTTI per Idea Menù di Primavera

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Primavera. In teoria.
Perché in pratica qui da me non si è ancora decisa ad arrivare sul serio.
Si, qualche fugace apparizione. Uno sprazzo di sole in mezzo a nuvoloni grigi.
Una improvvisa impennata al termometro che non si sa se sia la temperatura esterna, il raffreddore cronico o un inizio di caldane.
Domenica scorsa c’erano 24 gradi. E io ero imbacuccata come Messner al Polo.
Con tutti gli Husky sulle spalle. E sudavo anche come un cane da slitta.
Il giorno dopo c’erano 10 gradi. Ovviamente ho deciso di uscire col mio bellissimo golfino di filo nuovo. A momenti svengo. Almeno ero blu in nuance con il golf.
Saranno queste le mezze stagioni?
Nel senso che per metà giornata siamo in inverno e nell’altra in piena estate?
Almeno in cucina la Primavera non si è fatta pregare e ci sta dando qualche prezioso regalo, sebbene a rilento.
Le prime zucchine, i piselli, le fave, erbe aromatiche  a volontà.
Quest’anno ho deciso di ripristinare il mio orto aromatico sul balcone.
Ho acquistato di tutto: prezzemolo, salvia, rosmarino, origano e maggiorana ovviamente, ma anche menta, finocchietto, erba cipollina, erba limoncina e borragine. E basilico, quello vero, quello ligure.
Mi sono fatta prendere da uno slancio agreste in un tiepido pomeriggio di sole. Ho portato a casa le piantine, tanti bei vasi nuovi, terriccio. Tutto pronto per essere trapiantato di buona lena il mattino dopo.
Già. Peccato che il mattino dopo abbia grandinato.
E quello dopo pioveva a dirotto e quello dopo ancora peggio. Oltretutto c’era una nebbiolina plumbea che avrei giurato potesse nevicare.
Volevo quasi andare a tirar fuori gli addobbi di Natale  e decorare l’abete. Altro che giardinaggio.
Così ho tenuto le mie piantine qualche giorno riparate in casa, poi in un momento di tregua le ho messe a dimora. Imprecando contro il freddo che mi pungeva il naso e le dita.
Non chiedetemi mai più perché io non ami il giardinaggio per cortesia.
Contro ogni aspettativa, a dispetto del tempo ballerino e del mio pollice nero, le piantine sono ancora vive. Anzi sembrano godere di ottima salute.
E mi stanno regalando tante soddisfazioni in cucina, visto che le sto usando a piene mani praticamente ovunque. Un tocco di menta qua, un’aggiunta di timo là.
Uno di questi piatti capita a proposito per far parte di Idea Menù di oggi dedicato alla Verde Primavera.
Io mi devo occupare del primo e ho pensato a un delicato orzotto con fave e zucchette, aromatizzato con un tocco di menta, finocchietto e maggiorana.
Una generosa spolverata di pecorino romano completa il tutto.
Il resto del menù lo trovate da Consuelo, Carla e Linda.

Sullo stato di salute delle mie piantine vi terrò aggiornati. 
Si accettano scommesse.



Primo: Orzo con fave zucchette e cipollotti.

Secondo di Linda: Quiche agli asparagi e salmone.

Dolce di  Carla:  Spring cheesecake.










ORZO CON FAVE, ZUCCHETTE E CIPOLLOTTI.

Ingredienti per 4 persone:
300g orzo perlato,
3-4 cipollotti freschi,
300g fave fresche pulite,
1 zucchetta trombetta piccola o 2 zucchine chiare,
brodo vegetale,

erbe aromatiche fresche a piacere (menta, maggiorana, finocchietto, qualche foglia di ognuna)
olio extravergine d’oliva,
pecorino sardo di media stagionatura,
sale.





