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Channel: A dieta da lunedì
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L’UVA DALL’ANTIPASTO AL DOLCE: IL MENÙ DELLA VENDEMMIA.

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E io vi parlo dell’antipasto. Al resto del menù ci penseranno altre tre foodblogger mie amiche.
Da oggi faccio parte di un progetto carinissimo: Idea Menù, che arriva puntuale ogni due settimane, ogni volta con un menù diverso a tema, ispirato ai prodotti di stagione, alle festività, alle ricorrenze.




Ogni menù è quindi composto di antipasto, primo, secondo e dolce. Quattro portate per altrettante quattro blogger (Tania, Carla, Linda e me) che a turno preparano ognuna una pietanza e la postano in contemporanea ogni due mercoledì. Facile no.
Il menù di oggi verte su un prodotto di stagione italianissimo, praticamente unisce tutto lo stivale: l’uva e dove c’è questa non può certo mancare il vino.
Insomma questo sarà il menù della vendemmia.
A me è toccato l’antipasto.
Devo dire che da subito mi sono frullate in testa tante idee, infatti fino all’ultimo non sapevo che fare. Volevo qualcosa di semplice con ingredienti reperibili da tutti ma allo stesso tempo sfiziosa e carina da presentare.
Come al solito mi sono ridotta all’ultimo minuto, con la cucina invasa da “esperimenti culinari” e acini d’uva in ogni dove. Qualcosa non mi ha convinto nella presentazione, qualcosa non mi ha convinto all’assaggio e deve essere ancora perfezionato.
Alla fine ha vinto una semplice panna cotta al Gorgonzola con gelatina all’uva nera e vino rosso.
Allora buon appetito.


Antipasto: Panna Cotta al Gorgonzola con gelatina di uva nera e Sangiovese.

Primo:  Risotto al nero d'avola di Tania

Secondo: Petto di pollo all'uva bianca  di Carla

Dolce: Torta al vino rosso  di Linda









PANNA COTTA AL GORGONZOLA CON GELATINA ALL’UVA NERA E SANGIOVESE.

Dosi per circa 12 stampini.
Per la gelatina:
250ml di succo d’uva*
100ml vino rosso corposo,
1 cucchiaio di zucchero,
noce moscata, pepe,
8g gelatina in fogli.

*io ho centrifugato gli acini d’uva e ricavato il succo, se non avete la centrifuga potete frullare l’uva (dopo aver eliminato i semi) e filtrare il suco ottenuto.

Mettete in un pentolino il succo d’uva, il vino, lo zucchero e le spezie. Portate ad ebollizione, poi fate sobbollire per circa 10 minuti a fuoco dolce mescolando di tanto in tanto, in questo modo l’alcool del vino evapora e il composto restringe un po’.
Togliete dal fuoco, fate intiepidire leggermente e scioglietevi la gelatina ben strizzata. Mescolate, lasciate intiepidire ancora qualche minuto e versate negli stampini di silicone o alluminio. Dovete formare uno strato spesso circa 1cm – 1cm e ½.
Fate raffreddare completamente e mettete in frigo.








Per la panna cotta:
200g gorgonzola dolce e cremosa,
150ml panna fresca,
50ml latte,
6g gelatina in fogli,
2 cucchiai di grana,
una presa di maggiorana secca,
noce moscata.
Mettete in ammollo in acqua fredda la gelatina.
Sciogliete a fuoco dolce la gorgonzola con il latte e la panna mescolando bene, unite la maggiorana e una grattata di noce moscata. Appena inizia a bollire spegnete e frullate col mixer ad immersione. Lasciate intiepidire leggermente poi unite la gelatina ben strizzata mescolando bene.
Lasciate intiepidire più o meno fino a 40°C, se mettete un dito dovete sentire appena tiepido il composto. Versate negli stampini sopra la gelatina riempiendoli.
Mettete tutto in frigo fino al momento di sformarli.

Completate con un acino d’una e una fetta di pane integrale leggermente tostato, tagliato a misura con un coppapasta. Potete guarnire con qualche goccia di glassa all’aceto balsamico.

Nota: gli stampini di silicone rendono più facile sformare gli antipastini, devono essere ben freddi perché la gelatina tende a rimanere appiccicata al silicone. Ho usato anche degli stampini da budino in plastica scanalati, pessima idea: ho fatto una faticaccia immane a sformare senza rovinare la panna cotta o la gelatina. Meglio allora usare stampini usa e getta di alluminio, ripempiendoli di meno per non avere una porzione esagerata.

Nota bis: in alternativa si possono usare dei bicchierini di plastica trasparente, quelli da finger food o dei bicchierini di vetro da liquore. In questo caso sarebbe meglio fare prima la panna cotta e versarla sul fondo e poi mettere uno strato di gelatina sopra. Io ho fatto il contrario per ragioni pratiche (avevo già pronta la gelatina che non poteva aspettare), non è malaccio anche così. Vedete voi.

Adesso non perdetevi il resto del menù. Buon appetito.
















Antipasto: Panna Cotta al Gorgonzola con gelatina di uva nera e Sangiovese.

Primo:  Risotto al nero d'avola di Tania

Secondo: Petto di pollo all'uva bianca  di Carla

Dolce: Torta al vino rosso  di Linda

CROISSANT SFOGLIATI PER L’MTC: LA VOLTA BUONA.

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Forse ci siamo. Forse sono riuscita a fare dei croissant degni della sfida dell’MTChallenge.
È stata dura. Prima di tutto è stata un’impresa riuscire a ritagliarmi del tempo per rifare l’impasto che come ho già detto è un pochino laborioso e bisogna avere un minimo di organizzazione.
Pensavo già di non farcela in tempo, invece eccomi qua.
Perché queste sono ricette che magari uno pensa di non riuscire mai a fare, invece fatte una volta non se ne fa più a meno. Credo che questa diverrà una piacevole abitudine nella mia famiglia.





Tutto questo grazie a Luisa Jane che ci ha insegnato la ricetta e tutti i trucchi per realizzarla al meglio. Grazie per averci regalato forse la più bella sfida a cui ho partecipato finora, senza nulla togliere alle altre che tanto mi hanno insegnato.
Questa però mi ha emozionato particolarmente perché ho dubitato di me stessa dall’inizio e per tutta la durata della preparazione non ho fatto altro che mugugnare: “no, no, non verranno, non ce la posso fare, ma figuriamoci, non mi sembra per niente giusto sto impasto, ma non è mica così che deve venire …“ e così via. Sembravo impazzita.
Infatti dopo un po’ avevo il deserto intorno. Persino il cane si è dileguato rintanandosi in camera con mio figlio, che da parte sua ha ritenuto più opportuno andare a fare i compiti. SPONTANEAMENTE. E non aggiungo altro.
Invece è andata. Non perfettamente, ma talmente bene che non ho resistito e li ho rifatti.
Stavolta ho deciso di aromatizzarli e accompagnarli con una farcia adatta.
Li ho fatti in tre versioni differenti. Due dolci e una salata, perché questi croissant stanno davvero bene con tutto.
A questo punto è sorto il problema di quale di queste versioni avrei presentato alla gara. Perché solo uno può partecipare. Dolce o salato?
Ho escluso subito mio malgrado quello salato, anche se mi è piaciuto forse di più degli altri, ma io non amo molto il dolce, si sa. L’ho escluso perché comunque non era niente di originale. Avessi trovato, come vi dirò poi, gli ingredienti che avevo pensato all’inizio sarebbe stata un’altra questione, invece all’ultimo ho dovuto ripiegare su cose più usuali seppur ottime.
Volevo qualcosa di semplice ma particolare allo stesso tempo. Quindi tra i due dolci ho alla fine scelto quello più profumato, più fresco, con una nota aspretta. Dolce ma non troppo.
Quello che ha invaso del profumo dell’estate tutta la cucina mentre cuoceva in forno.




I croissant al naturale li ho già postati tre giorni fa, cercando di dare una spiegazione la più dettagliata possibile del procedimento, quindi non sto a rifarla tutta.
L’unica variazione all’impasto è stata quella di sostituire metà del burro per la sfogliatura con del burro salato. Non mi sono fidata a sostituirlo completamente. Infatti la differenza di gusto è minima, ma sono leggermente più saporiti. Ho aggiunto 10g in più di zucchero per bilanciare. Per il resto andatevi tranquillamente a leggere ilpost precedente oppure direttamente quello dettagliatissimo diLuisa Jane.
Ho aggiunto poi degli aromi diversi solo nella fase della formatura, cioè alla fine di tutte le pieghe e gli altrettanti riposi in frigo.
Dunque partiamo da li.
Inizierò con raccontarvi per primi quelli che alla fine parteciperanno di fatto alla sfida:







CROISSANT ALLA LAVANDA E LIMONE CON LABNA, CONFETTURA DI LIMONI E MERINGHETTE.

Per i croissant:
impasto per croissant al burro salato (per il procedimento vedetequi)
1 limone non trattato,
fiori di lavanda essiccata,
1 uovo.










Dividete in due l’impasto, tirate le sfoglie a uno spessore di circa 4mm formando due rettangoli di circa 26x35cm. Ritagliate da ogni sfoglia 6 triangoli di 11cm di base e 26 di altezza, fate un piccolo taglietto alla base. Metteteli per 20 minuti in frigo.
Spolverateli con la buccia del limone grattugiata e i fiorellini della lavanda, premete delicatamente per farli aderire. Arrotolate partendo dalla base allargando un po’ gli angoli.
Disponete i cornetti sulle placche foderate di carta forno, copriteli con pellicola e fate lievitare a temperatura ambiente per 2-3 ore.
Spennellateli con l’uovo sbattuto, infornate a 180°C per circa 10 minuti, quando iniziano a dorare leggermente abbassate il forno a 160°C e fate cuocere fono a competa doratura, ancora circa 15-20 minuti. Fate raffreddare possibilmente su una gratella per dolci.










Per il formaggio allo yogurt Labna.
(Si tratta di un formaggio cremoso diffuso i tutto il Medio Oriente, anche col nome di Labneh, fatto con lo yogurt bianco. La ricetta l’ho presa dal libro “La cucina del Medio Oriente e del Nord Africa” di C. Roden)
250g di yogurt bianco intero,
¼ di cucchiaino di sale fino.

Mescolate lo yogurt col sale, mettetelo in una garza in un colapasta o in un colino a maglie fini. Appoggiate tutto in una bacinella. Anche se avete come me la formina per fare la ricotta, è meglio sempre foderarla con una garzina.
Coprite con la pellicola per alimenti e lasciate in frigo a sgocciolare per qualche ora, il siero acquoso colerà in basso e rimarrà nel colino un formaggio cremoso e spalmabile. Potete lasciarlo anche una notte, si asciugherà un po’ di più ma rimarrà comunque morbido.




Per la confettura di limoni:
1kg di polpa di limoni non trattati,
600g zucchero semolato,
200g zucchero di canna,
1 bicchierino di limoncello.

Prelevate la scorza di due limoni facendo attenzione di prendere solo la parte gialla, tagliatela a filetti molto sottili e poi a pezzetti piccolissimi.
Pelate al vivo tutti i limoni eliminando il più possibile la parte bianca e i semi, cercate di recuperare il più possibile anche il succo. Tagliate la polpa a pezzetti e pesatela, dovete avere circa 1kg di polpa e succo, mettete tutto in una pentola con lo zucchero.
Unite anche la scorza tritata e portate a bollore mescolando continuamente. Fate cuocere a fuoco moderato per circa mezz’ora mescolando spesso. Se vi piace una confettura più omogenea a questo punto potete frullarla col mixer ad immersione.
Versate il limoncino e cuocete ancora 10 minuti mescolando.
Versate nei vasi che avrete lavato bene e asciugato, chiudete subito con i coperchi (nuovi mi raccomando), capovolgeteli e fateli raffreddare completamente.
Conservate in un luogo fresco e buio al massimo per un anno.

Completiamo i croissant:
tagliate in due i cornetti, spalmateli con il formaggio cremoso al naturale, cospargete con la confettura di limoni e con delle meringhette sbriciolate grossolanamente. Al posto delle meringhe vanno bene anche dei confettini di zucchero, le ginevrine, o direttamente la granella di zucchero. Comunque una nota croccante e dolce ci sta bene.








CROISSANT AL CAFFÈ E CACAO CON CREMA AL MASCARPONE, CIOCCOLATO FONDENTE E CAFFÈ.

Per i criossant:
impasto per croissant al burro semi salato (come sopra),
caffè in polvere,
cacao amaro in polvere,
un uovo.

Per i croissant ripetere esattamente lo stesso procedimento di quelli alla lavanda, ovviamente sostituendola con la polvere di caffè e cacao.




Per la crema al mascarpone:
100g mascarpone,
2 cucchiai di yogurt bianco intero,
100ml panna fresca,
1 cucchiaio di zucchero a velo.

Lavorate il mascarpone con lo zucchero e lo yogurt, unite delicatamente la panna montata. Lasciate in frigo fino al momento di servirvene.
N.B. questa crema è una delizia messa direttamente sul caffè caldo. Io ve lo dico a titolo informativo.

Per completare:
Cioccolato fondente a scaglie,
1 tazzina di caffè.

Sciogliete un cucchiaio di cioccolato in scaglie nel caffè bollente ottenendo una sorta di crema.
Tagliate i croissant in due, spalmateli con la crema al mascarpone, completate con la crema al caffè calda e scaglie di cioccolato.







CROISSANT SALATI AL PAPAVERO CON LABNA, RUCOLA, TROTA AFFUMICATA E ACETO BALSAMICO.

Per i croissant:
impasto per croissant al burro semi salato,
semi di papavero,
un uovo.

Per i croissant fate esattamente come per quelli alla lavanda.

Per farcire:
formaggio allo yogurt Labna (vedete sopra)
oppure un formaggio spalmabile a piacere tipo Robiola,
trota affumicata,
rucola,
erba cipollina o aneto fresco,
aceto balsamico o una riduzione dello stesso.

Tagliate in due i cornetti, spalmateli con il formaggio, cospargete con l’erba cipollina tagliuzzata fine, distribuite la rucola ben pulita, la trota affettata e completate con qualche goccia di balsamico.










In realtà avrei voluto usare le guancette di trota sott’olio ma non le ho trovate, come del resto al posto della rucola ci sarebbe stato bene il radicchio, soprattutto quello variegato di Castelfranco, ma non è ancora stagione. Così ho optato per una farcia forse più classica e consueta ma altrettanto buona.


                                             

Finita la sagra del croissant. Vi bastano? Altrimenti fatevi un giro nella pagina degli sfidanti dell’MTC e troverete sicuramente qualcosa di goloso.

Con questi croissant supero il traguardo dei 200 post. Poca cosa lo so, ma ogni scusa è buona per festeggiare e cosa c’è di meglio di un bel cornetto caldo e fragrante per celebrare … qualsiasi cosa?

BISCOTTI FARCITI DALL’ECUADOR, in fretta e furia.

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Non so voi ma io vivo perennemente di corsa. In continuo affanno per riuscire a far tutto.
Anche perché ho sempre un miliardo di cose da fare e altrettante me ne vengono in mente.
Ho un bel programmare, stilare liste, decidere priorità, appiccicare post-it ovunque.
Eppure qualcosa mi sfugge ogni volta.
Forse dovrei semplicemente smetterla di voler avere tutto sotto controllo e fare delle scelte.
Comunque adesso, mentre scrivo ho in forno ancora una teglia di biscotti.





Quando saranno pronti dovrei anche riuscire a fotografarli prima che sia troppo buio per farlo e magari postarli. Tutto questo entro la mezzanotte di stasera.
Perché a mezzanotte scade il termine ultimo per partecipare alla tappa ecuadoriana dell’ABCCulinario Mondiale, ospitato da Alessandra del blog Ricettedi Cultura. Poi basta, si cambia paese e continente, ci si ritroverà tutti in Nord Africa, in Marocco.
In realtà avevo ben tre settimane di tempo per cercare e preparare una ricetta ecuadoregna, non è che avessi proprio i minuti contati. Ma tant'è sono riuscita a ridurmi all'ultimo minuti anche stavolta.
Anzi, mai come stavolta sono davvero in lotta contro il tempo. Mai mi è successo che stessi scrivendo il post mentre la ricetta è ancora in divenire, senza nemmeno una foto fatta, che quello è il meno.
Pensate che adesso sto scrivendo col PC sul tavolo di cucina, in un angolo, con ancora la spianatoia e gli stampini dai biscotti infarinati nell'altro e con gli occhi che vanno dallo schermo al forno, perché è un attimo che mi si brucia tutto.




Tutto questo perché ultimamente ho saltato qualche tappa di questo bellissimo gioco che coinvolge un sacco di blogger e non voglio saltarne ancora.
L’Ecuador è uno stato che mi attira molto perché fa parte dell’America Latina e io mi sento molto legata a quei luoghi, a quella cultura. Si trova, come dice il nome stesso, a cavallo dell’equatore, ma contrariamente a quello che si può pensare ha un clima e un territorio molto differenziati: si va dal clima mite della costa alle foreste della cordigliera.
La cucina è molto varia, influenzata dalla mescolanza di popolazioni indigene e immigrate da ogni parte del mondo che si sono susseguite in questi territori e dall'abbondanza di prodotti locali.

Avevo già cercato notizie e ricette sull'Ecuador per un altro post di poco tempo fa, quando ho parlato di un romanzo ambientato alle isole Galapagos, che fanno parte di questo stato.
Allora avevo postato i Llampigachos, piccole frittelle di patate  e formaggio. Avrei potuto riproporre quelle, pubblicando nuovamente foto e ricetta, ma non volevo ripetermi. Così ho cercato altro, a parte qualche piatto con ingredienti non facilmente reperibili dalle mie parti, c’era veramente l’imbarazzo della scelta.