Cuocete l’orzo nel brodo vegetale per circa 10 minuti, comunque calcolate la metà del tempo di cottura. Scolatelo tenendo il brodo
Nel frattempo sbollentate le fave in acqua bollente salata per un paio di minuti, scolatele ed eliminate la pellicina. Questa operazione non occorre se le fave sono molto fresche e piccole.
Lavate la zucchetta e affettatela a rondelle.
Tagliate a rondelle molto sottili anche i cipollotti, rosolateli con due cucchiai di olio in una padella. Quando iniziano a essere trasparenti unite le zucchette e le fave e fate rosolare un paio di minuti.
Unite l’orzo scolato e due mestoli di brodo caldo. Fate terminare la cottura dell’orzo a fuoco moderato, aggiungendo se occorre poco brodo alla volta. Ci vorranno altri 10-15 minuti. Alla fine tutti gli ingredienti devono essere cotti ma non sfatti e il brodo deve essersi asciugato. 
Quasi a fine cottura unite le foglie aromatiche spezzettate con le mani. Potete anche tritarle finemente e aggiungerle all’ultimo per mantecare l’orzo. Aggiustate di sale.
Mantecate con un filo d’olio e poco pecorino grattugiato.
Servite con altro pecorino a scaglie.

Se avete i fiori di zucchina freschi potete aggiungerli spezzettati con le mani all'ultimo momento. Anche direttamente sui piatti. Devono appena scottarsi col calore dell'orzo.

Se preferite un gusto più delicato potete mantecare con un pecorino fresco o un formaggio di capra o pecora cremoso, tipo robiola.






Metodo veloce:
Lessate l’orzo nel brodo fino a completa cottura, scolatelo leggermente al dente. Nel tegame a parte cuocete le verdure bagnandole con poco brodo. Alla fine mettete l’orzo nel tegame e fatelo saltare a fuoco vivo con qualche cucchiaio di brodo di cottura.

Servite con scaglie di pecorino.

N.Y. CHEESECAKE AL CAFFÈ, CACAO E CREMA AL WHISKY PER L’MTC N°57.

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Questo mese ci sarà un’improvvisa impennata di colesterolo tra i membri dell’MTChallenge, amici e familiari fino al 4°grado.
Perché questo mese ci si sfida sul cheesecake. Quel dolce tipico anglosassone che prevede tanto formaggio cremoso, quello “full-fat” mi raccomando. Nonché biscotti e burro. Più una bella glassa sopra. Nella versione cotta ci sono pure le uova e non ci siamo fatti mancare nulla.
Per carità esisterà pure una versione light, e sarà sicuramente ottima, ma se si deve fare un peccato tanto vale commetterlo grosso.
Per meno di 1500 calorie a fetta non mi ci metto neanche.
Poi piangerò lacrime di coccodrillo sul rotolino che deborda dagli slip del costume nuovo, ma pazienza.





A sfidarci sul cheesecake sono stati Annaluisa e Fabio del blog Assaggi di viaggio, che hanno vinto la sfida precedente con dei biscotti che chiamarli tali è riduttivo.
Ci hanno proposto tre versioni da cui trarre spunto: il cheesecake dolce senza cottura, ossia addensato con gelatina e messo direttamente in frigo tipo semifreddo, la stessa versione ma salata e infine il New York Cheesecake, ossia quello cotto al lungo in forno e poi messo in frigo. La base è sempre la stessa: biscotti sbriciolati e burro, cracker per la versione salata.
Io ho sempre fatto la versione “cruda”, quella da mettere direttamente in frigo.
Quella cotta, tipicamente americana, l’ho assaggiata più volte ma non l’ho mai preparata pur avendo numerose ricette.
Così ho colto l’occasione al volo e mi sono voluta cimentare. La ricetta classica prevede di aromatizzare la crema al formaggio semplicemente con scorza di limone e/o vaniglia.
Per iniziare potevo anche lasciare le cose così. Invece no, perché se non mi complico la vita non son contenta.
Anna Luisa e Fabio hanno preparato il loro N.Y Cheesecake al doppio cioccolato e già questo ha ucciso la gara in partenza.
Mi son venute in mente diverse idee, ma il tarlo che ho in testa da un po’ è una salsa al caramello-caffè che ho visto su un libro, non uno di ricette ma un romanzo dove la protagonista ad un certo punto affoga i suoi dispiaceri in una torta al cioccolato con almeno un litro di questa salsa sopra.
Pensare a quella e pensare al trio caffè-cacao-mascarpone dell’italico tiramisù  è stato un attimo. Ho mantenuto la nota acida del cheesecake originale sostituendo solo in parte il tipico formaggio cremoso americano con il nostro mascarpone.
In più ho aggiunto una nota alcolica, una crema al Whisky, che col caffè va a nozze , ma questa può anche essere omessa.

Alcune precisazioni doverose:
Per la ricetta  del cheesecake ho seguito il procedimento di Annaluisa e Fabio, con uno sguardo anche alle ricette di L.Evans, M.Stewart, BBC Good Food e altri siti americani, ma poi ho fatto sostanzialmente di testa mia, soprattutto per quanto riguarda le dosi,  e me ne assumo le responsabilità. Se lo provate fatemi sapere come vi è venuto.

Per la salsa al caramello-caffè la ricetta viene da “Solo pane” di J.Hendricks ma le dosi le ho tradotte a mio piacere (anche perché erano in tazze e in quantità condominiali). Ne ho già parlato quidove ho anche preparato i “pecan and cramberry  scones” con la ricetta presa da quel libro.Per il procedimento mi sono basata sui consigli di D.Bressanini da “La Scienza della pasticceria”.

Per sapere la storia del Cheesecake e dei suoi antenati, curiosità e approfondimenti sui vari formaggi da usare, accostamenti dolci e salati, persino sul vino più adatto da servire, vi rimando al sito di MTC, questo mese la redazione si è scatenata se è possibile ancora di più.

E naturalmente c’è la Pagina degli sfidanti, con i trigliceridi in formazione che nemmeno le frecce tricolori e in spiaggia ci metteremo un pareo.






Irish (quasi) coffee cheesecake
(Dosi per uno stampo da 18-20cm di diametro)

Per la base:
160g biscotti al cioccolato,
60g burro fuso,
1/2 cucchiaino di caffè solubile.

Crema al caffè:
200g Philadelphia,
300g mascarpone,
100g yogurt bianco compatto,
150g zucchero,
2 uova + 1 tuorlo,
2 cucchiai di cacao amaro,
1 cucchiaio di amido di mais,
1 tazzina di caffè ristretto,
12 cucchiaini di caffè solubile,
2 cucchiai di Baileys o crema al Whisky.

Per la base: frullate i biscotti nel mixer e mescolateli al caffè e al burro fuso. Rivestite il fondo e i bordi di uno stampo a cerniera di circa 18cm di diametro. Compattate bene e mettete in frigo per almeno mezz’ora.

In alcune ricette, per esempio in quelle di Martha Stewart e Laurel Evans, la base di biscotti viene precotta in forno per qualche minuto e poi fatta raffreddare.  In altre c’è invece il passaggio in frigo. Visto che Anna Luisa e Fabio non l’hanno cotta io ho proceduto come da loro ricetta.

Per la crema: lavorate i formaggi, lo yogurt e lo zucchero con una spatola di legno, unite il caffè e il liquore, le polveri setacciate (amido, cacao e caffè solubile) e i tuorli uno alla volta. Infine unite gli albumi montati a neve.

Anche qui ho trovato procedimenti diversi: alcuni uniscono le uova intere direttamente nell’impasto, altri mettono prima i tuorli e poi gli albumi montati.
Indubbiamente utilizzando gli albumi montati il composto è molto più soffice.