Infatti non sono stata capace di decidermi fino all'ultimo. Poi come succede a volte sopraggiungono altri impegni e mi son ritrovata al pomeriggio della domenica che non avevo ancora fatto nulla. Cosa potevo fare di domenica pomeriggio, di facile e veloce e con ingredienti già presenti in dispensa. Biscotti, ovviamente.
Ho trovato la ricetta delle Galletas rellenas, i biscotti ripieni. Ma non crediate che sia filato tutto liscio, perché di ricette non ne ho trovata solo una, ma centinaia tutte diverse, anche perché questi biscotti sono presenti un po’ in tutto il Sud America.
Gli ingredienti sono sempre quelli: burro, farina, amido di mais, zucchero e uova. Cambiano le proporzioni, le quantità, chi ci mette limone, chi cocco disidratato, chi farcisce col dulce de leche (che ho fatto QUI), chi confetture varie, chi non farcisce affatto.
Io come sempre ho cercato di fare una media del tutto empirica delle ricette che ho trovato. 
  






GALLETAS RELLENAS – Biscotti ripieni ecuadoriani.

200g farina bianca,
150g burro,
60g amido di mais,
80g zucchero semolato,
30g cocco disidratato,
1 limone non trattato,
1 uovo intero grande,
confettura di fragole o altra frutta o dulce de leche.

Impastare le farina, l’amido, il cocco, lo zucchero con l’uovo sbattuto e il burro morbido a pezzetti, unire anche la buccia di limone grattugiata.
Formare una palla, avvolgerla nella pellicola e farla riposare in frigo per almeno mezz’ora.
Stendere la pasta a circa 4mm di spessore e tagliare a cerchi o a fiori. Possibilmente fate metà biscotti con un buco al centro. Metteteli nella placca foderata con carta forno e mettete in frigo mezz’ora.
Infornate a 200°C per circa 10 minuti, appena sono leggermente dorati tirateli fuori dal forno e fateli raffreddare. Accoppiateli due a due (uno con il buco e uno senza) farcendoli con la confettura. Servite cosparsi di zucchero a velo.
Si possono fare anche senza buco sopra. Possono anche essere serviti semplici senza ripieno.










Se vi siete persi i Llampigachos potete trovarli QUI.




                                     

CALDARROSTE, FUNGHI, GORGONZOLA, BIRRA: ECCO I RAVIOLI DEL BOSCO.

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Finalmente è tempo di caldarroste. Profumate, calde e croccanti.
Che sanno di pomeriggi nel bosco con i nonni, fuochi accesi vicino al torrente sotto casa, nuvolette di vapore che escono dalla bocca, fumo che pizzica il naso e gli occhi, trepidanti attese davanti alla padella che scoppietta, bambini che giocano, mani e visi sporchi di fuliggine, bicchieri di vino rosso, risate.
Tutto questo in una manciata di piccole castagne fumanti.






Un paio di giorni fa mio figlio è andato nel bosco dietro casa a raccogliere castagne con i suoi amichetti. Al ritorno si sono suddivisi il bottino e ognuno è tornato a casa contento con il suo piccolo tesoro nello zainetto.
Abbiamo subito separato le castagne più grandi da quelle piccole. Le prime sono state private della loro scorza marrone e cotte in acqua salata con la pellicina chiara. Dalle mie parti in Liguria si chiamano appunto “pelate” e diventano morbide e succulente, una volta tolta la pellicina si possono anche schiacciare per preparare gli gnocchi.
Con le più piccole invece abbiamo preparato le caldarroste.
In casa. Sul fornello. Con la nostra piccola padellina di ferro bucato.
La cucina si è riempita di fumo e il fornello poi era nero di fuliggine. Ma ne è valsa la pena.
I ricordi di infanzia si sono immediatamente affacciati nella mia mente insieme a volti che purtroppo non ci sono più, ma che mi accompagnano sempre.
Da quei ricordi è nato un piatto semplice ma saporito e che fa la sua figura anche sulla tavola della domenica. Magari accompagnato da portate in perfetta sintonia.
Eccomi al secondo appuntamento con Idea Menù.
Siamo entrati appieno nell’autunno e quindi io e le mie amiche blogger, Tania, Linda e Carla, abbiamo pensato a un menù tutto dedicato al bosco e ai suoi due prodotti più tipici: le castagne e i funghi, che ne saranno i veri protagonisti.
A me stavolta è toccato preparare il primo.
Ho pensato di utilizzare tutti e due gli ingredienti e accompagnarli con un formaggio saporito e cremoso, la gorgonzola e innaffiare il tutto con della birra aromatica, perché secondo me esalta il sapore della farina di castagne.
Ovviamente ci sono anche le caldarroste.

Menù del bosco:

Antipasto di Tania - Crostini con i funghi

Primo: Ravioli alla castagna, birra e gorgonzola con funghi e caldarroste

Secondo di  Linda - Sformato di patate, funghi e asiago 

Dolce  di Carla -  Bicchierino di castagne e ricotta 









Ravioli alla castagna, birra e gorgonzola, con funghi e caldarroste.

Ingredienti per 4 persone:
Per i ravioli:
200g farina 0,
150g farina di castagne,
1dl birra ambrata,
1 uovo,
sale, acqua fredda,
200g circa di gorgonzola dolce.

Mescolate le due farine e impastatele con l’uovo, la birra e un pizzico di sale fino. Unite se occorre dell’acqua fredda. Dovete ottenere un impasto liscio, omogeneo e morbido.
Lasciate riposare la pasta coperta con un canovaccio pulito per circa mezz’ora, poi stendetela molto sottile col mattarello o con l’apposita macchina.
Tagliate dei cerchi di circa 5cm di diametro. Tagliate la gorgonzola a cubetti, metteteli su metà dei cerchi di pasta, coprite con i cerchi rimasti sigillando bene i bordi.
Disponeteli su vassoi di cartone spolverati di farina.
Se volete un gusto più delicato lavorate la gorgonzola con poca ricotta.









Per il condimento:
300g funghi porcini o champignon,
1 cucchiaio di funghi porcini secchi nel caso usaste gli champignon,
1 spicchio d’aglio,
salvia, maggiorana e timo,
1dl birra ambrata,
olio evo,
30 caldarroste circa,
sale, pepe.

Pulite i funghi eliminando bene la terra. Tagliateli a cubetti. Fateli rosolare in una padella antiaderente con poco olio e uno spicchio d’aglio pelato.
Sfumate con la birra, unite le erbe aromatiche e fate cuocere finché son teneri ma non sfatti, aggiustate di sale.
Se usate gli champignon procedete allo stesso modo, ricordatevi solo di pelare le cappelle dei funghi. Per dare più sapore e profumo unite una manciatina di funghi secchi ammollati, strizzati e tritati finemente.
All’ultimo unite metà delle caldarroste spezzettate grossolanamente con le mani.


Lessate i ravioli in abbondante acqua salata, scolateli e conditeli con un filo d’olio d’oliva, i funghi e le caldarroste, anche quelle rimaste spezzettate.












TROFIE ALLA CASTAGNA E VINO ROSSO PER LA FIERA DEL MARRONE DI CUNEO

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Ancora castagne. Ma siamo proprio nel pieno della loro stagione, quindi è davvero un peccato non approfittarne e utilizzarle il più possibile per gustosissimi pranzetti. In questo blog trovate molti piatti a base di castagne, basta cliccare sulla pagina “ricette” in alto e cercare quella che vi piace di più. Ma visto che non ce ne sono mai abbastanza ve ne vado a raccontare subito un'altra. E per un'occasione speciale.






Le castagne sono state un’importante risorsa alimentare, direi quasi fondamentale, per le zone rurali del nostro Pese per molto tempo. Sono state alla base dell’alimentazione quotidiana di molte famiglie, ma anche fonte di guadagno. I frutti, freschi o essiccati e la farina poi hanno dato origine a innumerevoli ricette lungo tutto l’arco alpino e in tutto l’Appennino. Zone montuose e collinari che avevano in comune la difficoltà di coltivare  e reperire grano e cereali,  che quindi diventavano beni rari e costosi.
Di qui la necessità di sostituirli con qualcosa di facilmente reperibile, le castagne appunto. Che hanno sostituito la farina di grano, in parte o totalmente, diventando pane, pasta o dolci. Accompagnavano i legumi e i pochi ortaggi nelle minestre. Erano protagoniste dei pasti quotidiani fin dalla colazione del mattino: una tazza di latte caldo e castagne bollite o arrosto tuffate dentro era tutto quello che molte famiglie potevano permettersi.

Al giorno d’oggi quando si parla di castagne si pensa quasi esclusivamente alle caldarroste, che arrivano ad allietare le giornate d’autunno, soprattutto per  la gioia dei più piccoli. Sono sinonimo di festa, di comunità e condivisione, in particolare nei piccoli paesi di montagna o collina.
Ma attingendo alle tradizioni gastronomiche delle nostre valli si scoprono moltissime ricette, alcune delle quali sono simili anche se originarie di posti diversi. Una su tutte il Castagnaccio, che è noto come piatto tipico toscano, ma lo si ritrova simile anche in Liguria e nell’Appennino Emiliano. O ancora il pane nero di farina di castagne o la pasta fresca.

Nell’entroterra ligure era d’uso comune sostituire parte della farina bianca con farina integrale, crusca o più semplicemente farina di castagne per preparare la pasta fatta in casa che in questo modo diventava “avvantaggiata”. Ora è quasi una raffinatezza per appassionati e gourmand, ma fino al secondo dopo guerra era una necessità soprattutto nella classe contadina collinare, visto che la farina bianca costava troppo. Tanti sono i formati di pasta, a partire dalle trofie del levante ligure, alle “picagge matte”, tagliatelle, maltagliati, fino ai Ciapazoi di Realdo, in provincia di Imperia.
In tutti questi impasti di solito la farina di castagne sostituisce la farina di grano da un minimo del 30% fino al 50%. Vengono impastate semplicemente con l’acqua, solo raramente si unisce un uovo.
Quindi non esiste una vera ricetta codificata per questa pasta, come del resto succede per quasi tutte le ricette di origine contadina, questi piatti subivano minime seppur significative variazioni in base alla zona, al paese, alla massaia che li preparava. O più semplicemente dipendevano dalla disponibilità del momento.  
Il condimento più  caratteristico è naturalmente il Pesto di basilico ligure o il sugo di noci.

Io mi sono ispirata alle Trofie, formato di pasta tipico della zona di Recco  ma ormai diffuse in tutta la Liguria e conosciute anche oltre regione, di solito nella versione bianca, di solo grano. Sono quei piccoli pezzetti di pasta arrotolati su se stessi, con le estremità sottili e a punta e il centro più spesso. Sono di solito condite con il pesto insieme ai fagiolini e patate. Nella versione “avvantaggiata” viene aggiunta la crusca o appunto la farina di castagne, di solito sono condite sempre col pesto.
Il nome deriva dal termine ligure “strofissià”, che significa strofinare, perché per produrle bisogna appunto strofinare la pasta tra i palmi delle mani o sulla spianatoia.
Pare si possano far risalire ai tempi delle crociate, quando i cuochi delle navi impastando velocemente acqua e farina si toglievano l’impasto dalle mani strofinandole una contro l’altra. La pasta che cadeva aveva appunto questa forma e così è rimasta.

Ho voluto riproporre questo primo piatto con qualche significativa modifica. Innanzi tutto nell’impasto ho mescolato farina bianca, farina di castagne e una piccola parte di farina integrale per rendere più ruvida la pasta. Ho poi impastato con vino rosso. L’utilizzo del vino è in verità abbastanza noto in Liguria ma si usa di solito il vino bianco. In questo caso il vino rosso ha dato una nota aromatica in più oltre che cromatica.
La difficoltà è la tipica forma elicoidale delle trofie, che non è semplicissima da rifare a casa e richiede una certa manualità. Dopo vari tentativi, sia con l’ausilio di un bastoncino di legno sia senza, ho raggiunto un risultato accettabile. Almeno non si può dire che si tratta di un prodotto industriale.
Per quanto riguarda il sugo ho abbandonato decisamente la via tradizionale ligure per andare a cercare ingredienti  forse meno consueti ma comunque di stagione: noci, radicchio rosso, trota salmonata e naturalmente caldarroste. Ricompare il vino rosso anche che è consuetudine abbinare al pesce quello bianco, ma la trota è un pesce grasso e sapido che regge molto bene anche un rosso non troppo corposo.
Andrebbe benissimo il vino novello, se fosse già disponibile.

Questo piatto è stato pensato appositamente per partecipare al progetto legato alla FieraNazionale del Marrone di Cuneo che si terrà dal 16 al 18 ottobre proprio nella piazza principale della città e vie limitrofe. Sul sito www.marrone.net troverete tutte le informazioni e il calendario degli eventi in programma. Troverete anche una raccolta di ricette di foodblogger sparse in tutta Italia, tutte dedicate alle castagne e al loro utilizzo in cucina, con piatti tradizionali e innovativi, con tante curiosità legate a questo prezioso dono della natura.

Quest’anno poi sono stata coinvolta personalmente nell’evento da una blogger mia amica e compaesana Silvia (la Masca in Cucina), che mi ha trascinata… convinta a partecipare con lei e un’altra Silvia (silviapasticci) a un cooking show dove saremo capitanate da Paolo Armando, il cuneese finalista di Master Chef 4. Quindi aspetto tutti in piazza Galimberti a Cuneo il pomeriggio di Sabato 17 ottobre per cucinare insieme le castagne cuneesi.









TROFIE ALLA CASTAGNA E VINO ROSSO CON TROTA, RADICCHIO E NOCI.

Per le trofie:
150g farina 0,
100g farina di castagne,
50g farina integrale,
un pizzico di sale fino,
1dl vino rosso tipo Rossese o Barbera,
acqua fredda se necessario.

Impastate le tre farine con un pizzico di sale e il vino, dovete ottenere un impasto omogeneo e piuttosto sodo. Se occorre unite ancora poca acqua fredda.
Avvolgetelo nella pellicola per alimenti e fate riposare per mezz’ora circa. Prelevate un pezzetto di impasto e rotolatelo sulla spianatoia formando un cordoncino sottile. Tagliatelo in pezzetti di un paio di centimetri e allungateli strofinandoli sulla spianatoia o tra i palmi delle mani in modo da assottigliare le due estremità a punta e arrotolandoli su se stessi.
Potete anche arrotolarli con l’aiuto di un ago da maglia o uno spiedino di legno un po’ grosso. In questo caso assomigliano più a dei cavatelli che  a trofie.
Disponeteli su larghi vassoi leggermente infarinati e teneteli in luogo fresco e asciutto. Potete anche prepararli con un giorno di anticipo e tenerli coperti con un canovaccio pulito e asciutto.







Per il condimento:
1 trota salmonata,
150g radicchio rosso,
20 noci sgusciate,
20-25 caldarroste,
una noce di burro,
½ bicchierino di vino rosso,
maggiorana fresca o secca,
sale, pepe.




Lavate e tagliate il radicchio a listarelle sottili.
Pulite e sfilettate la trota eliminando la lisca e la pelle. Tagliate i filetti a listarelle, fatele rosolare in una padella antiaderente con una noce di burro e qualche foglia di maggiorana. Sfumate con il vino rosso. Fate evaporare, aggiustate di sale e pepe  e unite le noci tritate grossolanamente.

Lessate le trofie in abbondante acqua salata per qualche minuto. Scolatele e fatele saltare nella padella del condimento con un mestolino di acqua di cottura. Unite infine anche il radicchio e le caldarroste spezzettate e fate saltare un minuto.







LE CASTAGNE NEL PIATTO E NEL BICCHIERE.

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Come ho già predicato in tutte le lingue, con le castagne si può davvero fare di tutto. Non solo caldarroste o marron glacé. Dopo vi farò vedere una piccola carrellata di quello che ho cucinato qui sul blog con questi frutti.
Tra l’altro sono una fonte preziosissima di vitamine e sali minerali, sono molto energetiche, digeribili, riequilibrano la fora intestinale, sono naturalmente prive di glutine.
Questa è la stagione delle castagne fresche, quindi si trovano facilmente in commercio. Si possono però congelare, sia intere con tutta la buccia che private della scorza esterna dura.
Oppure nel resto dell’anno si possono trovare quelle essiccate. O ridotte in farina.
Quindi la fantasia può spaziare. Facciamola correre liberamente allora.





Io mi sono lasciata andare ai ricordi delle vacanze estive, delle serate al mare, le grigliate all’aperto e le feste sulla spiaggia. Una bella bibita ghiacciata, magari un Mojito.
Non pensate male, non sono abituata a bere superalcolici, anzi non li amo molto, nemmeno il limoncino. Preferisco un buon bicchiere di vino. O una birra.
A dirla tutta non amo nemmeno troppo la menta.
Eppure questo genere di cocktails un po’ fruttati e aromatici mi piacciono. Anche perché si solito sono molto allungati con elementi analcolici e pieni di ghiaccio, quindi alla fine l’alcool non si percepisce più di tanto.
Il Mojito è quasi il mio preferito. Sa proprio di estate, Caraibi, ballerini di salsa.
Certo che questo non è proprio il periodo adatto.
Con questo tempo grigio, piovoso. Con il fuoco che scoppietta nel camino, il plaid pronto sul divano, l’odore di affumicato delle caldarroste. Viene più voglia di un vin brulè.
Però … però …
Così ho sostituito le caldarroste e il timo alla menta e ho provato a fare un Castagnito. In fondo in Liguria hanno fatto il Baxichito sostituendo la menta col basilico. Perché io, ligure adottata piemontese, non posso usare le castagne?
Se proprio volete crogiolarvi al calduccio con qualcosa di più consono alla stagione potete sempre preparavi un punch caldo alla castagna.

Innanzi tutto occorre preparare le castagne nel rum, che devono essere lasciate a riposo almeno una settimana perché si mischino i sapori.






CALDARROSTE NEL RUM.
Caldarroste,
zucchero di canna,
rum chiaro di buona qualità.

Le dosi non ci sono perché dipende tutto dalla quantità di castagne che avete e dalla capacità dei vasi. Pelate molto bene le caldarroste, scartando quelle troppo bruciate e ovviamente quelle non perfettamente integre. Mettetele nei vasetti di vetro puliti e asciutti.
Sciogliete dello zucchero di canna, diciamo 1 cucchiaino scarso per un vasetto da 300g, con un bicchierino di rum. Versate lo zucchero sulle castagne e coprite a filo di rum. Chiudete molto bene i vasetti e scuoteteli energicamente. Se è il caso rabboccate con il liquore.
Riponete per almeno una settimana in un luogo fresco e al buio. Controllate nei prossimi giorni perché le castagne assorbono il liquido che deve essere reintegrato, deve coprire bene i frutti.

NOTE.
Naturalmente potete usare una grappa bianca, un cognac, un whisky o altro distillato a piacere, ma a me serviva il rum.
Lo zucchero può essere omesso.
Potete aggiungere scorzette di agrume, cannella o chiodi di garofano.





CASTAGNITO: COCKTAIL ALLA CASTAGNA.

Castagne nel Rum con il loro liquido di conserva,
Rum bianco,
un rametto di timo fresco,
zucchero di canna,
ghiaccio tritato,
soda o acqua gassata fredda.

Direttamente in un bicchiere piuttosto alto mescolare e premere energicamente mezzo cucchiaino di zucchero di canna con un rametto di timo, unire il ghiaccio tritato, due o tre castagne con tre cucchiai del loro liquido, mezzo bicchierino di rum bianco (a seconda di come lo volete alcolico). Mescolare e completare con la soda o acqua frizzante ben fredde.





PUNCH AL RUM E CASTAGNE

Castagne al rum con il loro liquore di conserva,
un rametto di timo fresco o qualche foglia di salvia,
zucchero di canna,
acqua.

Per due persone, sciogliere due cucchiaini di zucchero in 1dl di acqua e portare a bollore, unire il timo e lasciare sobbollire 2 minuti.
In due tazzine di vetro da punch (tipo quelle da caffè solo un po’ più grandi) mettere tre castagne al rum, con un po’ del loro liquore, aggiungete ancora del rum fino a riempire 1/3 di tazzina. Riempire con lo sciroppo caldo. Servire subito.

Ecco le mie ricette alla castagna direttamente dall’archivio:











































Buon fine settimana a tutti. Io sarò a Cuneo alla Fiera Nazionale del Marrone e cucinerò le castagne insieme a un bel gruppo di amici. Il mio primo Cooking Show. Fatemi un grosso in bocca al lupo.


INVOLTINI DI VERZA PER UN MENÙ AUTUNNALE

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Buon giorno, anzi buon pomeriggio.
Oggi è il mercoledì di IDEA MENÙ. Cioè il giorno in cui io e altre tre amiche pubblichiamo a blog unificati un menù a tema, dove ognuna si occupa di una portata.
Avete presente quei pranzi fra amici in cui ognuno porta una pietanza?
Qui è la stessa cosa, solo che purtroppo ci incontriamo solo virtualmente.
Questa volta il tema del menù è l’autunno e i suoi sapori: quindi frutta e verdura di stagione, ma anche piatti tipici di qualche ricorrenza particolare o magari un comfort food adatto ai primi freddi.
Questa volta a me è toccato preparare il secondo.






Devo dire che avevo l’imbarazzo della scelta. Brasati al vino novello, cacciagione, arrosti o spezzatini con uva, castagne o le ultime prugne, frittate di porri o funghi. Non sapevo cosa decidere.
Poi mi è venuto in soccorso il mio macellaio che in questo periodo prepara dei piccoli involtini di carne nelle foglie di verza. Li dispone belli ordinati su larghi vassoi di metallo nel suo banco e in men che non si dica spariscono. Perché sono un piatto tipico di Frabosa Soprana e dintorni, proprio in questa stagione.

Hanno un nome quasi impronunciabile e impossibile da trascrivere, ma ci proverò lo stesso: sono gli “sförze” o “förze” con la o francese e con o senza la s scivolata. Scusate ma col dialetto piemontese, delle valli occitane per giunta, ho ancora qualche problemino. Per cui perdonatemi se ho sbagliato a scrivere, anzi se qualcuno conoscesse la grafia corretta non esiti a correggermi.

Comunque sono in pratica polpettine di carne, fegato e altre interiora di maiale, bollite e macinate tutte insieme, molto condite con pepe, chiodi di garofano e altre spezie e avvolte in foglie di verza sbollentate. Si devono poi ripassare in padella per farle rosolare bene e si servono ben calde. Sono tipiche dei mesi freddi, quando nelle famiglie veniva ucciso il maiale e trasformato in salumi e altre prelibatezze, anche le parti meno nobili ricevevano il giusto trattamento in ricette davvero gustose. Adesso si preparano più raramente, soprattutto in casa, sono i macellai, ma neanche tutti, che se ne occupano.

Naturalmente una ricetta precisa e codificata non c’è. Si sa che gli ingredienti sono quelli, ma variano le proporzioni. A volte viene aggiunto anche del fegato bovino. Poi ognuno le fa più o meno speziate, chi aggiunge uno spruzzo di vino al composto, chi del limone. Insomma una ricetta vera e propria non l’ho trovata e carpire quella del mio macellaio sarà durissima, ma non demordo.
Hanno un giusto particolare, che piace o non piace, senza vie di mezzo. A mio marito per esempio piacciono molto, nonostante lui di solito non ami per niente il fegato e frattaglie varie.
Ho pensato però di proporvele in una versione casalinga, del tutto modificata.
Ho usato carne macinata mista e salsiccia, un po’ di fegato per rendere l’idea del sapore originario, ma ho evitato altre interiora in modo da non spaventare troppo chi non apprezza troppo le frattaglie.

Si accompagnano bene con un semplice purè di patate o come nel mio caso con funghi trifolati. Io ho usato quelli che in Liguria chiamiamo “sanguin” per via del colore rossastro. Si trovano esclusivamente nei boschi di conifere, infatti sono chiamati anche funghi di pino. Sono molto profumati e hanno una consistenza più croccante rispetto ai porcini, ma sono altrettanto profumati. Io devo ringraziare mia zia che me li ha portati.

Ecco il resto del menù autunnale, buon appetito.


Primo di Linda: Gnocchi all’ossolana.

Secondo(qui sotto):Involtini di verza e maiale.

Dolce di Tania: Torta morbida alle pere.








INVOLTINI DI VERZA CON CARNE DI MAIALE E FEGATO.

PREMESSA: nella ricetta originale la carne, il fegato e le interiora del maiale vengono fatti bollire, poi macinati finemente tutti insieme e conditi. Io ho fatto bollire solo il fegato per evitare che rimanesse troppo crudo e sanguinolento. Il resto della carne ho voluto lasciarla cruda in modo che rimanga più morbida e sugosa in cottura. La salsiccia è una mia personale aggiunta, per tradizione non c’è.

Ingredienti per 4 persone:
12 foglie di verza piuttosto grandi o cavolo cappuccio,
200g fegato di maiale (o bovino),
200g carne macinata di maiale,
200g salsiccia,
2 foglie di alloro,
pepe, peperoncino, chiodi di garofano, cannella, noce moscata, sale,
vino rosso,
pangrattato,
brodo vegetale,
olio evo, aceto bianco.


Sbollentate per un minuto le foglie di verza in acqua bollente salata, scolatele con la schiumarola per non romperle e fatele sgocciolare nel colapasta raffreddandole con un filo di acqua fredda.
Sbollentate per 5 minuti anche il fegato in acqua leggermente salata aromatizzata con una foglia di alloro e un cucchiaio di aceto bianco, scolatelo e tritatelo finemente.
Mescolate la salsiccia sbriciolata con la carne macinata e il fegato tritato fine, unite 2 cucchiai di vino rosso,  e regolate di spezie a piacere. Se il composto fosse troppo molle unite del pangrattato.
Formate delle palline grosse come dei mandarini e avvolgetele nelle foglie di verza, se le foglie fossero troppo grandi dividetele a metà. Le polpettine devono essere ben racchiuse dalle foglie.




Fate cuocere gli involtini in padella per 8-10 minuti con poco olio d’oliva, una foglia di alloro e qualche cucchiaiata di brodo. Alla fine il brodo deve essersi asciugato bene e gli involtini devono rosolarsi leggermente.

NOTA: se optate per la versione tradizionale il ripieno sarà tutto già cotto quindi il passaggio in padella sarà brevissimo, solo il tempo di rosolare l’esterno.

Io ho servito gli involtini con del purè di patate e dei funghi trifolati.






DIETRO LE QUINTE DI UN COOKING SHOW… E UNA RICETTA SENZA NOME

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Oggi voglio raccontarvi com'è andata la mia prima esperienza da food blogger. Come ho già detto precedentemente, sabato 17 ottobre ho avuto l’onore di partecipare a un Cooking Show alla Fiera del Marrone a Cuneo, il mio primo evento pubblico con tanto di nome e cognome e indicazione del blog su locandine e maxi schermo in piazza.


Il palco in Piazza Galimberti a Cuneo in fase di allestimento.

Uno scorcio della fiera


Naturalmente non ero sola, con me c’erano due bravissime amiche blogger: Silvia Leoncini e Silvia De Lucas. La prima è anche una mia compaesana, fatto non da poco se si pensa che abitiamo in un paese di mille anime. Lei però è una vera blogger d’assalto, sempre impegnata in mille progetti e collaborazioni, ci credo che non c’eravamo quasi mai incontrate: è sempre in giro. Infatti è stata lei a  mettere in piedi questo evento e a coinvolgere tutti, autorità, comune, sponsor. Ha persino convinto a venire a cucinare con noi PaoloArmando, uno dei finalisti di Master Chef 4, che ha creato per l’occasione quattro ricette a base di castagne. (Le potete trovare QUI)

Le tre blogger della castagna!!

Per quanto mi riguarda, mi ha tempestato di messaggi che sprizzavano entusiasmo da tutti i pori, mi ha lavorato ai fianchi per mesi per spazzare via la mia proverbiale insicurezza e scarsa stima in me stessa. Ma alla fine l’ha spuntata lei e sabato sono salita su quel palco dove c’era un bancone perfettamente attrezzato, con davanti centinaia di persone, due telecamere puntate addosso e due fotografi che ci giravano intorno.
Poco prima dell’inizio è arrivata persino un’inviata di una radio locale, mi ha messo sotto il naso un telefonino e con uno smagliante sorriso mi ha fatto qualche domanda, era così tranquilla e serena che ho realizzato dopo che ero in diretta radiofonica. Io? Con la mia voce da citofono?
Dire che ero un tantino agitata è un eufemismo grande quanto il Piemonte.
Avevo praticamente gli occhi dilatati come i caprioli quando rimangono lì immobili in mezzo alla strada a fissare l’auto che li illumina coi fari avvicinandosi. Stesso sguardo presente e reattivo.
Poi pian piano mi sono sciolta.
È bastato indossare il grembiule, accendere i fornelli e prendere in mano mestoli e coltelli. Ho iniziato a fare quello che mi fa stare meglio in assoluto e che ritengo mi riesca meglio. cucinare. Quindi mi sono rilassata ed è andato tutto bene.


Pronti via !

Abbiamo cucinato due ore e mezza, di fronte a una piazza piena di gente. Abbiamo scherzato fra di noi e con le persone che si avvicinavano per assaggiare i nostri piatti. Ci siamo alternati e assistiti a vicenda nella preparazione dei piatti senza un intoppo, come se cucinassimo insieme tutti i giorni. Invece ci siamo praticamente conosciuti tutti di persona proprio quel giorno.
L’altra blogger, Silvia De Lucas, è una ragazza spagnola che vive in Liguria ed è di una simpatia contagiosa e bravissima ai fornelli. Paolo Armando si è dimostrato simpatico e alla mano, ci ha raccontato qualche aneddoto dietro le quinte di Master Chef facendoci divertire molto, oltre a essere davvero un bravo cuoco. preciso e velocissimo.







Non ho più pensato a fotografi e telecamere. Pensavo solo a cucinare. Forse un po’ troppo. Perché riguardando le foto e le immagini prese dai filmati, avrei voluto sprofondare: sembravo una pazza con i capelli raccolti in un’improbabile chignon che mi faceva vecchia e col faccione, inoltre avevo un pallore cadaverico perché reduce da un brutto raffreddore, sempre per lo stesso motivo avevo almeno 7 strati di roba (anche perché la temperatura in quel di Cuneo è già decisamente invernale) quindi il mio “fisico da modella” non era decisamente in risalto,  insomma ero una via di mezzo tra Nonna Abelarda e Amelia la Fattucchiera, dopo una gita al mulino di Banderas, con tutta la farina che avevo sul grembiule.
Se penso che i primi piani di me che sparo belinate … ehm amenità, mentre cucino sono stati mandati sul maxi schermo in piazza … vabbè ormai è andata.
La prossima volta, se mai ci sarà una prossima volta, starò più attenta al look, alla postura mentre cucino, alle inquadrature, a non infarinarmi tutta come un’acciuga da friggere, a non gesticolare con coltelli in mano, a non aprir bocca e dar fiato perché, anche se non sono microfonata, se sono in primo piano su uno schermo di 30 metri di lato magari poi il labiale si legge.


Comunque mi sono davvero divertita e sono molto soddisfatta di me stessa perché ho superato uno scoglio che non credevo di poter superare. Ho cucinato in pubblico e non ho nemmeno combinato guai, non ho dato fuoco a nulla e ho ancora tutte le dita.
Se volete sapere cosa abbiamo preparato dovete andare nel blog di Silvia che ha pubblicato le ricette di Paolo con tutte le foto dei piatti.
Io invece ritorno al mio solito tran tran e vi do una ricettina delle mie, rapida e indolore, ma come al solito da porca figura. Bastano pochi ingredienti: uova, panna, uva rossa o nera e tomino di capra fresco, quello morbido con la crosta bianca edibile.
L’unico problema è trovargli il nome. Perché tecnicamente il piatto assomiglierebbe a un clafoutis, quelle torte morbide di ciliegie francesi dove la frutta è immersa in una pastella di uova e panna e cotta in forno. Però di solito queste sono preparazioni dolci mentre invece questa non lo è affatto nonostante la presenza della frutta.
Allora come posso dire? Sformato? Flan? Frittata nel forno? Torta salata?
Inoltre se posso evitare i termini stranieri preferisco, ma questo piatto non mi viene da chiamarlo in nessun altro modo. Facciamo così se avete un nome più adatto ditemelo, apriamo un dibattito. Nel frattempo in qualche modo lo devo chiamare.









Clafoutis salato all’uva e formaggio di capra.

Ingredienti per 4-6 persone:
1 grappolo di uva rossa o nera,
2 uova grandi,
2dl panna,
3 cucchiai grana grattugiato,
1 cucchiaio colmo di amido di mais,
1 rametto di maggiorana,
150g tomino di capra fresco a crosta bianca edibile,
burro, sale, noce moscata,
pasta phillo (facoltativa)

Imburrate bene gli stampi da crostatina o da sufflè monoporzione. Distribuite sul fondo qualche acino d’uva ben lavato, senza riempire tutto lo spazio.
Battete bene le uova con l’amido, il grana e la panna, bisogna ottenere una pastella cremosa. Insaporite con le foglie di maggiorana tritate, sale e noce moscata a piacere.
Versate la pastella negli stampini. Tagliate a dadini il formaggio e distribuirlo nel composto in modo che sia un po’ mischiato con l’uva.
Infornate a 180°C per circa 15-20 minuti. Devono essere morbidi ma non molli e troppo umidi e la superficie deve essere ben dorata. Servire tiepido.




Completare a piacere con una glassa fatta facendo ridurre aceto balsamico con miele.

Ne ho fatto qualcuno foderando gli stampini con delle piccole sfoglie di pasta phillo quadrate, spennellate di burro fuso e sovrapposte una sull'altra in modo che gli angoli siano sfalsati. Bisogna però stare attenti in cottura che non si colorino troppo.




NOTA: data la presenza abbastanza decisa del formaggio di capra può essere servito come antipasto ma anche come pre-dessert al posto dei formaggi.

Per farlo diventare proprio un vero dolce ma un po’ particolare, basta scegliere un caprino un po’ più delicato e fresco e aggiungere un cucchiaio di zucchero al composto e completare semplicemente con caramello classico.




POLLO DISOSSATO E FARCITO ALL’ANTICA ROMA PER L’MTC 51.

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Siamo quasi alla fine della sfida n°51 dell’MTC e non ho ancora pubblicato niente. E si, che di idee ne avevo parecchie. Però in queste ultime settimane mi sono sentita un po’ come dentro a un frullatore. Quindi il tempo per mettere in pratica quelle idee non c’era mai.
Poi, come spesso succede a chi tergiversa, quelle idee te le ritrovi realizzate magistralmente da altri e devi rivedere tutto. Alla fine ho smesso di andare a vedere gli altri sfidanti altrimenti mi prendeva l’ansia da prestazione.
Perché questa è una ricetta con le palle cubiche, scusate il francesismo.

Mi è semblato di vedele un pollo!!