Versate la crema nella base di biscotti e infornate.
Anche sulla questione cottura ho ricette con procedimenti, tempi e temperature diverse.
Io mi sono attenuta a quello che hanno scritto Anna Luisa e Fabio, più o meno.
Innanzi tutto occorre foderare la teglia all’esterno con della carta stagnola senza che questa entri in contatto con la crema, questo perché la cottura deve avvenire a bagnomaria e con la carta non si rischiano infiltrazioni di acqua.
Scaldate il forno a 180°, mettete la teglia in una pirofila più grande e riempitela a metà di acqua. Io l’ho messa fredda, ma in alcune ricette c’è scritto bollente.
Veramente ho trovato anche chi fa cuocere la torta direttamente nel forno senza bagnomaria, ma Anna Luisa dice che in questa maniera non si crepa la superficie e in effetti è vero.

Infornate e dopo 5 minuti abbassate il forno a 160°C. Fate cuocere per circa 1 ora e 15 minuti, di più se la torta è più grande. La superficie deve essere liscia e compatta ma ancora leggermente tremolante al centro.
A questo punto spegnete il forno e lasciate la torta all’interno ancora per 2 ore. Io ho lasciato il forno chiuso, socchiudendolo leggermente la temperatura cala più in fretta e la torta rimane più umida all’interno e meno compatta.  Dipende da come vi piace, anche in questo caso ci sono versioni discordanti. Io l’ho lasciata raffreddare quasi completamente nel forno e mi è rimasta compatta e ma cremosa come un budino.
Lasciate raffreddare bene il dolce fuori dal forno e mettetelo in frigo per una notte intera.






Potete servirla così com’è oppure con una spolverata di cacao amaro o zucchero a velo.
Ma se volete una cosa veramente goduriosa vi consiglio di completare il tutto con una salsa al caramello ancora calda.
Esagerando anche un ciuffo di panna montata, ma esagerando neh. Ma a sto punto …






Note.
Come dice anche Annaluisa, non occorre lavorare la crema a lungo e con la frusta perché non deve incorporare troppa aria, si può mescolare con un mixer o direttamente con una spatola. NON usate il frullatore ad immersione, scalda troppo il composto e praticamente lo scioglie facendolo diventare liquido, a me è capitato perché come al solito pensavo di far prima ma poi ho dovuto aggiungere dell’amido e dopo la cottura rimane un po’ troppo asciutto.

Lavorando delicatamente con una spatola viene meglio.

Salsa al caramello-caffè:

200g zucchero,
50ml acqua,
1 tazzina di caffè,
50ml panna,
2 cucchiai di crema al Whisky (facoltativa)

Mettete lo zucchero in un pentolino dai bordi molto alti e col fondo pesante. Unite l’acqua fredda e mescolate per bagnare tutto lo zucchero. Deve diventare tipo sabbia bagnata.
Mettete il pentolino sul fuoco e portate ad ebollizione, fate sobbollire dolcemente finché l’acqua si sarà quasi asciugata e lo zucchero sciolto avrà un bel colore nocciola scuro.
Non dovete mai mescolare lo zucchero in questa fase altrimenti cristallizza, se succede aggiungete poca acqua e continuate.
Potete pulire gli schizzi di caramello sulle pareti del pentolino con un pennellino da pasticcere bagnato.
Quando lo zucchero ha raggiunto il colore giusto e una temperatura di circa 160°C potete unire la panna e il caffè., fuori dal fuoco. Se aspettate troppo il caramello diventa molto scuro e avrà sicuramente un gusto un po’ più amarognolo.
Aggiungete la panna e il caffè a filo e fate attenzione perché il caramello inizierà a bollire violentemente e a schizzare. Appena si sarà “calmato” potete rimettere il pentolino sul fuoco bassissimo e farlo addensare 2 minuti mescolando.
A piacere potete unire anche 2 cucchiai di Baileys o altra crema al Whisky.

Lasciate intiepidire la salsa giusto il tempo che si addensi leggermente e non sia troppo calda e versatela sulla torta o sulle singole fette.








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