Già quella dei croissant è stata tosta, in fatto di tempi di lavorazione che sono inversamente proporzionali al tempo necessario per spazzolarseli tutti.
Questa è tosta perché richiede dimestichezza con i coltelli, con la carne, con le farce e con le cotture. Con la Cucina con la maiuscola, per chiarire. E  se questa dimestichezza non c’è, la si acquisisce, perché ricordiamoci che l’MTC è anche e soprattutto una scuola.
Patrizia ci ha messi alla prova con un piatto principe della cucina, italiana e non, il pollo (o volatili in genere) disossato e ripieno. Sento già le vostre papille fremere al pensiero.
Nel suo blog (Andante con gusto) Patrizia ci ha spiegato benissimo la tecnica del disosso, con fotografie passo passo, ci ha dato un suggerimento golosissimo sul ripieno, ci ha fatto vedere come si ricuce il pollo e infine ce lo ha presentato con tutti i complementi d’obbligo: una salsa vellutata e un contorno raffinato.
Perché questo è il piatto delle grandi occasioni, dei pranzi di festa e deve essere presentato degnamente. Quindi la sfida comprende tutto, disosso, ripieno, cucitura e accompagnamento.
Una cosuccia da niente!
Io vi devo confessare una cosa, non ero tanto preoccupata per il disosso. Mi sono subito procurata un coltello adatto, veramente con la scusa che “non posso andare avanti con questi coltelli vecchi, non ne possono più” mi sono comprata tutta una serie di coltelli da cucina degni di questo nome. Anzi me li sono fatti regalare dal marito ipnotizzato dall’idea del pollo ripieno.
Quando si dice prenderli per la gola. Mia nonna avrebbe detto “l’ommu l’è ‘n bimbin!” ossia l’uomo è un tacchino, si beve di tutto. Tanto siamo in tema.
Comunque mi sentivo abbastanza tranquilla, perché avevo già affrontato il tema durante un corso di cucina anni fa, tanti anni fa, ok erano i tempi delle guerre puniche, dopo ho ripetuto l’esperienza forse due volte e con ampio margine di miglioramento, nonostante questo mi sentivo sicura, quasi sicura, che non sarebbe stato così difficile. Guardando le foto di Patrizia mi sembrava di ricordare tutto. Se non fosse bastato c’è una scheda grafica sul post MTC fatta da Daniela (di Acqua e menta ) che fa sembrare tutto semplicissimo.
Il mio spauracchio, non ridete, era la cucitura. Ok che non si pretende una sutura da chirurgo plastico e nemmeno un rammendo invisibile, ma una cosa fatta bene e resistente si, che non ceda in cottura rovinando tutto il lavoro. Chi è nato in Liguria mi può capire, noi cresciuti con il babau dell’esplosione della Cima lo sappiamo bene. Quella tasca di carne ripiena e soprattutto ricucita che sembra una bomba a orologeria. Perché se non la si riempie bene e soprattutto non la si cuce a dovere poi in cottura scoppia e fa uscire tutto il ripieno.
Quindi mi sono consultata con mamma e zia; anche loro devo dire che non si sono minimamente poste il problema del disosso, neanche un fiato, c’è stato un vero simposio su che ago, filo e punto fosse meglio usare. Quando hanno iniziato a parlare di gigliuccio e macramè e di coefficiente di tensione della pelle del pollo, però le ho fermate.
Alla fine il momento catartico è arrivato: soli io e il pollo. A questo punto confesso che qualche preoccupazione l’ho avuta. In effetti la mia esperienza da macellaio non è così vasta.
Ma con le foto di Patriziasotto al naso e un po’ di calma è filato tutto liscio. Ho ancora tutte le dita e il pollo non sembrava aver subito troppe sevizie.
Per il ripieno ho seguito l’idea che avevo in testa fin dall’inizio, appena è uscito l’argomento della sfida. Un’idea che avevo anche prima ma non avevo mai avuto la spinta giusta per farla.
Sicuramente assomiglierà a qualcosa che hanno già postato, pazienza non sarò la più originale ma son davvero contenta di averla fatta e mi va bene così.
Ho visto questa ricetta in un libro che ho letto e riletto più volte: “ La cucina degli dei” di Anna Ferrari, dove l’autrice ha riproposto le ricette dell’antica Grecia e Roma, prese dai testi di autori dell’epoca e opportunamente adattate per i giorni nostri, ma nemmeno troppo.
Adoro questo libro perché le ricette sono intervallate da miti, storie e approfondimenti sulla vita dell’epoca, dal punto di vista culinario.
La ricetta a cui mi sono ispirata è il “pullus farsilis” di Apicio, De Re Coquinaria (VI,9,14)
L’ho un po’ rivisitata, prima di tutto perché non era previsto il disosso, ma poi perchè non si trova il garum, la salsa di pesce fermentato, onnipresente in tutte le ricette. La si può sostituire con la colatura di alici o con la salsa di pesce vietnamita (Nuoc Nam) ma anche queste non sono facili da reperire, veramente è più facile trovare la salsa vietnamita che la colatura italiana e sorvolo.
Io ho usato la pasta di acciughe, ma invece di metterla nel ripieno l’ho messa nella salsa. Anche per questa mi sono fatta ispirare dalle salse per le carni di Apicio e colleghi, dove il garum, il miele o il mosto sono d’obbligo. Ma ho fatto un mix con la più nota salsa di pane.
Il miele l’ho usato per condire e caramellare il contorno.
Ok, adesso basta chiacchiere, si cucina.








POLLO FARCITO CON FARRO, UVETTA E  CARNE, CON SALSA DI PANE E CIPOLLINE AL MIELE

Ingredienti:
un pollo da circa 1kg,
un mazzetto di odori (alloro, salvia, rosmarino e timo),
sedano carota e cipolla,
vino bianco,
olio evo, burro,
sale e pepe.

Per il ripieno:
40g farro o cereali misti (riso, avena, orzo e farro),
100g carne macinata tritata,
100g salsiccia,
50g pancetta affumicata tritata fine,
1 cucchiaio di pinoli,
1 cucchiaio abbondane di uvetta passa,
1 uovo piccolo,
pangrattato,
sale, pepe, noce moscata, zenzero in polvere.

Per la preparazione del pollo ho proceduto con il metodo diPatrizia che lei ha spiegato benissimo con tanto di fotografie passo passo. C’è anche una bellissima scheda grafica di Danielasul blog dell'MTC. Io tenterò di riassumere in breve giusto per accompagnare con qualche spiegazione le fotografie del disosso richieste dalla gara.

Disossate il pollo: innanzi tutto pulitelo bene e togliete tutti i residui di piume, aiutatevi fiammeggiando leggermente sul fornello.
Mettete il pollo col dorso in alto e le gambe verso di voi.



Per prima cosa dovete staccare l’articolazione delle gambe, introducendo le dita nella cavità e tirando verso di voi.
Girate il pollo in modo da avere di fronte l’apertura del collo e, sollevando la pelle tastate la carne e cercate la forcella, l’osso a V che sta attaccato al petto, tiratela e staccatela col trinciapollo.
A questo punto rigirate il pollo con le gambe verso di voi e iniziate a inciderlo lungo la colonna vertebrale, il petto deve rimanere appoggiato al piano di lavoro. Apritelo in due procedendo dal collo alle zampe, tenete con una mano il pollo schiacciato al tagliere in modo che le ossa della colonna si aprano un po’ e sia più facile il taglio. Comunque ci vuole un po’ di forza e pazienza.


Allargate bene l’apertura e staccate le ossa della colonna, prima da una parte poi dall’altra, inserendo la lama del coltello dall’alto verso il basso, cioè dal collo verso le gambe. Per ultima staccate la cassa toracica, cartilagini comprese. Mettetele da parte

il mio pollo non era ruspante quindi la carcassa è venuta via praticamente tutta insieme
Tagliate le ali col coltello all’altezza della prima articolazione, mettetele da parte. Sfilate il resto dell’osso dell’ala e rivoltate la pelle all’interno.
Staccate col coltellino la carne del sovra coscia e togliete le ossa. Lasciate la cosce intere così rimangono più in forma.
A questo punto il pollo è pronto.



Con le ossa della carcassa e le ali preparate un brodo: mettetele in una pentola con sedano, carota e cipolla e 5 litri d’acqua circa, portate a bollore e fate bollire piano per almeno 1 ora e mezza. Filtrate il brodo e tenetelo da parte. Non salate.

Preparate il ripieno. Lessate il farro, o i cereali che volete, al dente, scolate e fate raffreddare. Mescolate con la carne macinata, la salsiccia sbriciolata, la pancetta a dadini piccoli, i pinoli, l’uvetta ammollata e sciacquata. Unite l’uovo e un cucchiaio di pangrattato, mescolate tutto, salate e pepate e aggiungete anche dello zenzero in polvere a piacere. Se volete potete aggiungere anche un po' di pasta di acciughe. Io non l'ho fatto, mi sembrava troppo azzardato. Ma nella ricetta antica è prevista.
Distribuite il ripieno all’interno del pollo, compattandolo bene. 




Avvolgete il pollo su se stesso e chiudetelo bene cucendo con ago e filo lungo tutta l’apertura. Cucite i due lembi di pelle cercando di non tirarla troppo perché in cottura, ritirandosi potrebbe strapparsi.
Legate fra loro le zampe con un pezzo di spago.



Mettete il pollo in una pirofila dove ci sta di misura ben unta d’olio. Adagiatelo sopra il mazzetto di odori col petto rivolto verso il basso, distribuite lungo la cucitura dei fiocchetti di burro, così la pelle rimane più morbida. Salatelo e pepatelo bene sulla pelle. Infornatelo a 180°C per 10 minuti, bagnatelo con un bicchiere di vino bianco e cuocete ancora 10 minuti, a questo punto giratelo sottosopra bagnate ancora con poco vino e un mestolo di brodo caldo.
Cuocete in tutto circa 1 ora e mezza, bagnandolo di tanto in tanto col fondo di cottura e poco brodo. Rigiratelo un paio di volte in modo che si cuoce bene ovunque. Usate cucchiai di legno per non bucare la pelle.
Alla fine la pelle deve avere un colore biondo caramello e dalla cucitura, se premuta leggermente, deve uscire un liquido trasparente. Toglietelo dal forno e avvolgetelo in un foglio di carta forno e alluminio per tenerlo caldo.

Filtrate il fondo di cotturaeliminando gli aromi, staccate bene le parti attaccate alle pareti della teglia aiutandovi con poco brodo. Mettetelo in un pentolino con mezzo bicchierino di vino e un mestolo di brodo. Fate sobbollire per 5-10 minuti in modo che si restringa leggermente. Questa sarebbe già un’ottima salsa di accompagnamento, basta legarla con un cucchiaino di fecola e poco burro.

Per la salsa di pane:
50g circa di pangrattato,
1 scalogno,
2dl di latte intero,
chiodi di garofano,
1 foglia di alloro,
1 foglia di salvia,
pepe, noce moscata,
1 cucchiaio di pasta d’acciughe,
fondo di cottura del pollo.

Tritate finemente lo scalogno, fatelo cuocere a fuoco dolce con il latte per almeno 10 minuti con l’alloro, la salvia e due-tre chiodi di garofano.
Eliminate gli aromi e frullate il latte. Stemperatevi la pasta di acciughe e versatevi pian piano il pane mescolando. Cuocete per un paio di minuti poi unite il fondo di cottura del pollo. Regolate di sale e pepe. Dovete ottenere una salsa densa ma cremosa, eventualmente aggiungete altro pangrattato o fondo di pollo.
Servite la salsa ben calda.




Per il contorno di cipolline glassate al miele e zenzero.
500g cipolline borettane,
miele di lavanda o castagno,
aceto bianco,
aceto balsamico,
1 foglia di alloro,
sale, pepe, zenzero in polvere.

Spellate le cipolline. Fatele bollire per 5 minuti in acqua bollente lievemente salata, con la foglia di alloro e due-tre cucchiai di aceto bianco. Scolatele ancora al dente tenendo qualche cucchiaio di acqua di cottura.
Mettete le cipolline in una padella con un filo d’olio, fatele rosolare per un paio di minuti. Sciogliete 1 cucchiaio di miele con due cucchiai dia ceto balsamico e altrettanti di acqua di cottura calda, unite a piacere pepe e zenzero in polvere. Versate il composto sulle cipolline e fatele caramellare a fuoco moderato.








Servite il pollo con il suo fondo di cottura addensato, la salsa di pane speziata e le cipolline al miele. Io ho preparato anche delle semplici patate a tocchetti, rosolate in padella con poco olio e burro e un rametto di rosmarino. In questo modo ho servito un piatto unico.





FACCINE DOLCI ALLA RICOTTA PER LE FESTE DEI BAMBINI.

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Passata la buriana di Halloween. Si respira ormai aria natalizia. 
Fuori fantasmini e ragnatele, dentro pupazzi di neve e stelle di Natale. Comunque il periodo dell’anno più caro ai bambini è ufficialmente iniziato.
Anche se i bambini un motivo per far festa lo trovano sempre: il compleanno di qualche amichetto, del gatto o del pesciolino rosso, l’inizio della scuola, l’arrivo della bella stagione, o di quella brutta, la prima nevicata, la recita scolastica, una ricerca di gruppo. Anche una semplice merenda si più trasformare in una festicciola. Un non-compleanno come direbbe il Cappellaio Matto di Alice.
Quindi perché non organizzare un intero menù intero a loro dedicato?






A questo ci abbiamo pensato io, Carla, Tania e Linda per questa edizione di IDEA MENÙ. Ci siamo divise i compiti, ognuna ha preparato una portata, dall'antipasto al dolce.
Qui troverete il dolce.
Ho pensato a qualcosa di goloso, sicuramente facile da fare, occorre solo un po’ di organizzazione per i tempi di lievitazione. Qualcosa che stupisca i bambini. Qualcosa che possano contribuire a preparare divertendosi a pasticciare insieme agli amichetti.
L’idea di partenza era quella delle krapfen o bomboloni fritti, ripieni e non. Poi mi sono venuti in mente i donouts, le ciambelle americane con glasse multicolori. Quelle dei cartoni animati dei Simpson, per intenderci.
Ho cercato di alleggerire un po’ l’impasto riducendo le uova, sostituendo il burro e il latte con la più leggera ricotta e l’acqua. Si può anche evitare la frittura cuocendo i dolci nel forno.
Infine si decorano con glasse colorate, confettini e cioccolata fusa. Perché si tratta pur sempre di una festa di bambini, va bene la leggerezza e il salutismo ma a tutto c’è un limite.
A questo punto mi è venuto in mente che sarebbe stato carino coinvolgere direttamente i piccoli ospiti nella preparazione dei dolci. Magari i più grandicelli potrebbero anche impastare e ritagliare la pasta con forme particolari, fiori, animaletti e appunto buffe faccine. Il decoro finale coinvolge tutti, grandi e piccini, ognuno impegnato a creare la propria personalissima merenda. Questo è anche un modo per tenerli occupati per qualche minuto in una attività un po’ più tranquilla.
Tra l’altro questi dolci si possono trasformare a seconda dell’occasione: faccine mostruose per Halloween, stelle o abeti per Natale, clown o mascherine a Carnevale, coniglietti a Pasqua e così via.
L’idea è stata approvata e testata personalmente da un giudice esigentissimo: mio figlio Diego, che ha collaborato in ogni fase della lavorazione. Il decoro finale è stato completamente opera sua, io non sono minimamente intervenuta. Perciò questa ricetta finirà anche nella sua pagina delle PICCOLE RICETTE, dove ci sono tutti i piatti che abbiamo preparato insieme. Era già un po’ di tempo che non succedeva, infatti questa pagina è stata trascurata, così ho pensato che questa fosse l’occasione giusta per riprendere.





Eccovi il menù completo:

Antipasto di Linda: Girelle di panmozzarella

Primo di CarlaCrema di carote 

Secondo di Tania Mini panini dog

Dolce: Faccine dolci alla ricotta.





FACCINE DOLCI.

Ingredienti per circa 12-15 pezzi:
200g farina 00 (w260 circa)
150g farina Manitoba,
50g zucchero,
5g lievito di birra secco,
1 uovo medio,
100g ricotta,
1 cucchiaio di olio,
la punta di un cucchiaino di sale,
scorza di limone o aroma di vaniglia,
acqua tiepida qb.
Per decorare:
zucchero a velo e semolato,
cioccolato fondente e bianco,
codette di cioccolato colorate,
confettini e caramelline,
riso soffiato.

Mescolate le farine con il lievito e lo zucchero. Fate una fontana e al centro mettete la ricotta, l’olio, il sale e la scorzetta di limone grattugiata (o la vaniglia). Impastate unendo poca acqua tiepida in modo da avere un composto omogeneo e morbido. Lavoratelo piuttosto energicamente per una decina di minuti allargando e ripiegando l’impasto più volte.
Formate una palla e mettetela a lievitare ben coperta, in un luogo fresco per almeno due ore, deve raddoppiare di volume.
Spianate l’impasto col mattarello a uno spessore di circa 1 cm. Con l’aiuto di uno stampino o un piatto ritagliate dei cerchi di circa cm di diametro. Create gli occhi con due stampini piccoli, io ho usato i beccucci della sac à poche, e ritagliate la bocca con un coltello.
Potete farvi aiutare anche dai bambini facendo attenzione al coltello, se sono piccoli usate coltellini in plastica dalla punta arrotondata o gli appositi attrezzini per la plastilina, ovviamente ben lavati.










Adagiate le faccine su dei vassoi leggermente infarinati e copritele con canovacci puliti, fatele lievitare ancora un’ora circa.
Adesso si può procedere in due modi: si possono friggere o infornare.
Nel primo caso friggetene due o tre alla volta in olio di arachidi che deve essere profondo, caldo ma non bollente. Appena è sufficientemente caldo adagiatevi le faccine e abbassate un po’ la fiamma, con un cucchiaio bagnate di olio caldo anche la superficie della pasta. In questo modo gonfieranno ulteriormente, si cuoceranno bene anche all’interno senza colorirsi troppo velocemente. Rigiratele almeno una volta e fatele dorare da tutti i lati, scolatele su carta da cucina.
Nel secondo caso disponete le faccine su una placca coperta di carta forno e spennellatele con burro fuso con poco latte, solo latte o acque olio d’oliva. Infornatele a 180° per circa 15 minuti, forno statico, non alzate troppo la temperatura del forno altrimenti si colorano troppo in fretta e si seccano.
Quando sono dorate toglietele dal forno e fatele intiepidire leggermente coperte con un canovaccio.





A questo punto inizia il divertimento vero e proprio. Man mano che le faccine sono pronte servitele ancora calde ai bambini. Ognuno avrà il suo piattino con la sua faccina che dovrà decorare da solo usando glassa di zucchero, cioccolato fuso e confettini colorati a piacere.
Distribuite lungo il tavolo piattini e ciotoline con confettini colorati, zuccherini e codette di cioccolato in modo che ogni bambino ne abbia a disposizione.
Preparate delle ciotoline con cioccolato fuso, se si dovesse indurire basta qualche secondo di micro onde.
Per la glassa di zucchero basta sciogliere lo zucchero a velo con poche gocce di acqua fredda, io preferisco non usare l’albume. A piacere si possono usare anche i coloranti alimentari.
Fornite i piccoli artisti pasticceri di spatoline o cucchiaini di plastica … e tovagliolini, tanti tovagliolini. I bambini si divertiranno molto a decorare la propria merenda … le mani, la faccia, la tovaglia e i vestiti …








Potete cuocere le faccine tutte insieme e tenerle al caldo in un vassoio coperto con un canovaccio pulito, in questo modo arrivano in tavola tutte insieme.
Al posto delle faccine potete fare delle semplici ciambelle o dei fiori, si prestano ugualmente a essere decorati.
Le focacce fritte si possono passare semplicemente nello zucchero semolato ancora calde, come delle normali krapfen.
Le focacce al forno si possono glassare in cottura spennellandole con poco latte e cospargendole di zucchero semolato quando sono quasi cotte. Oppure si cospargono con zucchero a velo.








Halloween è già passato, ma questi dolci possono benissimo essere delle facce mostruose, basta allargarle con le mani tirando qua e la in maniera irregolare.
Io ho provato a fare una zucca, tagliando gli occhi e la bocca con un coltello appuntito e formando un piccolo picciolo. Segnatevi l’idea per il prossimo anno.





Ma come dicevo prima, perché non creare abeti decorati per Natale, o buffi clown per Carnevale o ancora coniglietti pasquali?

UNA RICETTA CHE ARRIVA DA MOLTO LONTANO E UN PC DISPETTOSO.

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Questo post avrei dovuto pubblicarlo mesi fa. Addirittura questa estate.
In occasione dell’ Abbecedario Culinario Mondiale, per la tappa in Nuova Guinea.
Avevo preparato il piatto e fatto le foto.
Solo che poi le ho perse.
Mi sembrava di averle salvate nella solita cartella sul desktop, ma invece non c’erano.
Ovviamente nella macchina fotografica non c’erano più.
Potevo ripetere la ricetta ma la tappa si avviava al termine e non c’è stato più il tempo.
Inutile farsi prendere dal panico, o dal nervoso. Con calma serafica ho archiviato la ricetta in attesa di rifarla, prima o poi.





No, non è vero ho tirato giù più imprecazioni di un portuale prendendomela nell’ordine con me stessa che faccio troppe cose contemporaneamente, con mio marito che ha smanie di pulizia a vanvera (era proprio necessario svuotare la macchina fotografica?), con i cervelloni della Microsoft che hanno creato un mostro dotato di vita propria. 
Perché secondo me sti cosi malefici sentono quando hanno a che fare con un esperto in grado di domarli o con una decerebrata col dito a banana, così se ne approfittano e si impuntano, diventano capricciosi, fanno persino i dispetti.
Infatti le foto non si erano perse, le aveva nascoste lui, il PC. 
Lo ha fatto apposta. Perchè mi odia.
Dei miei litigi con il PC (e non solo con lui) avevo già parlato QUI, se vi va di farvi quattro risate.
Giorni fa magicamente sono balzate fuori.
Quando ormai non le cercavo più.
È bastato rimettere in ordine l’archivio fotografie, rinominare un po’ di cartelle, aprirle per verificare i contenuti ed eccole li, mischiate alle foto dell’Estate 2012. Come avranno fatto a finire li dentro?! Sono sempre più convinta che il mio PC mi detesti.
Comunque alla fine le ho trovate.
Così ho deciso di scrivere la ricetta e pubblicarla. 
Prima che spariscano di nuovo.



La ricetta è molto facile e veloce e anche di grande effetto. Viene niente meno che dalla Nuova Guinea, che si trova a Nord dell'Australia, nell'Oceano Pacifico.
Sono dei semplici spiedini di pollo ma insaporiti da spezie.
C'è una buona presenza di aglio ma credo si possa diminuire. Non dico omettere perchè si snaturerebbe un po' il piatto, ma poi ognuno a casa sua fa quel che vuole. 
La presenza dello zenzero e della soia rende il pollo gustoso, cosa da non sottovalutare visto che il petto tende a rimanere stoppaccioso.
Ho cucinato questo piatto un giorno che avevo a pranzo anche la cuginetta. Per lei e mio figlio avevo preparato altro, credo dei classici Hamburger, pensando che avrebbero storto il naso sulla salsa di soia e lo zenzero. Invece prima sono stati conquistati dalla forma di questi spiedini, poi dal gusto e alla fine loro hanno mangiato il pollo e noi gli Hamburger.
Ma questo i ha fatta felice perchè significa che è un piatto approvato. 





Pollo sullo stecco dalla Nuova Guinea

1 petto di pollo senza pelle,
2 spicchi d’aglio tritati grossolanamente,
1 pezzo di zenzero fresco tritato finemente,
3-4 cucchiai di salsa di soia.

Per accompagnare:
riso Roma, Originario o Basmati,
piselli anche surgelati,
cipollotti freschi,
curry,
burro.

Tagliate il pollo a fette e poi, per il lungo, a strisce larghe 2-3cm circa. In una larga ciotola mischiate la salsa di soia con l’aglio e lo zenzero. Io ho aggiunto anche 2 cucchiai di acqua fredda e 1 di olio evo. Mettete il pollo nella marinata e lasciate insaporire da 10 minuti a tutta la notte.
Sgocciolate e infilate le strisce di pollo negli stecchi di legno da spiedini, come se fossero degli arrosticini. Fateli cuocere su una piastra ben calda finché son ben dorati.
Servite accompagnando con patate bollite, zucca, patate americane, tapioca o altre verdure a piacere. Oppure con riso bollito.




Io ho cotto del riso col metodo pilaf, insieme a piselli aromatizzandolo con del curry quasi a fine cottura. L’ho servito condendolo con poco burro e due cipollotti affettati finemente.







LA TORTA DI RICOTTA AGLI AMARETTI E CAFFÈ DI ELENA.

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Innanzi tutto chi è Elena.
Elenaè una blogger di quelle serie, di quelle vere.
Almeno per come intendo io essere una food blogger.
Perché quello che salta subito agli occhi andando nel suo blog (Zibaldone Culinario) è la passione vera per il cibo e per la cucina. Che si manifesta in un elenco lunghissimo di ricette vere, collaudate, che spaziano dai piatti di casa sua, alla cucina tradizionale italiana fino alla cucina etnica.





Senza stare a perdersi dietro alle mode del momento, alle ricette tormentone, quelle che se non le posti non sei nessuno, quelle che magari si prestano a essere impiattate e fotografate in maniera fighetta. Per dire, da lei ci sono i muffins ma anche il cinghiale in umido.
Trovi i biscottini di Natale ma anche la pasta fatta in casa.

Oggi parlo di lei perché è la protagonista di un gioco carinissimo inventato da un’altra blogger di quelle vere, Flavia diCuocicucidici. Il gioco in questione è The Recipetionist ed è una sorta di scambio di ricette: ogni mese viene indicato un blog che deve mettere a disposizione le sue ricette e chi partecipa deve sceglierne una o più e rifarla, può leggermente modificarla, personalizzarla ma mai stravolgerla, deve rimanere il più fedele possibile all’originale. Chi vince diventerà poi protagonista del mese successivo.

Ogni mese mi riprometto di partecipare, anche perché tra le “concorrenti” ci sono un sacco di blogger che stimo e che a rotazione si sono succedute a fare da padrone di casa. Ogni mese per una cosa o per l’altra, passo. È vero che, come dice Flavia, si deve pur cucinare tutti i giorni, ma a volte gli impegni quotidiani sono così tanti che ti ritrovi a cucinare giusto una fettina impanata, un piatto di pasta al burro o il minestrone, altro che food blogger.

Però a pensarci bene è proprio questo lo scopo di avere un blog di cucina: dare idee e ricette a chiunque ci viene a trovare e la più grande soddisfazione è sapere che poi queste ricette vengono rifatte sul serio. Ed è anche un po’ lo scopo di questo gioco.
Stavolta tocca a Elena e ho deciso che non potevo certo passare la mano.

Poi qualche sera fa siamo andati a cena da amici e io mi sono offerta di portare il dolce, così sono andata subito nel blog di Elena per avere qualche idea. 
Ho avuto letteralmente l’imbarazzo della scelta, ha davvero fatto di tutto. La scelta è stata dura: c’era una torta al cioccolato morbida e fondente, che però avevo già fatto simile altre volte, una strepitosa torta al limone, ma non avevo i limoni bio oppure una torta alla ricotta con cioccolato, amaretti e caffè… fermi tutti … cioccolato, amaretti, caffè … trovata! È questa, non ci sono dubbi.
Oltre tutto questa è proprio una ricetta della sua famiglia, che lei mangiava da bambina e che adesso prepara per suo figlio e i suoi compagni. Una torta da condividere con gli amici quindi perfetta per l'occasione.

Ho rispettato quasi fedelmente le indicazioni di Elena: ho solo aumentato la quantità di cioccolato e forse ho usato gli amaretti morbidi invece che quelli secchi, ma per me gli amaretti sono quelli di Sassello, morbidi e poco amarognoli.
Questa è davvero ottima per un dopo cena, accompagnata da una salsa calda al caffè e cioccolato, una salsa mou o una crema inglese.
Ma è ancora più buona il giorno dopo al mattino per colazione con il classico cappuccino.
Vi ho fatto venire l’acquolina? Allora pronti con la ricetta.










TORTA DI RICOTTA E AMARETTI di Elena

Ingredienti
250g di farina                                                                                                                 
220g di zucchero                                                                                                         
250g di ricotta
80g di burro                                                                                                                
50g di cioccolato fondente a tocchetti o gocce di cioccolato (io ne ho usati 70g di quello amarissimo al 70 % di cacao)                           
1 bustina di lievito per dolci
2 uova                                                                                                                             
10 amaretti*
caffè e /o rum
zucchero a velo

*Elena non specifica se amaretti secchi o morbidi, credo siano quelli secchi guardando le sue foto, ma io ho usato quelli morbidi di Sassello, perché ho trovato quelli e perché mi piacciono tantissimo.

Preparate una caffettiera da due tazze di caffè, versatelo in una ciotolina e fate raffreddare.
Non occorre zuccherare. Potete aggiungere al caffè una spruzzata di rum o altro liquore.
Io ho usato solo caffè ma la prossima volta voglio provare a mischiarlo col Baileys.
Lavorate lo zucchero col burro morbido, unite la ricotta e incorporate le uova intere una alla volta, amalgamandolo bene prima di aggiungere il secondo.
Unite poco a poco la farina setacciata con il lievito continuando a mescolare bene, aggiungete le gocce di cioccolato o il cioccolato fondente tritato non troppo finemente. Io ho tritato parte del cioccolato un po’ più finemente in modo che in cottura si potesse sciogliere leggermente.

Imburrate o foderare di carta forno una teglia diametro 22cm (io l’avevo da 24cm, la torta rimane un filo più bassa ma viene bene lo stesso), versate poco più della metà dell’impasto nella teglia, disponete gli amaretti dopo averli bagnati nel caffè, ricoprite con il resto del composto cercando di livellarlo delicatamente.
Io ho usato gli amaretti morbidi di Sassello (ho trovato quelli) e forse li ho inzuppati un secondo di più, quindi nel ricoprirli con l’impasto tendevano a rompersi, anche perché la pastella è molto soda e non si allarga da sola. Consiglio quindi di non inzuppare eccessivamente gli amaretti, farli affondare leggermente nell’impasto premendo con delicatezza e distribuire la pasta rimanente a cucchiai iniziando prima a riempire gli spazi vuoti e poi ricoprendo gli amaretti. Battete leggermente la teglia per assestare il composto.
Cuocete in forno caldo a 180°C per circa 35-40 minuti.
Ho già avuto modo di dire che il mio forno è un po’ particolare, fa un po’ come vuole lui, quindi per cuocere impasti che devono gonfiare devo abbassare la temperatura drasticamente dopo i primi 5-10 minuti e aumentare un po’ i tempi. Altrimenti non mi si lievita nulla. Quindi per i primi 10 minuti a 180°C poi ho abbassato a 160°C per altri 40-45 minuti.
Sformare quando si è raffreddata e spolverizzare con zucchero a velo.









Confesso che ero molto scettica della riuscita: avevo usato una teglia più larga, l’impasto era decisamente denso e ho fatto fatica a distribuirlo, gli amaretti mi si sono sbriciolati un po’.
Donna di poca fede: le ricette di Elena riescono sempre. Infatti la torta è cresciuta bene e si è cotta alla perfezione, rimanendo umida e morbida, soprattutto nel punto dove ci sono gli amaretti al caffè.




La superficie non si è livellata in modo uniforme, forse per la presenza degli amaretti o delle scaglie di cioccolato che hanno cambiato la consistenza dell’impasto, ma devo proprio dire che mi piace un sacco anche così. Sembra più rustica e soffice, inoltre mettendo lo zucchero a velo questo si deposita negli avvallamenti rendendola più golosa.
Come al solito cerco di dare un senso logico ai miei pasticci.
Elena per favore reggimi il gioco ;-P




NOTA: per un dessert o un goloso dopo cena accompagnare la torta con una salsa calda al cioccolato, al caffè o al caramello, magari con una spruzzata di liquore.



Con questa ricetta partecipo a The Recipetionist:


BACCALÀ, CECI E … UN ANTIPASTO CHE PROFUMA DI LIGURIA PER IDEA MENÙ

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Ciao a tutti. Oggi sono un po’ di corsa quindi verrò subito al sodo.
Questo è il mercoledì di IdeaMenù in cui io, Carla, Tania e Linda, a blog unificati, vi invitiamo a cucinare insieme a noi un menù a tema in quattro portate. È la volta del Menù Regionale e io ho l’incarico di preparare l’antipasto.
Per trovare un’idea adatta potevo attingere sia dalla tradizione ligure delle mie origini, sia a quella del Piemonte, che mi ha adottata. O perché non quella ferrarese di mia suocera?
Insomma idee molte e ben confuse.
Ma io son ligure, quindi Liguria sia.






La cucina ligure è sia di mare con i suoi pesci, ma è anche una di terra, di verdure e di erbe aromatiche fresche: rosmarino, maggiorana, timo, salvia.
Quindi frittate e torte salate, verdure ripiene o al gratin e poi frittelle, molluschi al verde, insalate di mare, acciughe in tutti i modi possibili, focacce semplici o farcite.
Tutti piatti golosi e robusti, quasi piatti unici, che però si prestano a diventare piccoli antipasti sfiziosi. Fino all’ultimo non sapevo che scegliere.
Poi però invece che da una ricetta particolare mi sono lasciata guidare dagli ingredienti.
Mi son venuti in mente subito i ceci, che per noi sono come il pane, preziosi perché costituiscono la base di tanti piatti, per esempio le zuppe. Anzi diventano gli unici protagonisti di due eccellenze della nostra cucina: la farinata e la panissa.
La prima è più conosciuta, è simile alla cecina toscana, è una sorta di “crespellona” sottile (passatemi il paragone) fatta solo con acqua, olio d’oliva e farina di ceci, cotta nel forno a legna in un enorme tegame di rame stagnato, con o senza rosmarino. La panissa invece è una polenta soda di farina di ceci che una volta fredda e solidificata viene tagliata a cubetti e mangiata in insalata o saltata in padella con prezzemolo e cipolla o affettata finemente e fritta. L’ho già preparata QUI se vi va di vedere di cosa si tratta. Ma vi avverto che crea dipendenza.
I ceci accompagnano molto bene i piatti di pesce. Un classico è l’insalata di polpo e ceci.
Ma poi ho pensato a un altro ingrediente principe della cucina ligure, dopo le acciughe: lo stoccafisso. Che è il merluzzo essiccato. O, in mancanza, il baccalà che è quello sotto sale.
Lo stocco (o baccalà) alla “brandacujun” è roba nostra, anche se tutti ormai lo conoscono come “brandade” alla francese, perché fa fine. QUI se volete c’è la ricetta.
Alla fine ho unito i due ingredienti, ho aggiunto qualche erba aromatica direttamente dall’orto di papà, una spruzzata di vino bianco che a noi non manca mai, un tocco esotico perché tanto noi siamo navigatori, e la Liguria è servita.
Il titolo è più lungo della preparazione, non spaventatevi, in realtà è un piatto abbastanza veloce e si può preparare in anticipo e riscaldare poco prima di andare a tavola.







Baccalà scottato al vino bianco su duchesse di ceci con citronette al mandarino e erbe aromatiche.

Ingredienti per circa 6 persone:
300g baccalà già ammollato,
200g ceci lessati,
50g patata lessata,
1 cucchiaino di pasta di sesamo (Thaina),
1,5dl vino bianco frizzante (io Lumassina del Finale brut),
2 mandarini,
rosmarino,
maggiorana,
pepe nero.

Frullate i ceci con la patata, la tahina, un cucchiaio di olio di oliva e un pizzico di pepe macinato. Con l’aiuto di una sac à poche e una bocchetta a stella formate dei cerchi su una placca coperta da carta forno, infornate a 200°C per circa 10 minuti. (Il composto di ceci si può preparare anche il giorno prima e tenere in frigo coperto con pellicola, un’ora prima si preparano i nidi e si inforna alla fine.)

Spremete i mandarini e versate il succo in un pentolino insieme al vino, portate a bollore e fate sobbollire per 5 minuti in modo che il liquido si restringa un po’. Immergete un rametto di rosmarino e uno di maggiorana e lasciate in infusione un paio di minuti.

Lessate per 5 minuti il baccalà in acqua bollente non salata, scolate ed eliminate lische e pelle, riducete il baccalà a fettine staccandole con le mani. Tenete da parte 4-5 cucchiai di riduzione al mandarino e immergete i pezzetti di baccalà nel resto. Tenete al caldo. (Anche il baccalà si può lessare con qualche ora di anticipo e scottare all’ultimo nel vino)




Mescolate la riduzione rimanente con 2-3 cucchiai di olio d’oliva, un pizzico di sale e pepe, sbattete energicamente con una forchetta in modo da ottenere un’emulsione.

Disponete un nido caldo di crema di ceci, mettete sopra e intorno qualche pezzo di baccalà sgocciolato, spruzzate con qualche goccia di citronette e completate con rosmarino tritato e pepe nero macinato.










Questo è il menù:

Antipasto: qui sopra
Dessert di Linda: Torta Barozzi

Buon appetito.




RAVIOLI CON “TOCCO” DI CARNE ALLA LIGURE PER L’MTC.

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E dico ligure e non genovese, non per caso, ma per puntiglio.
Anzi, dovrei proprio dire alla savonese.
Perché la provincia di Savona esiste, è viva e lotta insieme a noi.
Non c’è una landa desolata tra Genova e Sanremo, ci sono paesi, cittadine, spesso con millenni di storia alle spalle, dialetti e tradizioni ben definite.
Anche la cucina ligure di ponente esiste, forse dovrei dire di centro così si capisce cosa intendo.






Perché nel resto d’Italia, quando si parla di Liguria, in televisione, nei documentari, si pensa quasi sempre in primis al Tigullio, alle Cinque Terre, ovviamente Portofino, con qualche sforzo si arriva fino a Genova e poi si salta di botto fino a Sanremo, ma solo nel periodo del Festival. O se la giunta comunale combina qualche casino. Poi basta.
In mezzo sembra non esserci niente. Un buco nero, un deserto lungo 150Km. Una Terra di Mezzo aspra e selvaggia.

Invece la via Aurelia prosegue per tutta la costa e attraversa questa provincia così bella che non ha nulla da invidiare ad altre zone più conosciute.  
La vista spazia su panorami stupendi, tra scogliere ripide si nascondono piccole spiaggette di ciottoli, alternandosi a lidi più ampi e sabbiosi. Perché a partire da Varazze il territorio inizia ad addolcirsi un po’, anche i piccoli borghi dell’entroterra sono più a ridosso del mare, quasi a volerlo sempre tenere sott'occhio, a far capolino tra viti, olivi e piante di chinotto.

Se il terreno si addolcisce, il carattere degli abitanti al contrario sembra chiudersi un po’ di più. Mentre i genovesi, esperti commercianti, sono più aperti e loquaci, per quanto possano esserlo i liguri, i savonesi sono un po’ più diffidenti, per usare una parola locale, sono “stundäi”, che purtroppo non ha un vero corrispettivo nella lingua italiana, forse burbero, ma non rende. Stundäio è una persona un po’ scostante, diffidente e brontolona, ma se il mugugno a Genova è libero, a Savona è un moto dell’animo. Noi siamo mugugnoni dentro. Pessimismo e fastidio.
Salvo poi uscire con qualche battuta ironica mai lasciata al caso, poche parole ma dirette, mai troppe, mai troppo poche. Più un motteggio scherzoso, un commento buttato là, una battuta lieve,  a volte anche meno, una significativa alzata di sopracciglio, un sorrisetto o una scrollata di spalle.
Perché i savonesi più che commercianti e navigatori, sono sostanzialmente pescatori e contadini, quindi abituati al silenzio, a non sprecare tempo in chiacchiere, ma dotati di una forte ironia e senso della battuta. Tendenzialmente vogliamo rimanercene tranquilli nel nostro “recantu”, cantuccio (come gli hobbit, in effetti, ma più alti e meno pelosi).
Forse è per questo che le nostre tradizioni, i nostri dialetti e anche la cucina non sono tanto conosciuti o comunque messi in ombra dalla Superba. Ci vuol tutta che li conosciamo e accettiamo tra comuni limitrofi. Veramente si riesce a litigare persino tra borgate dello stesso comune.

La cucina del savonese, pur avendo propri piatti tipici, è abbastanza simile a quella del resto della regione e quindi a quella genovese. Quasi, con qualche piccola differenza: una stessa ricetta po’ subire moltissime varianti man mano che ci si sposta da levante a ponente.
Eppure son sempre piatti della tradizione.
Non è che le massaie savonesi, o finalesi, o feglinesi si sbagliavano, semplicemente usavano quello che gli forniva il territorio. Magari meno spezie, perché meno reperibili e più erbe aromatiche. Più verdura, visto che il terreno meno aspro consentiva di coltivare più facilmente e meno carne. Per esempio, anche noi facciamo la cima ma il ripieno è un po’ più verde, però è sempre cima ligure, savonese, finalese o feglinese, ma sempre ligure.

Lo so che probabilmente non ho scelto un buon momento per un moto di orgoglio ponentino (o mediano) visto che si tratta di una sfida dell’MTChallenge che è nata a Genova, soprattutto visto che i giudici a sto giro sono tutti genovesi, una è anche genoana, ma  pazienza.
Il tema della gara è stato scelto da Monicae Luca, i vincitori del mese scorso, appena l’ho letto mi son sentita chiamata dalla causa, non potevo tirarmi indietro di fronte a una ricetta che è nel mio DNA, però ho pensato anche che fosse un po’ ora di far sapere quanto la cucina ligure non si possa solo identificare con una parte del territorio, sebbene quella parte ci rappresenti molto bene. Scusate ma non ho resistito, ho dovuto rispolverare il vessillo della Terra di Mezzo. Rischierò la scomunica.
Miei prodi hobbit, al mio segnale impastate ravioli!





L’argomento della sfida sono infatti i ravioli, “iraieu co-u tuccu”, per la precisione. Cioè ravioli conditi con un sugo di carne e pomodoro ma un po’ particolare: “u Tuccu”, cioè il pezzo è riferito alla carne che viene cotta molto lentamente con odori, vino e pomodoro regalando sapore al sugo ma rimanendo nel contempo morbida e succulenta. Merito della lunga cottura a bassa temperatura, che adesso è tanto di moda ma non è certo una novità, e del taglio di carne giusto. Quindi alla fine la gara è anche su questo.

Con questa parola viene spesso indicato anche solo il sugo con cui vengono conditi i ravioli, mentre la carne potrebbe finire nel ripieno.
Potrebbe perché non è sempre così, da noi spesso viene mangiata a parte e col sugo si condiscono semplicemente i ravioli.
I nostri ravioli sono un po’ più verdi: di bietole o erbette miste, erbe aromatiche a manciate. La carne, poca, quando c’è e se c’è, non è quella del sugo che è cotta nel pomodoro, ma è un avanzo di arrosto o bollito, spesso viene cotta appositamente.
Oppure si può mettere un po’ di mortadella tritata o raramente prosciutto cotto.
Nell'entroterra di Savona, verso la Val Bormida, invece si mettono anche midollo e animelle nel ripieno insieme alla carne. Comunque non deve mai prevalere sulle verdure.
La quantità della carne può diminuire fino a scomparire del tutto, diventano così ravioli di magro, che non sono i pansotti genovesi in quanto non hanno ricotta ne cagliata.

Questi sono i ravioli come ho imparato a conoscerli io, quelli che ogni festa comandata arrivano in tavola, preparati dalla mamma o dalla zia, dalle nonne e dalla mia prozia prima di loro, ancora prima dalle bisnonne. 
Quelli che ho imparato a fare sin da bambina, in piedi su una sedia, nella “cucinetta”, dove c’era una grossa madia di legno per impastare e un tavolone dove le sfoglie venivano farcite, piegate e tagliate in un lavoro comune che coinvolgeva tutte le donne di famiglia. Una catena di montaggio con tanto di gerarchia: le più piccole sistemavano i ravioli nei vassoi, poi man mano si poteva tagliarli, tirare la sfoglia, mettere il ripieno e così via. 
Io ero un tantinello impaziente, un filino impulsiva e intraprendente, diciamo che volevo saltare le tappe. Infatti la mia prozia Teresa, la vera depositaria del titolo di prima cuciniera, la chef di brigata, tentava ogni volta di mandarmi a giocare da qualche parte, mugugnando che le facevo perdere tempo. Poi però ridacchiava tra sé, contenta di quella nipote curiosa e un po’ casinista. In quelle giornate c’era sempre la merenda dei ravioli: zia, o nonna, preparavano qualche raviolo sovradimensionato e li mettevano a cuocere direttamente sul piano della stufa a legna, venivano delle focaccette croccanti e abbrustolite con un morbido ripieno, che io e mia cugina ci litigavamo.

Il “toccu” ultimamente è stato un po’ soppiantato dal ragù. Ho cercato di recuperare una ricetta di famiglia, sostanzialmente è simile a quello proposto dal Monica e Luca, solo che non ci sono i funghi e il midollo, mentre compaiono molte più erbe aromatiche.
Se volete vedere i ravioli di Monica e Luca, quelli alla genovese con il loro sugo andate nel loro blog: Fotocibiamo.
Questi sono quelli della Terra di Mezzo.





RAVIOLI DI ERBETTE.
(Per circa 2,5 Kg di ravioli)

Per il ripieno:
1,5 kg di bietole, erbette (spinaci, borragine), scarola*,
1 cipolla,
1 piccola gamba di sedano (quelle al cuore che son più tenere)
1 carota piccola,
una manciata di foglie di prezzemolo,
4 rametti di maggiorana fresca,
qualche fogliolina di salvia fresca (quelle in cima che sono più tenere e giovani),
250g mortadella o carne arrosto,
100g parmigiano,
3 uova grandi,
pangrattato,
olio e.v.o,
sale, pepe, noce moscata.

*le bietole di solito la fanno da padrone, le altre erbette sono variabili a seconda del gusto e della reperibilità. Da cotte si riducono a poco più della metà.

Lavare molto bene le bietole e le erbette. Si può procedere in due modi: si possono cuocere le verdure in acqua bollente non salata per 2-3 di minuti, si scolano, si strizzano bene e si tritano finemente. Oppure si tagliano a listarelle sottili da crude e si mettono ad appassire in una padella antiaderente col coperchio senza nient’altro per un paio di minuti, appassiranno nel loro liquido di vegetazione mantenendo un bel colore brillante.
Tritate sedano, carota, cipolla e le erbe aromatiche molto finemente. Fateli appassire dolcemente con due cucchiai di olio d’oliva in una padella per almeno 10 minuti, mescolate di tanto in tanto, non devono rosolarsi, solo stufare e asciugarsi.
Unite le erbette e fatele insaporire un paio di minuti.





Fuori dal fuoco unite la mortadella tritata. Fate raffreddare e tritate finemente il ripieno, potete anche passarlo al mixer. Unite le uova, il parmigiano grattugiato, noce moscata a gusto e aggiustate di sale.
Il ripieno deve essere asciutto e sodo, se fosse troppo molle unite uno o due cucchiai di pangrattato.
Il ripieno si può preparare anche il giorno prima e conservare in frigo ben sigillato con la pellicola, anzi è molto più buono. In questo caso mamma, zie e nonne però aggiungevano le uova solo all’ultimo, perché fossero ben fresche e non si alterassero. Scientificamente non so se sia valido questo criterio ma io ho imparato così e continuo a far così.

Per la pasta:
1kg di farina per pasta fresca,
5 uova,
sale, acqua fredda.

Fate una fontana con la farina setacciata, rompete al centro le uova, unite una bella presa di sale e iniziate a impastare battendo prima le uova al centro con una forchetta, poi unite pian piano la farina, aggiungendo poca acqua alla volta.
Impastate velocemente e con energia fino ad ottenere un impasto morbido, liscio ed omogeneo. Tenete sempre la pasta coperta con un foglio di pellicola e uno strofinaccio in modo che non si asciughi.


Preparate i ravioli:
Tirate la sfoglia non troppo sottile. Io ho usato l’apposita macchinetta sfogliatrice, ho tirato la pasta stringendo a poco a poco fino alla penultima tacca della rondella.
A questo punto potete usare l’apposito stampo per ravioli, che io non ho e non saprei usare perché in famiglia si facevano rigorosamente a mano, sicuramente sveltirebbe l’operazione e ha il vantaggio di avere dei ravioli tutti uguali, fate come volete. Io vi indico come farli senza.
Con l’aiuto di due cucchiai o una sac à poche fate tanti mucchietti di ripieno, grossi poco più di una nocciola, in fila  sul bordo del lato lungo delle sfoglie, a una distanza di circa un dito l’uno dall’altro. Ripiegate la pasta sopra il ripieno, sigillate i ravioli iniziando dal centro, premendo con le dita delicatamente tra un mucchietto e l’altro, in modo che esca bene l’aria. Sigillate anche il bordo orizzontale. Tagliate prima la striscia di ravioli con la rotella e poi pian piano i singoli ravioli. I ravioli devono essere più o meno tutti uguali, quadrati di circa 3cm di lato, e con poca pasta intorno.




A me, sta volta, son venuti un po’ troppo grossi, anche perché avevo anch’io il mio “tirocinante-impaziente-che-mi-fa-perdere-tempo-ma-che-adoro-avere-attorno”. La storia si ripete. Peccato solo di non aver avuto la stufa a legna per cuocere la merenda raviolo.





Disponeteli (senza mangiarli crudi, almeno non troppo) su dei vassoi di carta infarinati e fateli asciugare. Potete mettere i vassoi nel freezer, una volta congelati riuniteli tutti in un sacchetto di plastica per alimenti. Si conservano per un paio di mesi.





Lessate i ravioli per circa tre minuti in abbondante acqua salata, scolateli delicatamente e conditeli col sugo della carne. Serviteli con abbondante parmigiano.









TOCCO DI CARNE.

Ingredienti:
600g polpa di manzo un po’ marezzata di grasso e tessuto connettivo (matamà),
100g di salsiccia in un solo pezzo (aggiunta mia personale),
1 carota piccola,
1 gambo di sedano,
1 cipolla,
400g passata di pomodoro densa,
1 foglia di alloro,
1 rametto di salvia,
2 rametti di maggiorana fresca,
1 manciata di foglie di prezzemolo,
200 ml di vino bianco secco,
olio e.v.o,
sale, noce moscata.

Tritate finemente sedano, carota, cipolla, prezzemolo e maggiorana, fateli rosolare a fuoco dolcissimo con 3 cucchiai di olio in una pentola stretta e profonda che contenga la carne quasi di misura e con fondo molto spesso (va bene una pentola di ghisa o coccio o acciaio molto spesso), bagnate con due cucchiai d’acqua in modo che le verdure si stufino senza bruciare.
Unite la carne e la salsiccia, fate rosolare per qualche minuto da tutti i lati, bagnate con il vino e fate evaporare l’alcool per qualche minuto a fuoco vivace.
Unite la salsa di pomodoro e la salvia e l’alloro, appena la salsa inizia a sobbollire abbassate la fiamma al minimo e fate cuocere semicoperto per circa 3 ore. È meglio usare uno spargi-fiamma perché il fuoco deve essere molto delicato, la salsa deve appena fremere.
Se si asciuga troppo unite poca acqua o meglio del brodo di verdure.
Quasi a fine cottura aggiustate di sale e noce moscata a gusto.
La carne cotta in questo modo diventa morbidissima che si può tagliare con il cucchiaio di legno, il sugo si deve addensare molto.
La carne potete sfilacciarla, rimetterla nel sugo e condire i ravioli o mangiarla a parte come secondo.





Se vi avanza del ripieno potete aggiungere un paio di uova e fare una frittatina, racchiuderlo nella pasta sfoglia o phillo come uno strudel salato, farcire delle fettine di carne e cuocerle nella salsa di pomodoro …

Comunque sia, benvenuti nella Terra di Mezzo.


Note:
·         La ricetta che ha dato il via alla sfida è QUI
·         Se volete la ricetta del ragù alla bolognese, di quello alla napoletana, alla toscana, la vera storia della carne alla genovese, se volete una panoramica completa sulla pasta ripiena di tutto il paese andate nel blog dell’MTChallenge e cercate tra i post del mese di novembre-dicembre. C’è anche una infografica creata appositamente da Daniela.
Se infine volete vedere chi sono gli sfidanti e cosa hanno proposto andate nella pagina dedicata

BRIK À L’OEUF DALLA TUNISIA PER L’ABC CULINARIO MONDIALE.

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Altra interessante tappa dell’ABC CulinarioMondialeche porta tanti foodblogger virtualmente in trasferta in Tunisia sotto la guida di Resy del blog Le tenere dolcezze di Resy
Per chi non lo sapesse l’ABC Culinario è un gioco creato dal blog Trattoria Muvara, che seguendo l’ordine alfabetico ci porta in giro per il mondo a scoprire tradizioni gastronomiche diversissime ma tutte molto interessanti.
Ogni tre settimane si cambia paese e blog ospitante.
Fino a domenica quindi saremo tutti in Tunisia.





Veramente è già un po’ che non partecipo e me ne dispiaccio perché mi sono persa nazioni interessantissime.
Questa volta ho deciso che non potevo mancare. Perché la Tunisia fa parte di quegli stati nord africani che si affacciano come noi nel Mediterraneo. Sono stati in passato crocevia di viaggi, commerci, traffici, spostamenti di cose e persone. Questo ha fatto si che la loro tradizione culinaria sia molto ricca e varia, influenzata da culture diverse: africana, berbera, araba, spagnola ed europea in genere.
La cucina della Tunisia ha molto in comune infatti con quella degli altri stati nordafricani e mediorientali: molte spezie, pesce, carne ovina, ma anche tanta frutta e verdura.
Molti piatti sono simili ad altri che si possono trovare in paesi vicini come il Marocco, o più lontani come la Turchia. L’uso delle spezie però in Tunisia è più moderato, si sentono ma non sono mai invasive.
I piatti che si ritrovano spesso in tutte queste cucine sono i pasticci di carne, formaggi o verdure, ripieni saporiti racchiusi da sfoglie di pasta sottile e croccante. Si tratta di solito di piccoli fagottini monoporzione, ideali come antipasto, una delle mezzè che non possono mai mancare all’inizio di un pranzo o sulle tavole dei buffet, ma anche come stuzzichino da passeggio.
Hanno svariate forme, mezzaluna, sigaro, triangolo, alcune sono tradizionali di determinate regioni e raggiungono una certa complessità ed eleganza. I ripieni possono essere svariati, come la scelta della pasta che li racchiude: pasta da pane, frolla salata, piccole crespelle, pasta sfoglia infine pasta fila ( o phyllo).
Ci sono poi pasticci di medie o grandi dimensioni, tipo torte salate con ripieni molto ricchi, che potrebbero costituire da sole un intero pasto.
Preparazioni simili si possono trovare in paesi anche lontani con nomi diversi, così come a volte un nome indica invece piatti diversi.
Anche la Tunisia non è da meno, uno dei suoi piatti tipici più conosciuti anche all’estero è proprio un fagottino di pasta sottile, in cui viene racchiuso un ripieno  a piacere e un uovo crudo. Il tutto viene fritto in olio profondo, così che l’albume si rapprenda mentre il tuorlo deve rimanere morbido, praticamente colante. Si chiama appunto “Brik à l’oeuf”, dove oeuf in francese significa proprio uovo.
La pasta usata è la malsouka, o pasta brik, sottilissima crespella di acqua, farina e olio tipica delle regioni del Nord Africa e del Libano. Viene usata anche per preparare i samoosa o sambosak, piccoli involtini fritti che si ritrovano sia in varie parti dell’Africa e dell’Asia. Una via di mezzo tra le sfoglie di riso per gli involtini primavera e la pasta phillo.
Si può fare anche a casa con l’aiuto di una pesante padella per le crespelle, oppure come ho fatto io sostituirla con la più reperibile pasta phillo.
Io ho seguito la ricetta di Claudia Rodendel suo libro “La cucina del Medio Oriente e del Nord Africa” che utilizza più comodamente la pasta phillo. Non ho mai trovato la malsouka, però ho trovato numerose ricette che spiegano come farla, sono proprio curiosa di provare, vi terrò informati. Per il momento ecco la mia versione del Brik tunisino.







BRIK À L’OEUF TUNISINO

Dosi per un fagottino monoporzione:
1 foglio di pasta phillo rettangolare*,
80g tonno al naturale,
1 cipollotto fresco,
1 cucchiaino di prezzemolo tritato,
1 rametto di maggiorana fresca (mia aggiunta),
1 uovo freschissimo,
sale, pepe.

*la pasta phillo ha il vantaggio di racchiudere bene il ripieno e rimanere bella croccante, ma si secca facilmente, occorre avvolgere i fagottini alla svelta altrimenti si rompe.

Affettate finemente il cipollotto, sciacquatelo e lungo con acqua fredda così è meno indigesto. Se volete potete stufarlo per qualche minuto in un padellino con poco olio o burro.
Allargate il foglio di phillo, spennellatelo con acqua e burro fuso per mantenerlo umido.
In una metà mettete il tonno, allargandolo un pochino, il cipollotto, il prezzemolo e le foglie di maggiorana. Rompeteci dentro un uovo intero, salatelo e pepatelo leggermente. Coprite con un lembo di pasta inferiore, chiudete dai due lati e continuate ad avvolgere delicatamente il ripieno formando un pacchetto rettangolare.
Friggetelo in abbondante olio caldo ma non bollente, così la pasta non si colora troppo in fretta e l’albume ha tempo di rapprendersi. Rigirate il fagottino in modo che si colori da tutti i lati. Il tuorlo deve rimanere più o meno morbido, a piacere vostro. Io per esempio l’ho lasciato quasi liquido. Servitelo ben caldo.

In alcune ricette sono previste anche le patate lessate e tagliate a cubetti e formaggio.
Un ripieno alternativo al tonno è costituito da funghi rosolati con burro e prezzemolo, formaggio grattugiato e naturalmente l’uovo. O ancora delle  verdure a cubetti leggermente soffritte, tipo melanzane, peperoni e pomodori.

Diciamo che la fantasia può spaziare.




VELLUTATA BIANCA SPEZIATA PER IL MENÙ INVERNALE

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E anche Dicembre è arrivato.
Avete già fatto l’albero di Natale?
E le decorazioni?
Io non ancora. 
Come ogni anno mi riprometto se non di giocare di anticipo, almeno di arrivare in orario.
Invece niente da fare. Non ho nemmeno preparato il calendario dell’Avvento.
Quando mio figlio era più piccolo mi divertivo a costruirne uno speciale, magari insieme a lui e a nascondere sorpresine in giro per casa.






Invece il primo giorno di dicembre è passato tra mille impegni, corse affannose per riuscire a far tutto.
Mi ero riproposta quest’anno di postare subito qualche ricetta adatta, magari qualche dolcetto o bocconcino salato da regalare agli amici, o in previsione dei pranzi delle feste.
Ho anche stilato una bella lista di cose da fare. Molto lunga in verità.
Invece inizio con una semplice crema di verdura.
Ma oggi è il giorno di Idea Menù e si va in scena con un menù tutto invernale.
Quindi prodotti di stagione, cotture lente, piatti robusti e corroboranti.
A me è toccato preparare il primo e mi è subito venuta in mente una bella crema di verdure, soffice, calda e delicata ma anche saporita. Che non sfiguri dopo un antipasto appetitoso ma che prepari il palato all'arrivo di un secondo molto gustoso e speziato.
Cavolfiore, porro, finocchio, sedano bianco.
Cotti non troppo a lungo perché mantengano il più possibile le loro proprietà benefiche e il gusto. Il risultato è una crema candida, che potrebbe essere sia rustica che elegante, basta sostituire gli elementi di accompagnamento, abbinare spezie ed erbe aromatiche e il gioco è fatto e si ottiene un piatto che non sfigura nemmeno nella tavola delle feste.
Quindi non sono del tutto fuori tema.

Il menù completo è questo: 


Primo: Vellutata bianca speziata.



 Buon appetito.







Vellutata di cavolfiore e porri speziata.

Ingredienti per 4 persone:
500g cavolfiore pulito,
1 finocchio,
2 piccoli porri,
1 patata,
2 gambi di sedano,
olio extra vergine,
sale, pepe,
noce moscata,
zenzero,
paprika dolce,
coriandolo in polvere.

Lavate bene il cavolfiore e riducetelo in cimette piccole. Pulite i porri, il finocchio e il sedano e affettateli finemente. Pelate la patata e tagliatela a tocchetti. Mettete tutte le verdure in una pentola e versate acqua fredda fino a due dita sopra il loro livello.
Portate a bollore e fate cuocere a fuoco dolce, semi coperto, finché tutte le verdure sono molto tenere e l’acqua si è un po’ asciugata.
Frullate col mixer ad immersione fono ad ottenere una crema densa e liscia. Se occorre fate restringere ancora qualche minuto. Aggiustate di sale e insaporite con le spezie a piacere.
Distribuite nei piatti completando con un filo d’olio d’oliva e una spolverata del mix di spezie.
Servite con crostini di pane, taralli, cubetti di focaccia tostati.




NOTE:
Il piatto potrebbe già essere finito così ma per dare un tocco più goloso alla presentazione si potrebbe aggiungere della pancetta croccante o dello speck, magari con qualche fogliolina di timo al posto delle spezie.
Per una cena più raffinata invece metterei qualche filettino di salmone affumicato e aneto o finocchietto fresco tritato.
Oppure un gamberone appena scottato, un paio di cimette di cavolfiore saltate e una spolverata di zenzero e menta fresca.



JOULUTORTTU, GIRANDOLE DI NATALE O FORSE ANCHE GIRELLE.

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Joulutorttu.
Non è uno sbaglio.
Non ho digitato a caso sulla tastiera come fanno i bambini.
O i cani. Perché il mio ogni tanto si vuole intromettere mentre scrivo per reclamare la dovuta attenzione e con le zampine si appoggia al pc.
Stranamente escono sempre righe intere di consonanti e pure quelle meno consuete. Kkkwttyyyzzxxhh … sarà qualche messaggio in codice canino.
Magari vuole dirmi: ”piantala di sbattere su sto coso e dammi un po’ di coccole, o un biscotto che va bene ugualmente. Meglio tutti e due!”.
Invece questa strana parola “Joulutorttu” si scrive proprio così.





È finlandese. Dovrebbe significare “Tortina di Natale” se il traduttore di Google non mi tradisce. Infatti questo è proprio un dolcetto tipico del periodo natalizio nella terra di Babbo Natale.
Si chiama anche Tähtitorttu, stella di Natale, per via della forma a stella a quattro punte, anche se forse assomiglia di più a una piccola girandola.
Girandole o stelle si tratta comunque di dolci carini, golosi e molto divertenti da fare, anche insieme ai bambini. Prendete nota, visto che il periodo risveglia istinti culinari anche nei più piccoli.

Ho conosciuto questi biscottini per la prima volta tanti anni fa, sorvoliamo quanti.
Ero poco più di una bambina e li ho visti su un numero di Topolino. Giuro.
C’era uno speciale sui dolci natalizi dal mondo. Io ho ritagliato e conservato quelle ricette in un quadernetto. Promettevo già bene. Tra tutte quella che mi ha colpito di più è stata proprio questa, che nel giornalino avevano chiamato “Girandole Danesi di Natale”.
In pratica è stato uno dei miei primi esperimenti culinari al di fuori delle ricette di famiglia.
Di recente ho recuperato quel quadernetto e la prima cosa che ho cercato sono stati questi biscotti. Avendo solo tenuto la ricetta volevo saperne qualcosa di più.
Facendo qualche ricerca sul web ho scoperto che sono davvero un dolce tipico natalizio, ma che invece sono finlandesi e che la ricetta che avevo non era così fedele all’originale.
Ma non importa rimangono sempre un bel ricordo e se devo essere sincera questi mi piacciono ancora di più.
Infatti eccoli qua. Pronti per essere impacchettati e regalati agli amici. O a Babbo Natale.
Sempre che non finiscano tutti prima. Se così fosse non c’è problema, sono così facili che si rifanno in un attimo. Ecco la ricetta.
Ma se vi dicessi che come al solito ho cambiato le carte in tavola e che le ricette volendo potrebbero diventare più di una sola?







Joulutorttu – stelle o girandole di Natale finlandesi
(delle girelle vi parlo dopo)

Ho preso la ricetta principalmente da questi siti http://www.finskis.com  e http://scandinavtoday.blogspot.it  anche se poi ho fatto qualche piccola modifica ma solo per ragioni di comodità.

Ingredienti per circa 65 dolcetti:
450g farina 00,
225g burro non salato ( io 200g),
225g formaggio cremoso* (io 250g di mascarpone),
acqua o latte freddo,
sale fino un pizzico,
confettura di prugne.

*nelle ricette che ho trovato viene indicato il cream cheese, formaggio cremoso, o il cottage cheese, che sono i fiocchi di latte, ma anche la ricotta. Io questa volta ho usato il mascarpone solo perché ne avevo già in casa una confezione e per usarlo tutto ho diminuito un po’ la quantità di burro, anche perché il formaggio è già molto grasso, ma il risultato alla fine non cambia molto.

Tagliate a dadini piccoli il burro freddo e lavoratelo con la farina formando delle briciole, unite il formaggio cremoso e un pizzico di sale. Lavorate velocemente fino ad ottenere un impasto morbido ed omogeneo, se occorre unite poca acqua fredda.
Avvolgete la pasta nella pellicola e fatela riposare in frigo tutta una notte.
Spianate la pasta col mattarello a uno spessore di circa 2mm, ritagliate dei quadrati di circa 6-7cm di lato. Su ogni quadrato praticate dei tagli lungo le diagonali, dagli angoli verso il centro, solo per ¼ della diagonale in modo da lasciare intatto il centro del quadrato.
Mettete circa mezzo cucchiaino di confettura al centro e ripiegate gli angoli, alternandoli, in modo da dare la classica forma a girandola.
Premete bene i lembi di pasta al centro del biscotto perché in cottura tendono a sollevarsi.
Disponete le girandole sulla placca coperta con carta forno. Infornate a 200°C per circa 10 minuti, devono dorarsi leggermente.
Serviteli così o leggermente cosparsi con zucchero a velo.








Note:
Non mettete troppa confettura, anche se sul momento vi sembra poca, in cottura si allarga e potrebbe fuoriuscire sporcando tutto il biscotto.
In alcune ricette consigliano di spennellarli con uovo sbattuto con poco latte, io non l’ho fatto e sono rimasti bene lo stesso.
Prima di infornare li ho messi in frigo per almeno 15-20 minuti, perché lavorando l’impasto tende a diventare molle. Una volta freddi potete premerli ancora leggermente al centro in modo che le punte centrali non si sollevino in cottura.
Il mascarpone, come ho già detto, è un latticino piuttosto grasso anche nel gusto, per dare quella punta di acidità che ha invece un normale formaggio spalmabile si può aggiungere un cucchiaio di succo di limone, che da anche un buon profumo. Ma questa ovviamente è una mia aggiunta che non compare nelle ricette originali.




VARIANTE: girelle speziate al cacao.
Questo impasto è davvero molto facile da preparare soprattutto se si usa un mixer.
Si può aromatizzare con scorze di agrumi, semi, spezie e farcire in tanti modi.
Per esempio io ho spolverato un rettangolo di pasta con una miscela di zucchero di canna, cacao amaro, cannella, zenzero e semi di papavero. L’ho ripiegato in tre e steso nuovamente. Ho ancora spolverato con lo stesso mix e infine arrotolato molto stretto.
Ho messo il rotolo in freezer per circa 20 minuti, avvolto nella pellicola, in modo che si indurisse leggermente e fosse più facile tagliarlo a fettine sottili.
Ho messo le fettine sulla placca coperta di carta forno e ho infornato a 200°C per circa 8-10  minuti. Ecco delle piccole girelle speziate. Ottime col caffè.









Ma essendo un impasto neutro secondo me può essere usato anche per preparare bocconcini salati, magari aromatizzandolo con erbe aromatiche, spezie e semi e farcire prima o dopo la cottura con creme di formaggi, salumi o pesce. Non ho ancora provato la versione salata ma credo che non farò passare molto tempo. Ecco perché vi ho detto che la ricetta non è una sola.



CHRISTMAS BEEF AND GUINNES PIE per un menù stellato.

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Questa volta non è stato facile trovare il piatto ideale per Idea Menù.
Questa volta il tema è un po’ particolare. Si tratta di fare un menù tutto stellato.
Ossia con tutte le portate a forma di stella.
Non sapevo che fare. Per tutte le altre portate non avrei avuto così tanti problemi, qualche idea in testa l’avevo. Ma mi è toccato preparare il secondo.
Come si fa un secondo a forma di stella?






Veramente volevo barare un po’ e preparare un secondo stellato nel senso di riproporre una ricetta di qualche chef stellato. Avevo già pescato qualche idea dai miei libri preferiti.
Poi mi è venuto in aiuto Babbo Natale, o meglio Santa Claus.
Non sono impazzita. Solo che in questi giorni di preparativi natalizi, di ricerca di idee originali per pranzi e cenoni, mi sono messa a curiosare nelle tradizioni culinarie degli altri.
Uno sguardo alla vicina Francia, un altro in Germania. Ritrovarsi al di là della Manica è stato un attimo e senza accorgermene sono arrivata fino in Canada. Dove ho scoperto l’esistenza di sontuose pietanze di carni miste, cotte lentamente con cipolla, erbe aromatiche e spezie e poi racchiuse in due starti di pasta brisèe o simile e infornate.
Queste torte di carne, meat pie, sono diffuse in tutto il Canada, dove per esempio troviamo la Tourtière nel Quebec o la Acadian meat pie, simili ma da non confondere mi raccomando.
In tutto il Regno Unito sono molte le Pie di carne che può essere agnello, montone, manzo, pollame o cacciagione.
La base è sempre uno spezzatino di carne a dadini molto sottili, cotto molto a lungo  con aromi e spezie arricchito da elementi vegetali quali patate, funghi, carote, porri o altro, a seconda della zona. Quasi sempre c’è una nota dolce data da un tipo di frutta secca o disidratata: uvetta, prugne secche, albicocche, mirtilli disidratati.
Queste torte in realtà hanno un'origine molto antica, praticamente medievale quando i tagli nobili della carne venivano cucinati per i nobili mentre la servitù su doveva accontentare delle frattaglie e delle parti più coriacee. Allora questi tagli venivano cucinati a lungo con spezie e aromi e racchiusi in una pasta fatta con farina e strutto. venivano chiamate Humble Pie, torte dell'umiltà o degli umili. In seguito sono state arricchite con verdure e frutta e anche la scelta della carne si è spostata verso altri tagli.
Comunque è un piatto molto saporito e robusto, adatto ai mesi più freddi dell’anno, specialmente le feste di Natale in cui è l’opulenza delle pietanze è d’obbligo. Infatti ho trovato tantissime ricette di Christmas meat pie, torte di carne natalizie. Anche di nomi famosi della gastronomia anglosassone, tipo Gordon Ramsay, Jamie Oliver e Paul Hollywood.
Io ho fatto un po’ un riassunto, una media tra tutte, ho preso un po’ qua e un po’ là e ho preparato la mia personale versione.
E le stelle che c’entrano? C’entrano perché essendo fondamentalmente una torta, deve essere preparata in uno stampo e guarda caso io ho uno splendido stampo antiaderente a forma di Stella Cometa che uso giusto una volta l’anno per preparare la pana cotta o altro semifreddo.
Adesso diventa anche uno stampo da pie. E il menù stellato è completo. Non perdetevi le altre portate da Tania, Linda e Carla.




Antipasto di Carlastelline sfiziose   


Secondo - Christmas beef and guinness pie- Torta di carne alla birra 










Christmas beef and guinness pie – Torta di Natale farcita con carne alla birra.

Per la pasta:
300g farina 00,
120g di burro freddo a dadini,
½ cucchiaino di sale fino,
1 cucchiaino di zucchero,
1 pizzico di bicarbonato,
acqua fredda q.b.

Per il ripieno:
700g di spezzatino di manzo a dadini piccoli,
300g salsiccia,
1 cipolla,
1 carota,
1 cucchiaio di erbe aromatiche secche miste (timo, salvia, maggiorana, origano, dragoncello),
1 foglia di alloro,
1 spicchio d’aglio,
33cl birra Guinness o altra doppio malto,
2 cucchiai di concentrato di pomodoro,
2 cucchiai di uvetta sultanina (oppure prugne, albicocche o mirtilli disidratati),
brodo di carne leggero,
olio extravergine d’oliva,
sale, pepe,
spezie a piacere (cannella, noce moscata, zenzero, chiodi di garofano)
pangrattato.

Preparate la pasta anche il giorno prima, deve stare qualche ora in frigo.
Impastate la farina, il sale, lo zucchero e il bicarbonato con il burro leggermente morbido a dadini. Dovete ottenere delle briciole. Unite 2-3 cucchiai di acqua fredda e impastate velocemente, se occorre unite alta acqua poca alla volta, fino ad avere un impasto morbido e omogeneo. Avvolgetelo nella pellicola per alimenti e mettetelo in frigo per minimo un paio d’ore.

Preparate il ripieno.
Sciacquate l’uvetta con acqua tiepida e mettetela in ammollo nella birra.
Tagliate la carota e la cipolla a dadini molto piccoli, tipo una brunoise.
Rosolate la carne con lo spicchio d’aglio in 3 cucchiai di olio a fuoco moderato mescolando per 2-3 minuti. Unite la cipolla e la carota tritate, l’alloro e le erbe aromatiche, fate insaporire per un minuto e versate la birra, trattenete l’uvetta da parte.
Fate cuocere a fuoco moderato per 15-20 minuti, poi unite un mestolo di brodo e il concentrato di pomodoro. Cuocete a fuoco molto dolce per circa un’ora e mezza mescolando di tanto in tanto. Unite la salsiccia spellata e tagliata a pezzetti grandi come la carne e infine l’uvetta, lasciate cuocere ancora 15-20 minuti. Se si asciugasse troppo unite poco brodo.
Alla fine il liquido di cottura si deve asciugare quasi del tutto ed essere un po’ cremoso, la carne deve diventare morbidissima. Aggiustate di sale. pepe e spezie. Fate raffreddare.

Dividete l’impasto in due parti, una un po’ più grande. Stendete il pezzo più grande col mattarello fino ad avere una sfoglia sottile, alta circa 3-4 mm. Foderate una teglia antiaderente imburrata o coperta con carta forno.
Spolveratela con del pane grattugiato e versate il ripieno senza mettere troppo liquido di cottura. Coprite con la pasta rimanente sempre stesa molto sottile. Sigillate le due sfoglie creando un cordoncino tutt'attorno. Al centro fate qualche buchetto per creare uno sfiato da cui può uscire il vapore, si eviterà così che la pasta non rimanga troppo umida.

Spennellate con un uovo sbattuto. Infornate a 180°C per circa 30-40 minuti. La pasta deve essere ben dorata. 













BISCOTTI COCCO-CIOCCO-PISTACCHIO PER NATALE

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Lo so. Lo so. Lo so che di biscotti in giro ce ne sono a camionate.
Specialmente biscotti di Natale.
Lo so di non essere un genio, soprattutto se con i biscotti ci costruisco casette.
Potevo farli a Luglio, allora si che sarei stata originale, avrei di sicuro battuto tutti sul tempo.
I biscotti di Natale per le feste sulla spiaggia. Una furbata.





Adesso invece avrei potuto fare il sorbetto all'anguria. No è rosso, troppo natalizio, meglio il melone. Comunque sarei stata di certo fuori dal coro, e di sicuro non avrei avuto timore di essere copiata. Magari avrei lanciato una nuova moda.
Perché noi blogger siamo di fondo persone mentalmente instabili.
Lo dico con cognizione di causa.
Cerchiamo spasmodicamente di stare sul pezzo, di seguire feste, stagioni, tendenze e ci illudiamo pure di essere originali, infatti ci inalberiamo un po’ se qualche altra blogger osa cucinare qualcosa di simile. Della serie “l’ho postato prima io!!”
Ma magari se fai i biscotti di Natale a Natale non puoi pretendere l’esclusiva, vi pare?
D’altro canto ci sono quelli che “ma non se ne può più, in giro per il web si vedono solo dolcetti, cioccolatini, croccanti e, pensate un po’, panettoni e pandori, quando non sono salatini al salmone o tartine al paté”.
Ma va? Ma chissà come mai?
Ma secondo te tutte quelle lucine e quegli abeti decorati in giro che vorranno dire?
La prossima volta per farti contento preparo la colomba, va bene?
Comunque io ho fatto i biscotti. Tanto per non smentirmi.
Ma al cocco che fanno più estate. Meno abete e slitta e più amaca tra le palme. Invece che con la cioccolata calda serviteli col mojito e chiudiamo la pratica Natale definitivamente.
Veramente è già un po’ che volevo farli. Da quando li ho visti su un numero di Sale e Pepe di non so quanto tempo fa e non erano neanche al cocco.
Mi spiego meglio: ho visto sulla rivista dei delicati frollini al pistacchio e cioccolato e me li sono segnati nella mia lista di piatti “da provare assolutamente e al più pesto”. Dove segno anche le bozze di ricette che mi vengono in mente con le possibili varianti e modifiche (che per inciso è lunga ben 10 pagine WORD per cui dovrei cucinare anche di notte, ma sorvoliamo)
Solo che non ho segnato la ricetta vera e propria, solo il nome, gli ingredienti e il riferimento alla rivista. Ma poi l’ho persa, così sono andata un po’ a memoria.
Di mio ci ho aggiunto il cocco, perché trovo che con pistacchi e cioccolato stia divinamente.
Farli diventare natalizi è stato un attimo, il tempo di recuperare gli stampini a tema.
Non contenta, visto che ha anche collaborato mio figlio, ho pensato di fare delle casette di biscotto, simili a quella che ho postato l’anno scorso.
Quella era la classica Gingerbread house, la casetta di Pan di zenzero, con tutte le decorazioni di glassa e confettini colorati (la trovate QUI).
Invece stavolta ho voluto fare delle mini casette, quasi monoporzione, che sono perfette da regalare a qualche piccolo amico in visita, basta confezionarle con un sacchettino trasparente e un bel fiocco. Sono carine anche da appendete all'albero, diminuendo ancora le dimensioni.
L’ultima moda è quella di fare delle casette bidimensionali, un biscottino a forma di casa, solo la facciata davanti praticamente, e usarle poi come segnaposto o decori da appendere alle tazze da tè o come chiudi pacco. Ma non potevo certo essere trendy fino a questo punto.
No, io son rimasta sul classico. Anche perché mio figlio si sentiva tanto piccolo muratore.
Invece che con la glassa di zucchero ho provato a “cementarle” con del cioccolato bianco fuso. Funziona a patto di lasciarlo intiepidire in modo che si raddensi leggermente e non coli troppo. Ci mette un po’ di più ad asciugare quindi ci vuole un po’ di pazienza perché bisogna tenere fermi i pezzi. Se volete farne tante perciò consiglio di usare la glassa, non troppo liquida.










Biscotti ciocco-cocco-pistacchio:
200g farina 00,
80g cocco,
80g pistacchi sgusciati (anche salati vanno bene),
50g gocce cioccolato
120g burro,
100g zucchero semolato.
1 uovo grande.

Eliminate il più possibile la pellicina ai pistacchi scottandoli per qualche secondo in acqua bollente e fregandoli poi con carta da cucina, se non la togliete tutta non importa. Fateli asciugare bene poi tritateli finemente nel mixer con un cucchiaio di zucchero.

Fate una fontana con la farina, il cocco, i pistacchi tritati e lo zucchero rimanente, unite anche le gocce di cioccolato. Iniziate ad impastare con il burro morbido a pezzetti, poi unite l’uovo. Lavorate velocemente fono ad ottenere un composto morbido e omogeneo, se occorre unite poca farina o poco latte, a seconda se l’impasto fosse troppo molle o asciutto.
Avvolgete nella pellicola e mettete in frigo per almeno 30 minuti.
L’impasto si conserva in frigo anche per 3-4 giorni se ben sigillato nella pellicola per alimenti e messo in un sacchetto di plastica. Potete quindi prepararlo in anticipo.

Spianate l’impasto col mattarello fino a uno spessore di circa ½ cm e ritagliate i biscotti con formine a piacere. Disponeteli sulle placche coperte con carta forno e rimetteteli in frigo per altri 15-20 minuti. Questo serve per far mantenere meglio la forma in cottura.

Infornate a 180° per 10 minuti, nel ripiano centrale del forno. Quando sono leggermente dorati toglieteli dal forno anche se vi sembrano ancora molli, si compatteranno una volta raffreddati. 
Spolverateli a piacere con zucchero a velo.
Chiusi in un contenitore ermetico si conservano bene per una settimana.







Per fare le casette:
Spianate la pasta a uno spessore di 3-4 mm, ritagliate le parti della casetta, pareti e tetto, usando delle sagome disegnate su cartoncino e un coltellino affilato.
Disponetele sulla placca del forno e mettetela in frigo per una mezz'oretta. Infornate a 180° per circa 8-10 minuti.

Fate raffreddare poi montate la casetta “incollando” i vari pezzi tra loro con glassa di zucchero o cioccolato bianco fuso. Decorate a piacere con glassa, cioccolato fuso, confettini colorati o anche semplicemente con zucchero a velo.






Inizio già fin da ora ad augurarvi Buon Natale, perchè non so se riuscirò a postare qualcos'altro prima, vista la quantità di cose che devo ancora fare. Mai come quest'anno mi sono ridotta all'ultimo momento per fare i regali e tutto il resto.
Per cui auguro a tutti delle feste serene e piene di belle sorprese.



ZUPPETTA DI LENTICCHIE, FUNGHI E FARRO per celebrare l’anno nuovo e il calendario del cibo italiano.

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Buon anno nuovo a tutti!
Spero che il 2016 sia ricco di belle novità o almeno sia più sereno e tranquillo di quello che lo ha preceduto.
Buoni propositi non ne faccio, tanto me li dimentico già dopo l’Epifania.
Come da un po’ di anni a questa parte ho festeggiato la vigilia di Capodanno in casa, in famiglia.
Quindi niente veglione di rito in locali esclusivi, dove per altro di solito si mangia poco e male, niente mega festa danzante in piazza, niente botti. Solo qualche piatto ben cucinato, le persone care e un bicchiere di buon vino italiano. Sul numero dei piatti e su quello dei bicchieri ci sarebbe da discutere, ma sorvoliamo.
Anche il primo dell’anno si preannuncia culinariamente impegnativo.
Ci sono piatti a cui proprio non ci si può sottrarre. Che fanno parte della nostra tradizione.
Uno per tutti è la lenticchia.





Legume solitamente ignorato e snobbato per quasi tutto il resto dell’anno, in questi giorni diventa protagonista delle tavole di festa. Perché porta bene. Porta soldi. E di sti tempi si tenta di tutto.
La diceria che le lenticchie portino fortuna pare risalga agli antichi romani, quando in occasione delle festività del primo giorno dell’anno, venivano regalate scarselle, borse di cuoio che servivano a contenere monete, piene di lenticchie perché questi legumi tondi e lisci ricordavano appunto le monete e l’augurio era che si potessero tramutare in denaro sonante.
Inoltre le lenticchie erano un alimento molto diffuso tra la popolazione più povera proprio per le elevate qualità nutritive e la conservabilità anche in pieno inverno, erano quindi sane, nutrienti e molto accessibili, quindi un bene prezioso nel lungo inverno per chi non poteva permettersi la carne. Quindi regalare lenticchie era anche augurare la pancia piena per il resto dell’anno.
Le lenticchie sono un legume molto antico, è una delle prime specie botaniche domesticate, cioè coltivate addirittura nel Neolitico, insieme a piselli, ceci, lino, farro e orzo.
Il suo consumo viene attestato da testimonianze rupestri, ma anche dal celebre episodio biblico della Genesi, in cui Esaù affamato cede la primogenitura al fratello Giacobbe in cambio di un piatto di lenticchie.
Nell’antica Roma le lenticchie erano un piatto del popolo, della mensa quotidiana, servite semplicemente lessate e condite con spezie, erbe aromatiche pestate, garum (acciughe fermentate) e mosto o miele. Come ci racconta Apicio nel De Re Coquinaria.
Oppure erano la base per corroboranti zuppe, insieme ad ortaggi e cereali.
Accenni al consumo delle lenticchie si trovano in molti autori latini, da Columella a Marziale.
Plinio il Vecchio afferma che “la lenticchia dà tranquillità di carattere a chi se ne nutre” (Naturalis Historia, XVIII) e io ho in mente giusto un paio di persone a cui le farei mangiare.
Ma le lenticchie non erano solo un prezioso alimento, secondo Ovidio potevano diventare anche un efficace cosmetico. Nel suo manuale di bellezza femminile, dà addirittura una ricetta per preparare una crema di bellezza portentosa, afferma che “Ogni donna che applicherà sul proprio volto questo cosmetico risplenderà più liscia del proprio specchio.” (Ovidio, Medicaminia facei).
La ricetta è spiegata benissimo, si tratta in breve di mischiare lenticchie, orzo decorticato e uova in pari quantità, far asciugare la poltiglia, macinarla a pietra “con la ruvida mola trascinata da un’asinella lenta” e mischiarla con miele, bulbi di narciso pestati al mortaio e corna di cervo triturate. Specifica però che devono essere “le prime corna che cadranno a un cervo dalla lunga vita”.
Già l’asinella lenta mi dava da pensare, ma dubito che riuscirò a trovare le corna di cervo cadute per prime. Comunque se dovessi trovarle magari ci provo, poi vi dico.
Pare anche che le lenticchie abbiano la capacità di irrobustire malati e anziani e risvegliare la virilità infiacchita. Lo dice nientemeno che Ippocrate, il padre della medicina.
Quindi signori miei, nel dubbio mangiatevi un piatto di lenticchie. Con lo zafferano magari perché lo stesso Ippocrate lo indica come afrodisiaco.

Che dite, vi ho dato abbastanza motivi per mangiar lenticchie anche nel resto dell’anno?
Oggi però ce n’è uno in più.
Oggi, e non poteva che essere altrimenti, è la GIORNATA NAZIONALE DELLA LENTICCHIA indetta da AIFB(l’associazione italiana food blogger) per il suo CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO. L’ambasciatrice del giorno è Maria Greco Naccarato.
Io ho pensato di festeggiarla  riadattando la classica zuppa di lenticchie che già compare nei ricettari di Apicio e compagnia (senza corna di cervo), mischiarla al risotto alle lenticchie di Gualtiero Marchesi (genuflessione), togliere il riso, mettere il farro che fa tanto Roma Antica, aggiungere un tocco delle mie montagne … insomma ho fatto un pastrocchio dei miei.
Però le corna di cervo …










Zuppetta di lenticchie e funghi con straccetti di farro.

Ingredienti:
100g di lenticchie,
20g di funghi porcini secchi,
1 scalogno,
1/2 costa di sedano banco,
½ carota piccola,
2 cucchiai di concentrato di pomodoro,
1 litro e ½ di brodo di verdure,
1 foglia di alloro,
2 foglie di salvia,
1 rametto di timo,
1 spicchio d’aglio,
100g di funghi surgelati porcini, misti o champignon,
olio extravergine d’oliva,
100g di farina di farro,
50g di farina 00,
sale, pepe.

Mettete in ammollo i funghi secchi in acqua tiepida per una mezz'oretta.
Lessate le lenticchie 20 minuti in acqua bollente, scolatele ancora piuttosto al dente e tenetele da parte.
Tritate finemente lo scalogno con il sedano e la carota, fateli soffriggere molto lentamente in due cucchiai di olio d’oliva, unite un mestolo di brodo caldo e lasciate che le verdure si ammorbidiscano.
Unite le lenticchie, i funghi strizzati e tritati grossolanamente, la foglia di alloro, il rametto di timo, la salvia e il concentrato di pomodoro, lasciate insaporire per qualche minuto. Aggiungete circa mezzo litro di brodo caldo (circa 4 mestoli) e fate sobbollire per 10 minuti circa finché le lenticchie sono cotte me non sfatte, aggiustate di sale e pepe.

Nel frattempo impastate la farina di farro con quella di grano, un pizzico di sale, un cucchiaio di olio d’oliva e acqua fredda quanto basta per avere una pasta morbida e liscia. Tiratela col mattarello in una sfoglia molto sottile, strappatela con le mani in piccoli straccetti.
Tuffateli nella zuppa e fate cuocere per 3-4 minuti.

A parte fate rosolare i funghi freschi o surgelati, tagliati a dadini o fettine, in una padella con uno spicchio d’aglio in camicia e poco olio d’oliva. Tenetene qualcuno per guarnizione e unite il resto alla zuppa.
Servite la zuppa nei piatti con un filo d’olio e qualche fettina di fungo cotto sopra.


Variante: potete servire al zuppa con delle striscioline di pancetta affumicata croccante oppure unire 2-3 fette di lardo battuto a coltello al soffritto di odori.









Informazioni prese da:
“La cucina degli dei” di Anna Ferrari (Blu edizioni)
Enciclopedia Treccani,
Le Garzantine Cucina,
Ovidio, Medicaminia facei
Apicio, De Re Coquinaria,
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia,
Wikipedia (ahimè si!)
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